Gioielli

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Gioielli

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In un magnifico dipinto di Rembrandt del 1662 ( ) il gioiello si mostra nella sua più radicale specificità: fa da cerniera inorganica tra il corpo vulnerabile e precario e l’abito che lo nasconde o ridisegna con la sua materia porosa e scandita in luce e buio. Qui il gioiello stringe in alto il tessuto come una fibula antica e segna i punti di confine più esposti del corpo con gli orecchini pendenti, con l’anello e con i braccialetti. La donna che indossa questi oggetti, nel dipinto di R, sembra tristemente consapevole della loro estraneità e della loro ostile vigilanza ai confini estremi del corpo vissuto.

I gioielli autentici, di alta qualità specificatamente creativa, sono rarissimi, le opere che vengono esaltate nei libri e nelle mostre sono materiate di pesante contenutismo descrittivo e simbolico e di insensate e banali raffigurazioni naturalistiche; quasi sempre poi sono sostenute e imposte all’attenzione dallo stesso valore economico delle pietre preziose, dei diamanti e delle perle, un valore che ovviamente non ha nessuna rilevanza estetica.
Se si eccettua il brano esemplare di Ragghianti sul Reliquiario del Dente, d’altra parte, una critica d’arte del gioiello, a questa data (2.2014) e nei limiti della bibliografia che conosco, sembra essere del tutto inesistente, come se non si ponesse affatto il problema di leggere con gli strumenti della critica d’arte un gioiello, un mobile o un abito esattamente come si legge un dipinto o uno spazio architettonico.
Nei tanti articoli che conservo nel mio archivio (G antichi e G contemporanei), soprattutto quelli dedicati alle mostre degli anni ’80 di Londra e Parigi, non c’è mai nessuna traccia di critica formale.

Vasi comunicanti. Ho cercato di sperimentare la lettura critica del gioiello in La reverie del gioiello e in Esteticità diffusa.
In La reverie dell’abito ho collocato il gioiello nel suo contesto, che può essere solamente quello della più estesa fenomenologia dell’abito:
I gioielli, una fragile barriera di segni enigmatici
Nella planimetria dell’abito i gioielli fissano gli snodi di un linguaggio che si crede a torto materiato di esplicito simbolismo (Michael Sittow, Caterina d’Aragona, 1503, Vienna). In realtà il significato profondo del gioiello è invece quello di una materia inorganica che viene calamitata a forza verso il centro del corpo, non come scontata, epidermica formula simbolica da decifrare, ma come perturbante insidia rivolta all’integrità della stessa materia organica. Il gioiello non protegge le parti indifese del corpo, come credeva Levy-Strauss, le minaccia, e l’abito vive la sua specificità anche in questo conflitto tra organico e inorganico.

Le opere
2011. Nel volume I grandi tesori (1998) ho scoperto l’esistenza di un gioiello straordinario, la collana di arachidi in oro e argento (II sec. dc) della cultura Mochica del Perù (II-VIII sec. dc), trovata nella Tomba del Signore di Sìpan nel 1987. L’ho subito scelta come modello concettuale per il paragrafo dedicato al gioiello in Esteticità.

2012. A Loreto, nel Museo del santuario, c’è una magnifica raccolta di gioielli ottocenteschi; eclettismo delicato, luci minute e contratte, disegno fragile. Peccato che non ci sia un catalogo per una collezione così interessante; questi gioielli così apparentemente modesti contrastano con la sgradevole banalità descrittiva e teatrale delle tante opere che vengono illustrate nei libri sull’argomento. L’unico confronto con questa bella e delicata raccolta può essere fatto con la magnifica sezione romana del Museo Nazionale di Palazzo Massimo.

Interessanti gioielli ottocenteschi in Hayez, di Sergio Coradeschi (L’opera completa, 1971): tav. XXIII, XXXII, XLIII, XLIV.

In Lightbown, 1981: Corona della principessa Bianca, figlia di Enrico IV, opera francese o inglese del 1370-80, Monaco; esemplare per l’esplicita assonanza con gli spazi e gli arredi tardogotici.
Pendente del 1530 c, tedesco, del V&A, nervoso come i cartigli e gli abiti coevi.
Pendaglio dal tesoro della Vergine del Pilar di Saragozza, Spagna, fine XVII sec, V&A; la materia completamente dissolta.
Ornamento da corsetto, Germania, inizio XVIII, V&A.

