Don DeLillo
Wharol, Suicide, 1963
2016. Rumore bianco (1984), una lettura emozionante. Bellissima traduzione di Mario Biondi (It 1999, Einaudi; 2003 MDS Books)
Tutto il testo è materiato da una perturbante sensazione di allarme e di pericolo celato nelle cose più insignificanti.
DeLillo costruisce il libro a strati, il dialogo è inciso icasticamente dalla sconcertante, ostinata perentorietà delle affermazioni e dalla straniante percezione che a parlare sia sempre la stessa persona. Nell’incavo di questi dialoghi e delle descrizioni sono incuneati momenti di poetica e inquieta percezione di uno sgomento senza nome che affiora da ogni cosa, anche da un frammento desolato della città.
La materia fisica del libro si contrae a scatti sotto la pressione delle sconcertanti invenzioni contenutistiche che sono il segnale rivelatore di una opaca zavorra che ha la funzione implicita di trasmettere incessanti striature di sgomento e di allarme.
‘Lo scarso traffico scorre via, mormorio remoto e regolare che avvolge il nostro sonno, quasi un chiacchiericcio di anime morte ai margini di un sogno’ (p.10)
‘Erano questi livelli secondari di esistenza ( ), queste sfumature fluttuanti dell’essere, queste sacche di rapporti formatesi in maniera inattesa, a farmi credere alla nostra condivisione di una serie inesplicabile di cose’ (p.42)
Penso a certi momenti della R di Proust, alla suggestione perturbante dei rumori della sera che evocano un invisibile esercito in marcia per una parata e soprattutto alla stessa descrizione rallentata dello sguardo:
‘dall’angolo del suo occhio azzurro ci fece un piccole cenno, in qualche modo interno alla palpebra ( ) in un languore segreto e invisibile’ (R, pag. 102).
Questa dolorosa e straniante elegia della morte di DeLillo è legata evidentemente, soprattutto per il dolente, rallentato decorso dell’evento, al racconto di Joyce I morti, in Gente di Dublino (1914), e più in generale alla prima parte dell’Ulisse.
Leggo adesso (2017) che in una intervista DL ha dichiarato: ‘Trovo che la prima parte dell’Ulisse sia scritta in un modo meraviglioso ( ) Leggendo i primi tre capitoli scoprii una lingua che non avevo mai incontrato prima di allora’.
Stefano Ercolino scrive di U in Il romanzo massimalista. Da L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon a 2666 di Roberto Bolano, 2014-2015.
L’opera di DeLillo è riassunta nel prezioso libro di Cinzia Scarpino, Cinzia Schiavini, Sostene M. Zangari, Guida alla letteratura degli Stati Uniti. Percorsi e protagonisti, 1945-2014, 2014; La scrittrice Morena Fanti ha scritto in rete una bella e limpida recensione di U (2008).
Il libro recentissimo di Marco Trainini, Don DeLillo, con prefazione di Fabio Vittorini, ottobre 2016, Castelvecchi, costituisce la prima monografia italiana dedicata allo scrittore; T raccoglie tutti i riferimenti di DL all’arte e ricompone il mosaico di tutte le situazioni umane indagate dallo scrittore dall’inizio a oggi.
2016-2017. Underworld, 1997 (it. 1999-2014, tr. Di Delfina Vezzoli).
La bellissima e tragica foto occasionale che Wharol ha utilizzato nel 1963 (Suicide) visualizza perfettamente il senso di pericolo imminente che si avverte nella scrittura di DeLillo; non l’ho adottata per la (brutta) copertina di Underworld perché l’immagine delle due torri gemelle di NY, una foto di André Kertész, è stata scelta dall’autore stesso e da lui imposta per tutte le traduzioni straniere, anche se poi nell’edizione italiana l’immagine è tradita da una manipolazione arbitraria che rende più visibile la chiesa in primo piano accreditando una inesistente contrapposizione tra il potere economico (le torri) e quello spirituale (la chiesa), un moralismo che in DeLillo non avrebbe senso perché questo scrittore respira un’intelligente pietà antropologica che non lascia mai spazio alla demagogia.
I capitoli di U segnano i momenti di un continuo sfasamento temporale, non so se le pagine nere che scandiscono vari punti del libro siano un ricordo consapevole delle pagine nere di Sterne (2017: si, lo conferma Trainini).
Prologo. Il trionfo della morte 1951.
