La letteratura del XXI secolo

Print Friendly, PDF & Email
Home  Indice 

La letteratura del XXI secolo

Il mosaico discordante della critica letteraria
In una antologia di narrativa del passato si avvertiva la mancanza di ricerca dell’autenticità dell’opera alla quale veniva preferita una corporativistica e demagogica pluralità di voci.
Il libro di Angelo Guglielmi, Il piacere della letteratura. Prosa italiana degli anni 70 a oggi (1981), poteva essere una preziosa antologia ragionata, ma si è trattato invece di un’insipida raccolta di testi uniti solamente dalla prospettiva di una forzata e insincera pluralità, l’occasione mancata per la redazione di un’utile mappa della narrativa italiana, un vuoto e noioso panorama scolastico minato dalla più opaca ortodossia.

E’ un libro, quello di Guglielmi, che preparava il terreno a un fenomeno deteriore che adesso, in questi anni, si è tristemente concretizzato, l’ibridazione acritica e corporativistica tra scrittura giornalistica e scrittura narrativa, una pesante e illogica norma burocratica e corporativistica che viene imposta d’autorità per una equivoca e malintesa, insensata pari dignità tra le forme letterarie.

Fortunatamente però non mancano le novità confortanti, come quella di Mario Desiati, Voi siete qui. Sedici esordi narrativi (2007), un’antologia di giovani autori che cercavano di sottrarsi, seppure a fatica e con troppa incertezza, alla letteratura spettacolare che dominava gli anni di inizio secolo. E’ in questo libro che ho scoperto Giorgio Vasta con il suo breve racconto Bocconi. Poi di Vasta ho trovato Spaesamento (2010) e Il tempo materiale (2008), la prima forte, entusiasmante novità nella narrativa italiana. Avevo notato subito il suo interesse per la materia nel racconto del 2007 e ne ho trovato la conferma nei due romanzi.
Uno scrittore straordinario e vero. Per Vasta posso ripetere quello che avevo scritto due anni fa per i Quaderni di Malte di Rilke in Esteticità, dove ho ipotizzato che la specificità narrativa sia legata alla suggestione del perturbante che coinvolge la superficie delle parole, indicando nel Malte il momento più acuto di questa forma, immediatamente prima dell’avvento della scrittura materiata di pensiero liberatorio con Proust e Joyce in forme che vanno oltre la stessa specificità della narrativa (cfr. Pensiero poetante).
Vasta lascia riemergere con forza anche la suggestione inquietante della crudeltà, con Il tempo materiale, e anche questo sembra confermare la mia idea che nella cultura contemporanea ci sia stata un’eclisse colpevole, una cauterizzazione del riconoscimento della crudeltà come ombra che può attraversare chiunque, una dimensione che Dostoevskij ha esplorato con immensa pietà antropologica in Memorie del sottosuolo (1864).
La qualità de Il tempo materiale ha un equivalente nel magnifico e raro film di Pietro Marcello, La bocca del lupo (2009).
2010

Narratori degli anni Zero (2011), a cura di Andrea Cortellessa, con prefazione di Walter Pedullà (nn.31,32,33 de L’illuminista) é una splendida, confortante antologia ragionata elaborata con intelligenza e sensibilità, uno strumento di studio formidabile che introduce una fertile interdisciplinarietà nella critica letteraria.
Cortellessa, intelligente discepolo di Giulio Ferroni, é l’unico critico che si pone seriamente il problema di disegnare una mappa esauriente della situazione della narrativa, come aveva già fatto in precedenza per la poesia con Parola plurale, Sessantaquattro poeti italiani tra due secoli (2005).
2012

Cinzia Scarpino, Cinzia Schiavini, Sostene M. Zangari, Guida alla letteratura degli Stati Uniti. Percorsi e protagonisti, 1945-2014, 2014.
Stefano Ercolino, Il romanzo massimalista. Da L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon a 2666 di Roberto Bolano. Bompiani (edizione in inglese nel 2014 e italiana nel 2015), con un’assenza incomprensibile: nel libro di Scarpino e altri Franzen viene citato solamente una volta (a pag.18) non gli viene dedicato un capitolo, come avviene invece per tutti gli altri autori americani coevi.

L’arte
2017. Gli scrittori di questo primo XXI secolo mostrano spesso un forte interesse per l’arte.

A parte il grande spazio che all’arte offre DeLillo (vedi oltre), Orhan Pamuk ha creato il suo Museo dell’innocenza a Istanbul e adesso (2017) ha realizzato un progetto espositivo con Grazia Toderi (v la lunga intervista di V. Trione, La lettura, febbraio 2017).
Enrique Vila-Matas ha scritto nel 2014 (it. 2015) Kassel non invita alla logica proprio nel momento storico che vede il tramonto dello stanco manierismo tardo concettuale, ed è lecito il sospetto che il suo intervento, così gradevolmente colloquiale, sia stato sollecitato proprio per rinverdire l’interesse verso questa ormai obsoleta e retorica forma di creatività che sopravvive grazie alla potente mobilitazione del mercato e della cultura dominante.

