Fumetti

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Fumetti

Vidi i primi eleganti fumetti francesi e belgi nella saletta di attesa della Biblioteca del Centro culturale francese dove accompagnavo mio fratello maggiore R a leggere.
Dopo l’inevitabile fascino provato nella prima infanzia per i gradevoli volumetti a striscia di Capitan Miki, Gim Toro, Grande Blek, e per i racconti minuziosi di Ferdinando Corbella su L’Intrepido (1964 c.), scoprii la fresca intelligenza di Ugo Pratt e il suo disegno leggero coniugato a un contenuto più letterario e più colto. Di Pratt ricordo soprattutto con piacere Ernie Pike (1957), su testo dell’argentino Héctor Germán Oesterheld, il generoso scrittore sequestrato e ucciso assieme alle figlie nel 1977 negli anni della dittatura militare (Ernie Pike ha il suo viso).

Su testo di Oesterheld è anche L’Eternauta (1957-1959) dell’argentino Solano Lopez, che mostra un disegno di grande, negligente intensità, ma solamente nelle pagine più animate segnate da un amaro sapore compendiario; il ductus pesto di L è mutuato esplicitamente dai manifesti di protesta latino americani, come quello messicano con un giovane con la bocca chiusa da una catena (v Philippe, 1980, anche a pag. 270), una qualità che poi è stata vanificata nei tristi lavori più tardi di questo autore discontinuo, forse ormai troppo lontano dalle intense sceneggiature dello scrittore argentino.
Questo lavoro di L è stato oggetto di una incredibile manomissione: nell’edizione I classici del fumetto di Repubblica (2003) L’Eternauta di Lopez è stato pubblicato con una inaccettabile alterazione che viene candidamente dichiarata nella stessa introduzione: un disegnatore ha cambiato, senza motivo, non solo la forma delle tavole di Lopez, aggiungendo delle inutili didascalie alle scene silenziose (!), ma ha ridisegnato dei dettagli per aggiornarli (?) ad oggi, come si vede in una squallida radiolina a pile che sostituisce, in tante tavole, la bella radio del tempo disegnata da Lopez. L’irrazionalità di questa scelta è amplificata dalla decisione di riprodurre a parte, nel testo dell’introduzione, la bella sequenza muta dell’inizio, che poi invece la stampa del volume mostra alterata.
2014

Il fumetto aspetta una lettura interdisciplinare, esente da pregiudizi corporativi e contenutistici, che sappia ridisegnare lo scenario di questa forma di creatività, ed è quello che spero di essere riuscire a fare con il mio saggio in Principi, che ho scritto proprio come reazione a questa carenza.

Vasi comunicanti. Con Per una morfologia del racconto grafico (1975-2012) mi auguro di aver fornito una adeguata (inedita?) riflessione che sia utile per una analisi specificatamente critica di questa tipologia creativa.
Qui, nel QI, continuo a usare la parola Fumetti, ma in Morfologia preferisco la denominazione, che mi sembra più corretta e più logica, di Racconto grafico. D’altra parte fumetti é ridicolo, e inaccettabili sono comics e il francese bande dessinée. Will Eisner, in Comics and Sequential Art (1985) ha rinominato i fumetti con la denominazione involontariamente ridicola di Arte sequenziale, che rievoca il grottesco significante vestimentario creato artificiosamente da Barthes per la Moda.
2008-2016

La specificità del fumetto prende forma evidentemente dall’illustrazione antica popolare coniugata a quel sistema di modelli riproducibili in serie che ha avuto il ruolo storico di dragare e cauterizzare gli umori più crudeli e ambigui già avviati dalla satira della pittura vascolare greca e portati all’esasperazione, prima con le stampe del settecento inglese e poi con l’opera ottocentesca del pessimista Bush, amico di Schopenhauer.
E poi c’è una realtà che gli studiosi corporativi non vogliono assolutamente vedere: i fumetti dell’Ottocento, i cartoni animati e i giocattoli, come avviene con le bambole Kachina degli Hopi e con le maschere iniziatiche dei Baining, non sono opere destinate esclusivamente all’infanzia, anche se hanno una funzione iniziatica, ma sono invece il complesso retaggio di una arcaica storia sommersa, un retaggio che viene reso opaco dallo stesso uso massivo e ipnotico che viene fatto di queste forme, una realtà arcaica che si nasconde davanti ai nostri occhi proprio con la sua ossessiva evidenza e con la sua parossistica visibilità. Un fenomeno che ho cercato di indagare in varie sezioni di P.
Nel fumetto emerge a volte, proprio laddove meno lo si aspetta, il retaggio arcaico della figurazione più remota, come è il caso del netto contrapporsi tra il profilo classico e grottesco dei vasi greci nelle opere di Ray Crane.