Tutta la cronaca della partita di baseball è un pezzo di virtuosismo narrativo che ha forse lo scopo di avviare energicamente un lungo racconto futuro che poi sarà invece sempre spezzato e divagante; il brano, già pubblicato come racconto a parte, sembra avere la stessa funzione del primo capitolo dell’Ulisse, aprire con la sua estrema leggibilità un orizzonte di sottili varianti interne per trascinare lo sguardo verso l’approdo a una struttura disgregata e implosa.
‘Tutte queste persone ( ) non hanno mai avuto niente che le accomuni più del fatto di essere sedute nel solco della distruzione’ (24).
Durante la partita una pagina di giornale strappata e lanciata dagli spalti mostra Il trionfo della morte di Bruegel (48), mentre arriva la notizia dell’esplosione di una bomba nucleare sovietica. Eros e Thanatos si incontrano invisibili all’interno della caotica coralità di chi assiste alla partita.
Long Tall Sally 1992. Improvvisamente il punto di vista cambia (62) e si avverte la presenza di un io narrante (Stavo guidando..), il tono adesso è incolore e descrittivo perché prepara l’impatto con la visione emozionante dell’installazione nel deserto di 230 B-52 abbandonati e ridipinti dal gruppo guidato da un’artista (85).
L’opera d’arte descritta rievoca i lavori della Pop Art con macchine e aerei dipinti, e infatti il taxi nel deserto evoca in lui il ricordo della Pop Art, e c’è una bellissima intuizione della precarietà della percezione:
‘mi capita di vedere qualcosa di così emozionante che so di non dovermi attardare ( ) se rimani troppo a lungo esaurisci l’impatto indescrivibile’.
Nei capitoli successivi questo io narrante racconta del suo lavoro legato a rifiuti e discariche (91) che è necessario rendere meno sgradevoli, quindi gli aerei trasfigurati dal colore sono rifiuti e tracce di una violenza decaduta.
Nel bellissimo IV capitolo (106) la presenza della madre invecchiata è un potente antidoto all’ansia, come la musica Sufi che lui ascolta correndo:
‘ci guidava con sicurezza attraverso i silenzi’ (107).
La spazzatura, con il suo odore, agisce come una presenza perturbante (109): ‘assomiglia a qualcosa che ci portiamo dietro da tutta una vita’ (110).
Ci sono pagine bellissime sulla folla (110-111), la memoria è intermittente e passa repentinamente da un ricordo all’altro. La fantasia infantile del figlio, quella di far cadere gli aerei con la volontà, si lega occultamente alla visione degli aerei nel deserto.
La chiusura dal IV capitolo sembra scritta da Joyce:
‘Dominus vobiscum, diceva il prete ( ) Dominick Va al Fresco. A cosa serviva il latino se non si potevano ridurre i codici formali a gergo di strada? (112).
La scrittura di DL è talmente intensa e affascinante da riuscire a imporsi anche attraverso il filtro riduttivo e discontinuo della traduzione.
Manx Martin I 1951. Prima pagina nera che denuncia un collasso temporale, dal 1992 si torna al 1951.
Ancora il racconto diretto dall’io esterno. ‘Guarda e basta, un nessuno alla finestra’.
I gesti più banali sono descritti come se accadessero per la prima volta (145-148). La scrittura qui è perfetta, una commovente identità di forma e contenuto, l’ansia senza oggetto del vivere è resa lucidamente percepibile attraverso lo spaesamento radicale di ogni gesto.
Elegia per sola mano sinistra 1980-1990. Seconda pagina nera, siamo negli anni ’80-’90. Il titolo si riferisce evidentemente al Concerto per pianoforte per la mano sinistra di Maurice Ravel composto nel 1929-1930 per il fratello di Wittgenstein (Paul) che aveva perso il braccio destro in guerra, ma anche, più esplicitamente, a un brano di Saint-Saens che poi viene ascoltato (cfr. Trainini).
L’io narrante si rivolge continuamente al lettore: ‘Sai come va..’, e infatti inizia con ciò che stiamo vedendo:
’Mostra un uomo che guida ( ) è un video di tipo familiare. Mostra un uomo al volante’.
Il primo capitolo, affascinante, descrive il video occasionale di un omicidio. DL ha raccontato di essere nato come scrittore con l’omicidio di K e con il video dell’evento, e ha scritto un romanzo su quella morte (Libra, 1988).