In Archeo, 2000: delicata collana romana in oro e granati, da Mentana, Roma, Museo Nazionale.
Bracciale o collana con castoni in oro e corniole, dal Galles, I sec dc, Londra, British; modello sempre ripetuto per i bracciali più severi, fino all’Ottocento e oltre (v Hayez).

In Mascetti, 1984: opere liriche e intense di Carlo Giuliano del 1860-1870.

In Omaggio, 2001: Braccialetto di Maria Luigia (Fondazione Lombardi a Parma), oro, turchesi e corniola, luogo di una struggente atmosfera data dal caldo malato del rosa coniugato al freddo acuto del turchese.
Croce di perle in oro, perle e smalto, Spagna, fine XVII, Poldi Pezzoli: perturbante nei frammenti di materia opaca (le perle) morbosamente isolati prima dalle cornici distanziate al centro e poi ancora in alto dal segno traforato che ospita una perla barocca inquietante come una reliquia (v La reverie del gioiello).
Parure del 1820 in oro e opali, mercato antiquario, Milano (a pag 117); pietre isolate e legate da variazioni minute di luminosità. Affascinante come la croce di perle del Poldi Pezzoli.

In 1986. AA.VV. Gioielli (Poldi Pezzoli): oltre allo struggente pendente spagnolo in oro e perle, c’è un’impressionante diadema a pettine, Italia, 1920-1921, in argento, oro e coralli rosa, del Museo Napoleonica di Roma: il rosa dei coralli anima la sottile reverie di uno spazio aperto senza dimensioni.

In Battaglia, 1980 (Museo Etrusco): borchia in oro, da Caere, sec VI ac, con le frantumate particelle di oro della granulazione, suggestione forse della cultura degli inceneritori.

Nel Catalogo del Poldi Pezzoli, AAVV, 2005, Electa: anello del tardo Cinquecento, Italia del Nord: un grande opale è incastonato in una struttura di oro e smalto che scompone il volume in zone neutre come negli abiti del tempo.

In Gioielli, 1989: un monile da Ambras, di fine 1500, vicino alle tarde decorazioni frenetiche a raffaellesche.

In Gregorietti, 1978: fibula anglosassone in oro, sec VII, da Sutton Hoo, British; l’intreccio delle decorazioni celtiche che poi saranno estese a quelle longobarde nel IX sec.
Spilla del 1630, Francia o Germania, oro smalti e diananti, V&A; materia espansa e disgregata che viene tenuta insieme dalla percezione dei vibranti segmenti di smalto trainati dal disegno frenetico dell’oro.

La lunga cintura della scultura lignea (inizio sec. XV?) del Museo diocesano di Rieti è quella che si vede chiaramente nel dipinto di inizio Quattrocento di Neri di Bicci, La Visitazione, Velletri museo capitolare (foto GFN Sop.). Ho visto per la prima volta questa forma affascinante di cintura nel catalogo della mostra su Giovanni da Firenze, 2008 (Bib. Sop. PV): Cintura cd di ‘Zita, in argento e smalto, metà sec. XIV, Lucca, Basilica di s. Frediano.
Una Cintura analoga è pubblicata in Gioielli, 1989: è del 1270 c, forse di bottega inglese, appartenuta all’infante Ferdinando de la Cerda (+1275), figlio del re di Castiglia, Alfonso il Saggio, proveniente dalla tomba a Las Huelgas. Burgos. Archivio Mas Barcellona.
Dante cita una cintura nel Paradiso (XV, Cacciaguida) a proposito dei costumi femminili del passato: ‘Non aveva catenella, non corona / non gonne contigiane, non cintura / che fosse a veder più che la persona’ (citato in Belli Barsali, Oreficeria del medioevo), ma doveva trattarsi forse della cintura stretta in vita che si vede nei tanti dipinti trecenteschi, non necessariamente di quella con il prolungamento che arriva quasi ai piedi, come è il caso molto più tardo di Rieti e di Velletri.
Mi accorgo ora da una foto (1.12) che in uno dei grandi arazzi fiamminghi di PV (Giudizio finale, Bruxelles, inizio 1500) una figura indossa la cintura prolungata, che tiene però sollevata infilandola in vita.

