Storia dell’arte
La storia dell’arte vive nel rischio di mortificare l’eccezionalità della creatività nell’onda morta della familiarità, dello studio, della consuetudine.
Il primo passionale innamoramento per l’arte è legato per me alle magnifiche copertine dei quaderni di scuola con i dipinti di Guardi, Tiepolo e Sironi, immagini che non mi stancavo mai di guardare e di scandagliare avidamente con gli occhi.
Da adolescente mi sono nutrito per anni con la piacevole pubblicazione dei fascicoli dei Capolavori nei secoli, Fratelli Fabbri, 1964, che mi ha coltivato con le sue magnifiche riproduzioni che spaziavano in tutte le epoche e in tutto il mondo con grande attenzione per quelle che allora venivano ancora chiamate arti applicate; mi sono nutrito con I Maestri del colore, Fratelli Fabbri, 1966, indispensabili per approfondire la conoscenza degli autori meno noti, che cercavo con estrema curiosità. Oggi ho recuperato queste belle raccolte per la mia biblioteca.
Il testo scolastico di Castelfranchi Vegas mi ha educato nell’adolescenza alla bellezza impagabile della foto in bn ben contrastate.
Saper vedere l’architettura (1948) di Bruno Zevi, uno dei libri che ho amato di più, non riguarda solamente l’architettura, è la più efficace introduzione all’interpretazione critica delle opere d’arte. Leggerlo da giovanissimo fu emozionante e rivelatore e mi aiutò a capire cosa volevo fare davvero della mia vita.
I testi di storia e di critica d’arte che mi hanno educato allo studio del patrimonio artistico nella sua complessità non sono necessariamente quelli previsti dalla tradizione accademica. L’esperienza critica più intensa per me è legata, a parte l’influsso dominante di Ragghianti e dei primi testi di Marangoni e di Salvini, di Argan, alle zone della creatività meno condizionate dai contenuti, l’architettura con Zevi, la musica con Gentilucci, la poesia con Friedrich, la filosofia con Thoreau.
Il testo di Ragghianti scritto a suo tempo per il numero speciale di SeleArte, Arte italiana d’oggi, ottobre/dicembre 1960, contiene tutti gli elementi concettuali che nel tempo ho assorbito da lui. Lo leggo (o rileggo?) adesso (2009) e riconosco tutti i suoi (e i miei) argomenti. Principi dell’esilio nasce esplicitamente da questo atteggiamento critico, è la continuazione, spero non indegna, di questo pensiero critico.
2010. Il Giornale dell’arte ha pubblicato recentemente (maggio ‘10) un articolo di Zeri del 1988 su Ragghianti ‘condannato all’ostracismo’. Z scrive di un Ragghianti che è stato vergognosamente quasi ‘odiato’. L’intervento di Z era stato sollecitato da Bruno Zevi, crociano come Ragghianti.
Negli anni ’60, allontanandomi dall’insopportabile sclerosi accademica nella quale avrebbero voluto involontariamente trascinarmi le persone generose e intelligenti che mi volevano bene e che si preoccupavano del mio futuro, capivo che la mia sarebbe stata un’avventura tutt’altro che facile, attraversare il mondo della storia dell’arte fuori dagli schemi accademici e rifiutando drasticamente la prassi iniziatica universitaria imposta dalla cultura egemone, e oggi so che ne è valsa la pena, non potevo prendere una decisione più importante di quella.
2011
Vasi comunicanti. La storia dell’arte e la critica d’arte sono nel capitolo dedicato al Pensiero poetante, soprattutto a proposito del fertile lascito di Croce. Riconosco il mio debito con Ragghianti e Zevi in tutto il libro.
Gli stereotipi
1936. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, con Eduard Fuchs collezionista (1937) e Piccola storia della fotografia (1931).
Purtroppo i testi del generoso B sono forse la fonte involontaria dei pregiudizi più duraturi che infestano la critica contemporanea più coinvolta con la demagogia del fanatismo ideologico.
Nel mondo dell’arte figurativa vige lo stereotipo insensato secondo il quale dopo Picasso e Duchamp sarebbe cambiato per sempre il nostro modo di vedere le cose, ma la percezione del mondo non è affatto mutata con le sperimentazioni creative, che hanno sempre avuto la funzione di essere l’antidoto (neanche sempre liberatorio) all’assuefazione del mondo, e non lo strumento di un sempre dilazionato progresso, come non è mutata in profondità la percezione del mondo con le più radicali proposizioni scientifiche e filosofiche, che in grandissima parte appaiono oggi soprattutto come sviluppo quantitativo di precedenti intuizioni qualitative e necessarie.