L’unica riflessione intelligente che io abbia trovato sui Fumetti è quella di Mashall McLuhan in Gli strumenti del comunicare (1964, it.1967-1974).

Ci sono comunque libri molto belli e indispensabili per uno studio non corporativo del fenomeno:
AA.VV. Le stampe di Epinal dal 1600 ai giorni nostri (1980), catalogo della mostra, Venezia: importante per la trasmissione di modelli grafici dall’800 al Novecento; Il porcospino ragionato.(1986), a cura di Sergio Stocchi, con le immagini originali e le derivazioni dello Struwwelpeter di Heinrich Hoffamnn (1845), uno degli snodi fondamentali del passaggio dalla crudeltà da cauterizzare alla pacificazione demagogica di fine secolo realizzata poi con Jellow Kid; lo splendido catalogo La caricatura inglese, da Hogart a Cruikhsank, (1985), a cura di H. Lee Bimm (1985-1986, Roma, Genova, Firenze), con un magnifico materiale di grafica settecentesca, fondamentale per capire lo sviluppo storico del F.
Molto interessante è il catalogo Dal manoscritto al fumetto, 1991-1995 (1995), di AA. VV. Firenze: le acquisizione Nerbini della Biblioteca Marucelliana, un esempio di naturale e serena integrazione del F nella cultura accademica.
Storia della Santa Russia di Gustave Doré. I Russi, storia drammatica, pittoresca e caricaturale della Santa Russia illustrata e commentata da Gustave Doré, 1854 (1980), a cura di L. Guidobaldi, Comic Art, permette di studiare le forme eclettiche di Doré che poi sono state sfruttate dagli autori del Fumetto ottocentesco.
Rodolphe Topffer, il segno e l’avventura (2002), a cura di J, Burneister e AA.VV, un eccellente strumento di studio delle forme ottocentesche del F.

Club Anni Trenta’ di Genova, edite in ‘tiratura limitatissima strettamente riservata ai Soci’: Gordon (1976, dal n.1 al n.7); Caprioli (1980); Jungle Jim (1980); Phantom (1977); Buck Rogers (1980). E a questo insieme prezioso aggiunsi altre pregevoli pubblicazioni di grandi dimensioni: Caprioli (ANAF 1974); Caesar (I quaderni del fumetto, 1973); Crane (Comic Art, 1980); Cino e Franco (Albi Nerbini da collezione); Terry (Comic Art); Steve Canyon (Comic Art); il volume di grande formato L. Feininger (Garzanti, 1974). Ho la rara copia dei primi numeri di Cannibale.

Alcune belle pubblicazioni recenti attestano l’interesse dell’editoria anglosassone per l’aspetto grafico del Fumetto:
Il libro di Roger Sabin, Comics, Comix & Graphic Novels. A history of comic art (2001), Phaidon, è una magnifica pubblicazione, sbilanciata però a favore di un’eccessiva e irragionevole valorizzazione del fumetto americano e dell’underground.
Comic book design. The essential guide to designing great comics and graphic novels (2009), di Gary Spencer Milldge, è un’eccellente raccolta di soluzioni grafiche che, pur nei suoi limiti critici, mostra comunque la volontà di guardare al fumetto come a una forma creativa in cerca di qualità.
Il bellissimo volume curato da Paul Gravett, 1001 fumetti da leggere prima di morire (2011, it. 2013) costituisce, nonostante il titolo ridicolo, un’eccellente raccolta di schede cronologiche ragionate sul Fumetto che arriva fino alle ultime Graphic Novel.