I musei
1980. Una delle collezioni più interessanti è senza dubbio quella del Museo Etrusco di Roma, che dopo tanti anni rivedo adesso (2011) nel nuovo allestimento. La sezione gioielli della Collezione Augusto Castellani era conservata a suo tempo in una stanza blindata.

E’ un’occasione ideale per mettere a confronto i gioielli più antichi con quelli delle epoche successive, fino all’Ottocento eclettico. Il catalogo (edizione integrale e ridotta) è curato da Gabriella Bordenache Battaglia, Gioielli antichi dall’età micenea all’ellenismo, 1980.

La bellissima sezione del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo dedicata ai gioielli educa alla delicatezza estrema del design romano, con oggetti lievissimi in oro resi inquietanti da minuti inserti di pietre. Quella delicatezza evoca la poesia romana più intensa e perturbante, Lucrezio, gli affreschi e gli stucchi lievissimi delle stanze oggi ricostruite della Villa di Augusto; eppure nei deludenti cataloghi del Museo questi gioielli raffinati non sono quasi mai riprodotti e tanto meno commentati.
Negli articoli sull’oreficeria romana che trovo non c’è traccia delle opere romane più delicate, si preferisce illustrare i pesanti monili barocchi ellenistici o i gioielli più spettacolari degli etruschi (v L. Pirzio Biroli Stefanelli e B. Pettinau, L’oro dei romani, in Archeo n.1, 2000).

1991. M. S. Sconci, I depositi sale-studio del Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, Boll. d’Arte n.70. Foto a colori e notizie sulla piccola e rara raccolta di gioielli di Zenobio Bencivenga (1840.1919) che ho visto tante volte nei depositi attrezzati del museo: stile eclettico con segni mesopotamici, egizi, etruschi, ellenistici e rinascimentali, vicino al gusto antiquariale della famiglia Castellani.

Nel Medagliere Capitolino c’è anche una sezione di gioielli, con la grande collana senatoriale del 1869 di Augusto Castellani (v. Catalogo del museo, 2000, Electa).

I gioielli più interessanti sono nel Poldi-Pezzoli di Milano (v il catalogo di AA.VV. Gioielli. Moda, magia, sentimento, 1986, molto ben curato anche se del tutto privo di annotazioni critiche).
Purtroppo nel nuovo allestimento del museo (2016) i gioielli sono resi pochissimo visibili con un allestimento insensato e con una inutile luce accecante.

2017. Atene. Nei musei locali, M Archeolgico Nazionale, M Cicladico, M Benaki, ho trovato la più vasta e completa raccolta di gioielli antichi e popolari.

2009. Roma. La brutta mostra antologica di Bulgari, con il suo imbarazzante titolo retorico, Tra eternità e storia, Bulgari dal 1884 al 2009, 125 anni di gioielli italiani, Palazzo delle Esposizioni, Roma, ha sprecato un’occasione di studio mostrando solamente un’ostentata continuità con il gusto settecentesco del gioiello sgranato esasperato a contatto della pesante oreficeria indiana, con una fredda memoria antiquariale mediata da Cartier.

Libri
L’ossessione del simbolismo
2001. Il libro di M. R. Omaggio, Il linguaggio dei gioielli, mostra nel sottotitolo il segno inequivocabile degli stereotipi più resistenti:‘Il significato nascosto e ritrovato dell’eterna arte dell’ornamento’: i significati simbolici nascosti, quindi, e l’ornamento.

Il tema del g. sequestrato dal contenutismo sociologico
1968. AA.VV. Enciclopedia storica dell’antiquariato. In questa generica opera divulgativa la sezione dedicata al gioiello apre subito con lo stereotipo più incredibile: ‘La storia dei gioielli inizia con la storia stessa dell’uomo’ (?).