L’equivoco del Postmoderno
Ho cercato di chiarire in Pensiero poetante la questione controversa del postmoderno.

Nel territorio della narrativa sembra imporsi ancora oggi un equivoco: è sicuramente corretto definire postmoderna l’opera di Thomas Pynchon (L’arcobaleno della gravità,1973), per la sua continua ibridazione tra forme dissonanti, per gli inserti grotteschi e per la sua struttura polimorfa, ed è legittimo definire P anche l’opera di Wallace, ma non è assolutamente postmoderno DeLillo, un autore educato dall’esempio di Joyce e quindi innestato saldamente in quella che viene definita, con un termine orribile, tradizione del modernismo, che sarebbe meglio definire strutturalismo narrativo dato che è la struttura del testo che in questi casi domina e condiziona la materia narrativa.
Si confonde, credo, l’insieme composito e magmatico del testo di Pynchon, che porta a una forma di grande condivisione ludica con il lettore disponibile alla divagazione fantastica, con lo spaesamento radicale indotto dalle opere di DeLillo, mentre gli inserti grotteschi di Infinite Jest possono essere legittimamente considerati un segno esplicito e verosimile del retaggio di Pynchon.
Ora, mentre il lavoro di Pynchon, e in gran parte quello di Wallace, richiede esplicitamente al lettore un’intensa complicità nella condivisione di una materia venata costantemente dalla ludicità già coltivata da Sterne, le opere di DeLillo si muovono in direzione opposta perché continuano, dopo Joyce, una disgregazione a mosaico del racconto che lascia affiorare la struttura interna, uno smottamento che non può certo attirare il lettore in forme di empatia con chi scrive.
In DeLillo la materia è saldamente ancorata alla sua matrice, il Joyce più discorsivo dei racconti e dei primi due capitoli dell’Ulisse, e porta ad una straniante suggestione di perturbante spaesamento, mentre in Pynchon e in Wallace il gusto postmoderno dell’ibridazione attinge pienamente e consapevolmente dalla tradizione della letteratura visionaria che risale dal teatro satirico di Aristofane e Plauto a Luciano, a Rabelais, a Swift e a Sterne, un percorso parallelo a quello della poesia che porta dall’irrisione arcaica dei satirici a Laforgue e a Corbière.
I contemporanei di Shakespeare rimproveravano al drammaturgo l’unione che questi sembrava favorire, con il suo l’eclettismo, di Plauto con Seneca, e potremmo aggiungere, pensando alla diffusa iconografia dei caratteri rinascimentali, dell’irrisione di Democrito e dello sgomento di Eraclito.
Ciò che oggi chiamiamo postmoderno ha le sue radici anche in questo.

La scrittura postmoderna punta intenzionalmente a creare un magma intrigante di ludicità e di stupore anche doloroso (in Infinite Jest), mentre la scrittura strutturalista di DeLillo punta sempre a logorare la sponda di insidiosa familiarità imposta dagli stereotipi.

D’altra parte c’è un precedente formidabile che attesta anche la disponibilità allo sconfinamento tra i due territori: il Finnegans Wake di Joyce costituisce un cambiamento radicale di percorso rispetto all’Ulisse. Con FW Joyce passa dallo strutturalismo più radicale ad una forma di visionaria, archeologica sovrimpressione di immagini che introduce un ibridismo parossistico doppiamente materiato sia da una intenzionale oscurità, come è quella dei testi più ermetici dell’esoterismo, che da una divertita ludicità popolare esperita in continui giochi di parole e di nonsense, e in FW questa densa contaminazione tra il cupo esoterismo arcaico e il solare divertimento linguistico può essere senz’altro definita di gusto postmoderno.
D’altra parte un autore come Roth, che non rientra certo nell’ambito del gusto postmoderno né in quello dello strutturalismo, ha scritto un racconto, Il Seno (1972) che rievoca il grottesco di Gogol (Il naso, 1834) e il perturbante di Kafka senza per questo essere postmoderno.

A conferma di quanto ha dichiarato lo stesso Lyotard, il postmodernismo esiste come attitudine interna alla modernità.
Può darsi che certi equivoci degli studiosi relativi a DeLillo derivino proprio da questa mancanza di chiarezza tra il gusto postmoderno, disponibile alla visionaria e disinibita archeologia della memoria, e la rigorosa maniera strutturalista rivolta alla costruzione di un rinnovato congegno del perturbante
2017