Il tempo si trascina dietro resti di memoria recente della lettura: ‘si avvicinò a passo di danza ( ) un lentissimo fox-trop degli anni Cinquanta’ (167)
Lo scambio fluido di frammenti di memoria percorre incessantemente tutto il romanzo.
Nel ricordo la partita e la guerra fredda tornano a sovrapporsi (177), il nucleo della bomba atomica è grande quanto una palla da baseball (179). La storia del recupero della palla (186) ha la stessa funzione che in Rumore bianco ha il lavoro professionale su Hitler, una zavorra paradossale che fa da catalizzatore per la vera e unica materia del racconto, il fluire degli eventi più banali in un tunnel di ansia.
L’omicidio ripreso dal video riemerge dove viene descritta un’ossessiva ricerca fotografica (187). In DL il vedere è più vitale della cosa vista, c’è una continua fenomenologia dell’accorgersi del mondo attraverso i suoi dettagli più sfocati.
Il vecchio fanatico che ha cercato ossessivamente la palla rappresenta la sottocultura popolare con la sua saggezza demenziale:
‘La realtà non accade finché non si analizzano i puntini’(189).
D’altra parte, subito dopo, nella devastante visione della discarica (190-191), colui che guarda si sente
‘membro di una setta esoterica’ (193).
Il racconto subisce in continuazione degli smottamenti e delle frane occasionali, ‘tu li guardi e loro ti ammazzano’ (196).
Qualcuno ascolta ‘l’elegia per pianoforte’, il modello concettuale di tutta la sezione, che è costruita infatti come uno spartito di varianti musicali.
Nel capitolo V torna il personaggio presente nel 1992. C’è la percezione della precarietà trasmessa con un respiro poetico:
‘fecero a turno a guardare fuori dalla finestra’ (203).
La musica per pianoforte di Saint-Saens, che ascoltano in disco, turba la vecchia moglie:
‘parve fare il suo ingresso qualcosa di fosco ( ) nelle note basse aveva sentito un cupo presagio che l’aveva spaventata ( ) il tempo rimpianto della musica’ (238).
Poi c’è la voce della moglie anziana: ‘Devi dirmelo Albert, quando esci. Così lo so ( ) Se me lo dici, almeno lo so ( ) Tu me lo dici e io me lo dimentico ( ) Però devi dirmelo ( ) Solo così posso saperlo (239-240) ‘Albert – cosa? – Se me lo dici, almeno lo so’ (247).
La Street art nel South Bronx di cultura ispanica, il ghetto più povero degli US (250). La località si chiama il muro, dove i graffitisti in contatto con le suore francescane del posto disegnato angeli per i bambini morti. C’è la bambina invisibile, Esmeralda, che vive tra le rovine; il capo banda si chiama Ismael, come l’Ismaele di Melville; la cultura popolare qui ibrida la religione con la cultura tribale del degrado.
Con un ostentato paradosso la suora si chiama Edgar come l’Hoover del prologo. Aids e degrado:
‘Solo la scommessa con la morte può gratificare la vanità’ (254).
I temi di U circolano fluidi, la suora vede su Time l’illustrazione dell’installazione nel deserto, emergono altri frammenti in una ‘interminabile catena di collegamenti’ (263) che denuncia il tessuto della scrittura e della possibilità di raccontare qualcosa che non si scorge nella realtà stessa.
Poi siamo alle spalle di un assassino seriale che descrive la sua ricerca di identità nello specchiarsi di un’intervista televisiva (277).
La nube della non conoscenza, 1978. Ancora l’lo narrante, tornando indietro al 1978.
DL ha detto di rifarsi al Cinema, e questi scarti temporali sono anche filmici.
Le Watts Towers a Los Angeles (292) sono ancora una volta segni della sottocultura popolare che utilizza gli scarti (Simon Rodia, immigrato italiano, 1921-1954). I rifiuti tossici sbarcati nei paesi poveri (294): ‘verso il futuro. Il Futuro dei Rifiuti’ (299). La discarica, la spazzatura e la formazione della civiltà stessa (304-305).
L’odore dei rifiuti e quello terribile delle feci (324-333); Un brano bellissimo e virtuosistico di parlato puro desunto forse dal cinema (346); il jazz come musica nera., Il censimento e i neri (357).
I frammenti poetici in queste pagine sono così frequenti e delicati, così sorprendenti, che è impossibile ricordarli tutti, si dovrebbe rileggere tutto il libro più volte (363). A pag. 368 la terza pagina nera.