1981. AA.VV. Smalti, gioielli, tabacchiere, I quaderni dell’antiquariato. Ronald Lightbown, conservatore al Victoria and Albert Museum, inizia il suo capitolo sui gioielli scrivendo con imbarazzante banalità che ‘la gioielleria non si è mai limitata ad essere semplicemente l’arte di decorare oggetti di uso comune’. L. sottolinea l’importanza sociale del g: secondo lui i documenti scritti su leggi e regole del tempo permetterebbero una conoscenza ‘più approfondita’ (?) dei gioielli del passato degli stessi ‘pezzi superstiti’.
1984. Per Daniela Mascetti, Gioielli dell’Ottocento,‘la funzione pratica del gioiello è nulla’ perché il g deve solo ‘adornare’.
2007. Silvia Malaguzzi, Oro, gemme e gioielli, Dizionari dell’Arte Electa, un volume magnificamente illustrato e utilissimo, ma condizionato come tutte le altre pubblicazioni dal più miope contenutismo: ‘Il gioiello, elaborazione artistica o artigianale di materiali preziosi, è un ingrediente di distinzione sociale ed economica’. Holbein è presente con i suoi dipinti, ma non come interessante disegnatore di oreficeria, come figura onvece nel bel libro di R. E. Wolf e R. Millen, Il Rinascimento e il manierismo, 1968, Rizzoli, pag. 247.

I generosi tentativi di contestualizzazione
1968. La bella collana della tedesca Holle Verla (in Italia Rizzoli) L’arte nel mondo documenta molto bene anche i gioielli, con intelligenti accostamenti tra le tecniche più diverse della creatività. Esemplare il volume L’arte europea delle origini di Walter Torbrugge (1968, it.1969).

1978. Guido Gregorietti, nel suo prezioso libro I gioielli. Storia e tecnica dagli egiziani ai contemporanei, (Mondadori), fa ricorso a un ampio utilizzo dell’arte figurativa per contestualizzare i gioielli.
1984. Antiquariato. Mensile di arte antica, Arti decorative, ec, Mondadori. Ottimi articoli illustrati sui gioielli di ogni epoca.
1986. AA.VV. Gioielli. Moda, magia, sentimento, catalogo della mostra del Poldi Pezzoli di Milano. Per l’occasione Bulgari realizzò la collana di perle e pietre visibile nel Ritratto di giovane donna, 1470 c., attr. ad Antonio del Pollaiolo, conservato nel museo stesso.
1989. AAVV, Gioielli. Un repertorio di immagini dall’antichità ad oggi; un libro inglese utile e piacevole che delude solamente per l’incredibile capitolo finale dedicato alle opere contemporanee frutto della presunzione di rianimare il gioiello con un triste museo degli orrori; gli autori potevano documentare semplicemente lo sviluppo del gioiello tradizionale con Buccellati, Bulgari e altri, come sarebbe stato più utile e interessante; l’unica giustificazione per questa sezione demenziale è nella data, 1989: fino a quel momento infatti vigeva ancora nella cultura più scolastica la tirannia del dover superare ad ogni costo il passato.
1998. AA.VV. I grandi tesori. I capolavori dell’oreficeria attraverso i secoli. Un volume monumentale, utile per l’ingrandimento fotografico che permette di leggere i dettagli più minuti dei gioielli.
2011. Anderson Black, Storia dei gioielli.

Per una Critica d’arte del gioiello
1946. Per capire in profondità la fenomenologia del gioiello è necessario leggere il saggio di Erwin Panofsky, Suger abate di Saint-Denis, del 1946 (in Il significato delle arti visive, Einaudi, 1996, pag. 129 e oltre), dove si riflette sul significato dello stato di trance indotto dalle pietre preziose.

1968. E’ davvero magnifica la pagina di critica formale dedicata da Ragghianti al Reliquiario del dente del tesoro del Duomo di Monza, sec. VII (forse con interventi dei sec. VIII-IX), in L’Arte in Italia, 1968, volume II, Dal secolo V al secolo XI (pag. 323, fig. pag. 330): ‘una delle opere di più straordinaria fantasia astratta, incredibile pulsazione e contenuta esplosione visiva del fantastico capolavoro’. E’ forse il miglior brano di critica d’arte dedicato a un’opera di oreficeria che sia possibile trovare a quella data.