Le riviste degli anni ’80 hanno offerto un interessante laboratorio di soluzioni grafiche che si è sviluppato accanto alla Transavanguardia internazionale di schietta matrice Postmoderna: Métal Hurlant (1974) di J. Giraud, P. Druillet e altri (in Usa Heavy Metal) e Frigidaire (1980) diretta da Vincenzo Sparagna e altri. In Morfologia ho scelto di non documentare queste opere degli anni ’80 che hanno goduto finora di una eccessiva sopravvalutazione che non tiene conto del loro debito vincolante con la pittura della Transavanguardia e con l’illustrazione di quel periodo, forme dalle quali il fumetto di quegli anni dipende fino a sconfinare dalla specificità stessa del racconto grafico. Qui però, nel Quaderno, può essere interessante e utile soprattutto per i futuri giovani studiosi annotare alcune cose relative a uno stile che ha dominato a lungo quegli anni prima di cedere spazio al ritorno del fumetto più tradizionale, dagli anni ’90 a oggi, un ritorno che coincide con l’antidoto offerto dallo sviluppo prepotente della stimolante Graphic novel che porta freschezza in una tipologia che è ormai fossilizzata nei suoi moduli ripetitivi pur continuando ad essere molto amata e diffusa.

Attualmente (2016) è diffusa nel racconto grafico internazionale una gradevole vulgata stilistica che accomuna i disegnatori di ogni nazione con esiti di accettabile dignità, come sono quelli di Askold Akishin (Mosca 1965), che nelle sue opere recenti (2015) guarda esplicitamente all’espressionismo dei due Breccia argentini evitando l’orribile, infestante maniera americana delle edizioni Marvel e la mediocrità dei racconti seriali, con forme che sono quindi più vicine a quanto sta sperimentando la Graphic Novel.

I limiti del corporativismo
Dispiace constatarlo, ma lo studio dei fumetti è sequestrato dal contenutismo sociologico più scolastico, e la pretesa corporativa di riscattare il fumetto come forma di letteratura peggiora le cose, perché il fumetto, al contrario della letteratura, ha la funzione di radicare nel comportamento collettivo tutti i modelli più consueti della comunicazione, e in questo è comunque il veicolo della trasmissione capillare di forme estremamente omologate.

Per capire la specificità del fumetto è necessario studiare il fenomeno nei suoi limiti naturali, nel margine consapevolmente modesto di estensione macroscopica delle xilografie popolari più antiche sovrapposte all’illustrazione politica settecentesca con le didascalie a filatterio, seguendo il percorso che il fumetto ha fatto per giustificare una sua epidermica parentela con la pittura, dal Dorè di Raymond all’informale di Breccia.

Nel 1967 Gérard Gassiot-Talabot, un teorico della mediocre Figurazione narrativa (Genovés, Adami), scrisse un articolo su L’Arte in occasione della mostra parigina ‘Il fumetto e la Figurazione narrativa: E’ un’arte quella dei fumetti?’. GT proponeva, nel suo testo confuso e contraddittorio, gli stereotipi più resistenti, interessato soprattutto al presunto riflesso dei Fumetti nelle opere dei suoi mediocri pittori figurativi. Il Fumetto, scriveva,‘come ogni arte nuova si è forgiato in linguaggio autonomo che deve meno ai precedenti che troviamo nell’arte popolare dei venditori ambulanti di stampe ( ) o nell’imagerie di Epinal e nelle storie illustrate della fine del XIX secolo del tipo ‘La famiglia Fenouillard’, che alle scoperte contemporanee delle arti grafiche e del cinema; ( ) E se Dirk e Opper all’inizio ‘saccheggiano le illustrazioni e le caricature delle riviste illustrate si scopre (poi) come si stabilisca una corrente di scambio fra le forme plastiche alla moda ( ) e il F.’
Sciocchezze che non corrispondono affatto alla realtà, come spero di aver dimostrato chiaramente nel mio saggio.