I libri
Giorgio Vasari (1574), Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, 1550, riedito con aggiunte nel 1568 (ediz. 1991 a cura di M. Marini). La piena, intelligente consapevolezza interdisciplinare della creatività.
1642. Giovanni Baglione, Le vite dé pittori, scultori et architetti…(ed. INASA, 1935). Brani intensi su Filippo Neri, innamorato della Visitazione di Barocci e su Cobaert, ossessionato dal suo S. Matteo.
1952-1966, C. L. Ragghianti, SeleArte. Il modello interdisciplinare più intelligente che la cultura italiana abbia mai elaborato, alimentato dal progetto culturale di Adriano Olivetti.
Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva, 1954 (it. 1962); Ernst Gombrich, Arte e illusione 1959 (it. 1965). Con Arnheim e Gombrich cercavo un arricchimento degli strumenti di indagine, ma in tutto quello che volevo assolutamente sapere sulla tecnica della lettura critica era già nei testi di Bruno Zevi.
Umberto Eco, Opera aperta, 1960. L’apertura interdisciplinare in E è frenata e dirottata verso la normalizzazione scolastica dalla necessità di un rigido controllo accademico. In OA l’esibizione epidermica di una fresca apertura mentale è enfatizzata proprio laddove si sta cauterizzando con astuzia la ferita dell’anomalìa dell’arte.
Carlo Ludovico Ragghianti, L’arte in Italia, II e III volume, 1968-1969. Affascinante e insostituibile laboratorio interdisciplinare.
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, 1968. Una splendida e irripetibile mappa concettuale dell’arte che coniuga il pensiero filosofico e letterario con la più rigorosa lettura formale dell’opera.
Donata Levi, Cavalcaselle. Il pioniere della conservazione dell’arte italiana.1988. E’ sempre vivo il fascino della figura di Cavalcaselle.
Udo Kultermann, Storia della Storia dell’arte, 1996 (it. 1997). Un percorso che attraversa la storia del pensiero per ricostruire l’origine stessa della Storia dell’arte.
Per una definizione dell’arte
La creatività, una galassia in movimento
Il centro propulsivo della galassia in continuo movimento della creatività è occupato stabilmente dalla cultura egemone che si rinnova ogni volta mutando e potenziandosi fisiologicamente come nucleo dominante. Lì si concretizzano i paradigmi che condizionano e plasmano l’intera creatività, e sono gli stessi che naturalmente plasmano anche la vita civile.
La vasta corona che si estende attorno al nucleo centrale della cultura egemone ospita la landa sconfinata della cultura popolare, dove tutto ciò che la cultura egemone raccoglie ed elabora viene sistematicamente depositato già normalizzato e ricondotto ad una norma ordinatrice: uno sconfinato bacino dove tutto viene fatto lentamente decantare.
Una fragile cometa viene trainata dalla galassia in movimento, è la più radicale sperimentazione individuale che nasce dalla impellente necessità o da una ostinata volontà di ricerca; ha un solo punto di contatto con la galassia, necessario affinché le esperienze radicali che qui hanno luogo, autentiche, fondate sulla necessità, arrivino alla massa centrale. Sono esperienze vitali che quando entrano a contatto con il nucleo trainante sono coinvolte subito nel rischio inevitabile di essere svilite e disperse durante il travaso nella massa opaca della cultura popolare; iniettano nella massa della galassia, con infinita lentezza, attraverso il filtro di una maglia strettissima, l’antidoto della sperimentazione individuale e dell’esperienza pura dell’attività psichica non ancora condizionata dai paradigmi imposti dalla cultura egemone. Finchè conservano il loro precario stato di ossigeno nascente esercitano, a volte senza nessun apparente risultato concreto, la loro potenza innovatrice correttiva degli stereotipi che materiano l’intera corona della cultura popolare.
Questa galassia in movimento si trascina dietro, come la coda di una sconfinata cometa, l’immenso retaggio arcaico, sempre saldamente ancorato al corpo della galassia e quindi indirettamente legato anche al nucleo centrale.