2017. Melissa Gabardi, Il gioiello italiano del XX secolo, Silvana Editore, 2016. Un magnifico libro di studio frutto di venti anni di ricerche edito in occasione di una mostra al Poldi Pezzoli di Milano: foto d’epoca, disegni, ammirevole severità nella scelta delle opere; una preziosa storia completa del gioiello italiano del Novecento finalmente arricchita da intelligenti note critiche e da una razionale contestualizzazione delle opere nella memoria storica dell’oreficeria.

L’equivoco di Levi-Strauss
In un articolo pubblicato su La Repubblica nel 1991,‘Ma perché ci mettiamo i gioielli?’, Levi-Strauss descrive la macrofotografia della caduta di una goccia di latte per sostenere che questa immagine di pochi secondi, non percepibile, secondo lui, ad occhio nudo, avrebbe suggerito in forma ‘inconscia’(?) il design della corona, ‘un oggetto manufatto concepito, sembra, nell’arbitrio più completo’(?).
Ci sono delle incongruenze: LS ignora, proprio lui, la graduale morfogenesi degli oggetti e il loro stratificarsi lentamente nell’arco di migliaia di anni; è evidente che tutte le forme del design hanno una matrice profonda nell’esperienza ininterrotta della materia, di tutto ciò che è sempre stato sotto gli occhi di ognuno mentre il cervello stesso si formava fino ad assumere la forma attuale: basti pensare ai colori ordinati geometricamente dell’arcobaleno, alle stratificazioni plastiche e architettoniche dei minerali e delle rocce, alla luce grafica dei fulmini e all’emozione percettiva dei lampi, alle stratificazioni naturali (scultoree) delle caverne, alle (figurative) impronte solidificate, ai riflessi dei corpi nell’acqua; un laboratorio inesauribile di forme che ha dato origine allo sviluppo imitativo del design, suggestioni che si sono impresse nella retina per un tempo infinito di secoli molto prima che qualcuno cominciasse a forgiare, come linguaggio condiviso, oggetti da indossare capaci di fissare quelle forme estranee al corpo vissuto.
Gli effetti visivi dell’acqua in movimento, a differenza di quanto scrive LS, erano visibilissimi ogni volta che qualcosa cadeva in uno stagno, dai cerchi concentrici agli schizzi sollevati da una pietra; LS confonde evidentemente la lentezza con la quale oggi possiamo comodamente osservare i dettagli di un’immagine con l’acuta, spasmodica osservazione di chi non poteva permettersi il lusso di ignorare i minimi segni della natura. E la forma della corona, comunque, come quella di qualsiasi altro oggetto, non può mai essere frutto di un inverosimile ‘arbitrio’. E’ davvero incredibile che un antropologo sia così miope verso le forme della creatività.
Nell’articolo LS afferma inoltre che i gioielli sono gli elementi duri che proteggono la fragilità del corpo; ma gli oggetti che entrano a far parte dell’arredo del corpo, in tutte le culture, hanno chiaramente un doppio significato che va ben oltre il puro proteggere le aperture del corpo, perché hanno la stessa funzione delle maschere apotropaiche esemplificate dalle microsculture dei fenici: prefigurano, sulla soglia dell’organico, ciò che di inorganico aggredisce il corpo da fuori e lo sovrappongono a ciò che simultaneamente sta uscendo dall’interno del corpo stesso, come avviene nell’episodio narrato da De Martino del guaritore che mostra un pallina di materia estratta non illusivamente ma allusivamente dal corpo sofferente.
I gioielli sono quindi il frutto di questa percezione della materia inorganica che assedia il corpo saldandosi alla materia organica che ne esce, ed è per questo che le pietre taumaturgiche avevano il potere di guarire: prefiguravano lo snodo tra l’infezione del corpo e l’espulsione del risultato di quella stessa infezione.
Le ingenue osservazioni di LS sono comprensibili se si tiene presente l’avversione irragionevole che lo studioso ha sempre avuto nei confronti della Psicoanalisi dalla quale avrebbe potuto apprendere che ogni cosa ha un doppio e contraddittorio significato.
1991-2017