Roman Gubern, poi, con il suo ambizioso Il linguaggio dei comics (1972, It.1975) mostra chiaramente tutti i limiti e la presunzione degli studiosi che hanno il solo scopo di nobilitare il fumetto invece di collocarlo più rispettosamente nella sua legittima tradizione e soprattutto nella sua specificità (cfr. Morfologia per le imbarazzanti annotazioni stilistiche di G).

E’ inutile commentare la grande quantità di noiosi articoli e libri italiani sul F che ho raccolto in tutti questi anni nel mio archivio: sono pieni di prevedibili luoghi comuni, e soprattutto sono minati dal più miope fanatismo corporativo.
Il primo libro che ho letto sull’argomento, I fumetti (1961), di Carlo della Corte, non ha lascito niente di utile per uno studio critico. Con Apocalittici e Integrati (1964) Eco sembrava promettere una colta riflessione critica sul Fumetto che poi, da lui, non è mai arrivata.
Sono pura documentazione Gli eroi del tempo libero. Fumetti e cinema (1968) di Claudio Bertieri, la Storia del fumetto (1977) di Paolo Piva, che esordisce subito con una notizia storicamente sbagliata: ‘L’America, patria del fumetto’, e I fumetti (1980) di G. Strazzulla.
Gulp, 100 anni a fumetti (1996), di autori vari, costituisce una splendida edizione grafica di tavole originali dislocate in ordine cronologico, ma è un grande lavoro di raccolta quasi vanificato dall’assenza totale di riflessione critica, con ridicole pagine introduttive alle varie sezioni che illustrano senza motivo degli scontati frammenti di storia invece di contestualizzare il fumetto all’interno della complessa storia della grafica, come sarebbe stato necessario e opportuno; e tutto viene peggiorato dalla scelta davvero incomprensibile di un insensato intervento grafico di marca futurista di Nespolo.
Fumetto, characters e disegnatori (2005) dell’Associazione Franco Fossati (2007);
L’avventurosa storia del fumetto italiano di Renato Genovese; L’audace Bonelli. L’avventura del fumetto Italiano (2010), catalogo della mostra, Lucca.
Animals (2009), che a quella data poteva offrire la documentazione capillare della grande quantità di pubblicazioni di Graphic Novel internazionale. 

Le collane che sono state pubblicate dal 1980 a oggi potevano essere, anche minimamente, un dignitoso laboratorio critico, ma non è stato così:
L’autore e il fumetto (1980), direttore V. Mollica, Ed. del Grifo.
I classici del fumetto, BUR, (2000), a cura di L. Codazzi.
I classici del fumetto di Repubblica (2004) a cura di L. Raffaelli.

Fortunatamente Irripetibili. Le grandi stagioni del fumetto italiano (2009) di Luca Boschi, e Fumetto! 150 anni di storie italiane (2012), curato da Gianni Bono, e Matteo Stefanelli, hanno cominciato a costruire una storia ragionata del fumetto italiano.

Una mostra romana curata da V.M, Diabolik, Eva Kant, una vita vissuta diabolicamente (2009), nonostante il titolo poteva essere l’occasione per una lettura non contenutistica, ma era dominata invece da una scontata accentuazione sociologica e didattica.

Nel 2010 ho visitato il deludente Museo del Fumetto di Lucca. Neanche nella città della Fondazione Ragghianti la cultura del fumetto è riuscita a creare le condizioni per un serio e interessante dialogo interdisciplinare esentato dal corporativismo.

Il fumetto delude anche nelle orribili riduzioni cinematografiche, a cominciare dal ridicolo Barbarella di R. Vadim del 1967. E’ orribile e goffo il recente Sin City (2005) di R. Rodriguez e del sopravvalutato Frank Miller, autore del racconto grafico. Davvero grotteschi e penosi sono i film del passato su Gordon, Superman e Dick Tracy.
Era invece accettabile e molto gradevole la serie televisiva del 1988-1989 dedicata a Valentina di Crepax, capace di suggerire con insolita raffinatezza la vulnerabile leggerezza grafica del disegno.
2010

Luglio 2017. Mostra Menorà. Culto, storia e mito, Museo Ebraico di Roma e Braccio di Carlo Magno in Vaticano. Non so se è la prima volta che accade, ma nella mostra, in Vaticano, figura un fumetto israeliano (!).