Lungo il vasto territorio di confine che sovrappone una parte minima ma vitale di questa grande coda si mantiene in vita la memoria di una struttura profonda che la cultura egemone non può mai dominare completamente come non può dominare completamente le forme vive che approdano dalle tre comete minori.
Se questa grande cometa viene filtrata della massa opaca della galassia che ne assimila limitate quantità di esperienza creativa, il territorio di confine della grande coda lascia invece che siano filtrati e selezionati gli elementi ancora vitali dell’eterno presente che costituiscono il retaggio arcaico: troppo intensi perché la cultura egemone possa spegnerli nella fornace dell’entropia.
La fascia di confine tra questa immensa coda e la cultura popolare, la persistenza paleolitica e neolitica, mantiene in vita il legame indissolubile con il passato remoto delle forme.
Ogni forma elaborata all’interno del corpo centrale della galassia viene consumata per alcune generazioni in attesa di essere sostituita da altre forme, frutto della continua elaborazione nel nucleo centrale; le forme esaurite vengono depositate ormai quasi inerti nella vasta corona periferica costituita dalla cultura popolare, in una colossale sedimentazione di segni svitalizzati che assicurano un’omologazione passiva sempre più estesa, condizione indispensabile per un dominio che viene contrastato solamente dalle forme di energia nascente filtrate dalla cometa minore.
Ogni opera d’arte filtrata dal nucleo centrale della cultura dominante viene forgiata in una lega che contiene solamente piccole parti di pura creatività (di specificità), una zavorra che ha lo scopo fisiologico di frenare e catuterizzarne la possibile forza creativa. Quando la componente di metalli spuri è soverchiante (contenutismo, demagogia, moralismo, prosasticità, retorica, pensieri filosofici) l’opera risulta inevitabilmente inautentica, perchè non abita pienamente la sua specificità dovendo dipendere dalla specificità di contesti esterni che non riguardano la creatività.
Quando nella lega l’apporto di materiali estranei alla creatività è ridotto al minimo e controllato l’opera vive una sua particolare e irripetibile autenticità.
Separare il rame dall’oro
Analizzando la lega che è stata utilizzata per forgiare un’opera della creatività è possibile separare il rame degli elementi esterni alla sua specificità dall’oro della sua autenticità.
E’ arte evidentemente tutto ciò che resta in un’opera dopo che questa sia stata sgravata dalla componente di quella descrizione contenutistica, che non cambierebbe se venisse trasmessa da una tecnica culturale non esplicitamente creativa come può essere un testo di storia, ma è rame anche quella componente sostanziale che materia un’opera con la memoria viva di altre opere già esistenti, fossero anche dello stesso autore, ed è rame e non oro il meccanismo ipnotico che a volte l’artista decide consapevolmente di innestare nel suo lavoro con un complesso congegno fascinatorio che è capace di provocare quella perturbante emozione che aggancia con forza irresistibile la macchina percettiva, come dimostra efficacemente l’esempio di Merisi il Caravaggio, che ha costruito una delle sue figure più attraenti, il carnefice del Martirio di s Matteo, saldando un dettaglio laterale tratto dal Miracolo di S. Marco di Tintoretto ad una suggestiva icona di Marcantonio Raimondi incisa per la raffaellesca Strage degli innocenti creando un ipnotico fulcro visivo di matrice teatrale dal quale è impossibile distogliere lo sguardo.
Per capire quanta componente di autenticità creativa possa esserci in una scultura di Michelangelo è necessario essere in grado di sottrarre, durante lo scandaglio della macchina percettiva, il calco formale del Torso del Belvedere e la memoria di un rilievo di Donatello; le figure così prepotentemente icastiche del Giudizio, già tanto esplicitamente condizionate dalla figura ellenistica di Ercole in riposo, sono ridimensionate quando si riesce a leggerle nitidamente come varianti, a tratti quasi dolorosamente inefficaci, dell’irresistibile modello formale del Giona realizzato tanti anni prima nella Volta e di fatto irripetibile; le figure della divinità gravitante nel Soffitto, a loro volta, non sono separabili dall’esplicita memoria masaccesca.
Insomma, per stilare un giudizio critico radicale sulle opere di un autore così indiscutibile come Michelangelo è necessario rendersi conto che queste opere d’arte sacralizzate contengono una percentuale di autenticità più ridotta di quanto comunemente si creda.
2010