Il racconto torna al 1951, l’anno iniziale (371). Una sezione brevissima (fino a pag. 389), e si arriva subito alla quarta pagina nera, all’ennesima dissolvenza.
C’è la figura delicatissima del vecchio oratore: ‘la testa come un uovo dischiuso pieno di venature’(375).
DL ha dichiarato di agire sulla parola come se la stesse plasmando, come se la parola fosse una scultura, c’è una cura estrema della costruzione pura della scrittura che emerge perfino da una traduzione come questa che mi sembrava all’inizio inferiore a quella di Rumore bianco.
Cocksucker Blues 1974. Il titolo ripete un’espressione oscena che fece condannare il comico Lenny Bruce, una figura storica che DL ha preso dalla cronaca reale degli anni ’60 (cfr. Trainini 2016).
Scrittura poetica, la città dei palazzi con le sue decorazioni di inizio Novecento è visionaria (395). Il mito fatiscente della musica rock. Il pittore di Street art che le due donne cercano sembra modellato sulla figura di Sharf: ’umanoidi da cartone animato, dagli occhi sporgenti’ (421).
Le esplosioni nucleari nel deserto e gli effetti sulle persone ignare. Brani bellissimi, emozionanti, dove più che mai agisce lo stupore per le cose più usuali. Riemerge in continuazione il ricordo del padre scomparso nel nulla (432), un segno della precarietà che domina il romanzo intero.
Chi pensa a questo romanzo come a una rivisitazione della storia americana sbaglia, perché la scansione dei tempi storici, dislocata e impaginata a strati scomposti, è la zavorra che permette a DL di scrivere una storia infinitamente più importante, la capillare fenomenologia dei gesti e delle suggestioni individuali, dello stupore che si prova per ogni minima cosa.
Nella figura di Klara DL ripensa evidentemente all’esperienza creativa del passaggio dall’informale e dalla pittura materica, che ossessiona l’artista, fino all’installazione post concettuale, gli aerei nel deserto che poi K realizza nel ’90.
In un pseudo film inedito di Ejzenstejn, legato forse al ricordo di un film incompiuto del regista sul Messico, K assiste a un cinema che torna al muto per dare valore solamente alle immagini (454).
Poi c’è ancora una dettagliata analisi del fenomeno della Street art (461).
Le suggestioni delle armi e degli aerei sono più forti del desiderio di osservare la natura di una riserva (476).
‘Era l’estate dei terrazzi sui tetti’ (500): questi momenti affascinanti e ipnotici materiano l’intero libro con una intensità che ho trovato, dopo l’Ulisse, solamente ne I Quaderni di Malte.
Video art (519). Il filmato della morte di K riprodotto in tempi diversi in una parete di video rievoca le opere di Paik (cfr. Esteticità per la coincidenza che ho descritto a suo tempo tra il video di K e il primo video in strada di Paik nel 1963).
L’io narrante ricorda il suo omicidio involontario.
1962. Il comico Bruce commenta in termini grotteschi la crisi di Cuba (536). 1953. Ancora l’omicidio: ‘era un gesto privo di storia’ (541).
La banalità quotidiana straniante come un’opera di Pop Art (546).
1964. Repressione poliziesca di una manifestazione antirazziale (555). La Pubblicità (561). I salti improvvisi degli eventi e delle date suggeriscono senza tregua la fenomenologia della memoria discontinua, situazioni che stridono per la loro diversità sono scandite e quasi sovrapposte dalla memoria, DL è un Proust del XXI secolo che parla con la voce di Joyce.
1967. La contestazione studentesca (637), la guerra del Vietnam (647), le grandi zone di storia americana qui sono territori delimitati dagli steccati della memoria dove coincidono memoria collettiva e memoria individuale. DL trascrive la realtà che gli arriva filtrata dalla memoria collettiva, e anche questa è una lezione preziosa di Joyce.
1965, NY al buio (658). Pagina nera.
Manx Martin 3 1951. Bellissima scrittura fluida, sicuramente memore della tradizione dei grandi narratori americani. DL utilizza la stessa tradizione stilistica della narrativa americana come retaggio collettivo, in una intervista ha raccontato di uno studente che parlava come Hemingway.
Pagina nera. Le dissolvenze si fanno più stringenti.
Composizione in grigio e nero 1951-1952. Affascinante incursione nel quartiere italiano del Bronx, dove DL è nato e vissuto.
In una intervista Dl ha dichiarato che ogni cosa descritta nel capitolo sul Bronx è il ricordo di cose vere che lui ha vissuto: ‘ho provato un immenso piacere nello scrivere le pagine che descrivono il Bronx italiano in Underworld’.
Procedendo verso la fine del romanzo cresce la presenza della comunità italiana, con numerose parole in italiano nel testo, poi verrà la comunità latino americana.
L’omicidio involontario, un evento che conferma la precarietà e la paura, l’attesa che accada qualcosa di irreparabile (827):
‘ma prima rivisse la sequenza ed era sempre la stessa ( ) era una specie di storia e stava accadendo lì, nelle loro strade remote e ordinarie’ (831).
1990. ‘Il capitale elimina le sfumature di una cultura’ (835). Test nucleare in Kazakistan, le scorie radioattive, l’orrore dei feti colpiti dalla contaminazione.
‘Si chiama Esmeralda’, inizia così il racconto finale; ‘i poveri hanno bisogno delle visioni’.
Tra il 1991 e il 1997 DL scrive dei racconti che poi inserisce in U, come il brano finale con Esmeralda.
La zingara Esmeralda di Hugo è forse il modello per questa bambina di dodici anni abbandonata a se stessa nel deserto del Bronx e uccisa.
Nelle ultime pagine di U il suo viso sembra apparire sul cartellone pubblicitario illuminato da un treno di passaggio.
Il brano finale ripropone la stessa ambiguità percettiva presente in tutto il romanzo. La bambina scomparsa, Esmeralda, sembra apparire miracolosamente su un cartellone pubblicitario di fronte a una comunità che ha bisogno di credere nei miracoli, ma niente nel testo permette di affermare che si tratti davvero di un’apparizione. Anche in questo caso DL ha cura della sensibilità degli umili e delle forme discontinue del linguaggio collettivo, non è interessato a insensate manifestazioni sovrannaturali, è interessato solamente alla percezione ambigua e fuorviante delle apparenze.
Lo stesso Trainini, attento e sensibile studioso dell’opera di DL, equivoca forse questo brano e scrive della ‘comparsa dello spirito di Esmeralda su un cartellone pubblicitario’ (pag.146), ma l’immagine della bambina, che è una presenza sfuggente e sottratta alla vista della gente come lo è quella di Tuttle in Body Artist del 2001, è evidente solamente per chi la vuole vedere e infatti viene messa in dubbio da chi ha l’ha vista davvero: ‘Io l’ho vista da vicino ( ) e secondo me è stato semplicemente un gioco di luce. Non era affatto una persona. Non era una faccia ma un fascio di luce effervescente ( ) un difetto tecnico che lascia trapelare l’immagine ( ) di un’altra pubblicità coperta da questa’ (874).
La parola finale, Pace, sembra voler sigillare la scia di dolore e di inquietudine che tutto il romanzo ha attraversato.
L’intera struttura di U è materiata da una memoria che riemerge irresistibile dagli strati della memoria collettiva, dalla storia del paese, certo, ma soprattutto dalle diversificate forme del linguaggio che la raccontano, quella storia, e in queste forme DL include anche le diverse modalità narrative della letteratura.
DL non commette mai l’errore di confondere narrativa e pensiero, l’intelligenza vivida che versa nella sua scrittura è sempre incarnata nella parola con una esemplare unità di forma e contenuto.
2. 2017
Nelle rare interviste recenti (2016) DL rivendica con disarmante semplicità la sua qualità di scrittore puro, quasi disinteressato ai contenuti esteriori del racconto e concentrato solamente sulla parola e si rifiuta, a ragione, di commentare la definizione di postmoderno.
4.2017. Body Art (The Body Artist), 2001 (It. 2001-2008, tr. Marisa Caramella)
Denso e contratto nella scrittura, questo romanzo breve lo è anche nei contenuti.
Ho riletto per due volte di seguito il bellissimo libro prima di riuscire a capire bene la doppia, ambigua struttura del testo.
Dispiace dissentire da quanto scrive Trainini (2016), che individua un elemento soprannaturale nella figura dell’uomo che viene trovato nella casa dalla protagonista. Secondo lo studioso, Tuttle è un fantasma del marito morto o comunque un’allucinazione legata al lutto, ma io credo invece che DL abbia tenuto presente il racconto eccezionale di Melville Bartleby lo scrivano (1853) e che abbia cercato un’accentuata dimensione del perturbante legata alla realtà sensoriale, non un improbabile spiritismo.
Anche F. Vittorini, introducendo il saggio di Trainini, incorre, mi sembra, nello stesso equivoco perché riporta dei brani (pag. 10-13) che si riferiscono evidentemente all’uomo misterioso e non al marito della donna: la protagonista non sta cercando la figura del marito, ma una dimensione diversa e per lei sconosciuta che si incarna nella figura perturbante dell’uomo smarrito che ha incontrato.
E’ significativo che anche una studiosa come Cinzia Scarpino, nel volume Guida alla Letteratura degli Stati Uniti (2014), sembri equivocare il contenuto di Body Art, ‘una novella ermetica che riceve recensioni piuttosto negative ‘.
Secondo il succinto commento di S la protagonista si limita a ‘riprodurre i gesti e i movimenti’ del marito scomparso, ma non è questo quello che accade nel libro.
Con questo romanzo DL sembra quindi aver disorientato gli stessi studiosi della sua opera, un segno della difficoltà diffusa nel comprendere una scrittura che è materiata di consapevoli contraddizioni che inducono a molteplici e forvianti possibilità di lettura, una difficoltà che nasce dal prevalere del contenutismo sulla decifrazione della forma narrativa nell’epoca dell’eclisse (momentanea?) della critica formale.
DL introduce apertamente e intenzionalmente nel testo numerosi elementi che sembrano giustificare uno stato allucinatorio: la donna vede per due volte cose animate laddove ci sono solamente oggetti abbandonati, e nel finale del racconto al posto dell’uomo trovato da lei nella casa si trova di un vecchio baule. Perfino i riferimenti al registratore che la donna ha usato per conservare il dialogo con l’uomo sono ambigui e si è spinti a credere che sia lei stessa l’imitatrice della voce del marito che ascolta nelle registrazioni.
DL crea una struttura narrativa di inquietante incertezza e offre intenzionalmente al lettore tutto ciò che lo può indurre a credere in una allucinazione, però la figura dell’uomo è concreta, e viene descritta come quella di un autistico capace di imparare le cose che ha sentito dire, ma non di organizzarle in un comportamento coerente.
Non c’è niente in questa figura che faccia pensare a un fantasma (?) del marito, e neanche a una allucinazione (se lo fosse, come potrebbe estendersi nel tempo così a lungo mentre le altre due sviste sono effimere e occasionali?).
Il dialogo intenso tra la donna e questo uomo disorientato riguarda solamente lo sgomento e la scoperta di un comportamento, quello autistico, ma DL non usa mai questa parola, che sembra ignorare la logica comune. Lei è affascinata da questa impersonalità, perché come artista del corpo coltiva la trasformazione morfologica, e impara dall’uomo le modalità della metamorfosi, non sta vedendo nessun fantasma.
DL offre un telaio di dettagli che sembrano suggerire apertamente la presenza di un’allucinazione provocata dal dolore della perdita, e d’altra parte costruisce parallelamente la situazione reale dell’incontro con l’uomo, che è verosimilmente un malato di mente sfuggito al controllo degli altri per rifugiarsi da solo nella casa dove ripete ciò che sente dire per ricomporre a fatica la sua identità scomposta. Quando la donna, nel giorno della sua sparizione improvvisa, chiama un ospedale del posto, gli confermano che un uomo bisognoso di cure è stato appena trovato e ricoverato e lei lascia consapevolmente nell’incertezza questa notizia, senza chiedere ulteriori dettagli, perché non considera Tuttle un malato di mente, ma piuttosto una persona capace di vivere in una dimensione diversa dalla sua.
Ci sono due piani paralleli curati con la stessa intensità con i quali Dl coltiva la sua poetica dello straniamento di ciò che appare come troppo familiare. Se avesse introdotto nella sua opera di scrittore un fantasma avrebbe aderito a una forma di letteratura, quella del fantastico, che non lo riguarda minimamente, come il fantastico non riguarda minimamente Giro di vite di James, che è stato oggetto di una analoga incertezza interpretativa (cfr. Henry James).
Per quanto riguarda la possibilità che la donna viva una lunga allucinazione, ipotesi che viene negata proprio dal fatto che nel corso del racconto lei confonde per due volte la realtà con la percezione alterata di oggetti inanimati, un fenomeno del quale quindi è perfettamente consapevole, DL sembra aver pensato ai racconti di Poe, laddove una percezione alterata dai sensi porta a vedere cose concrete in situazioni che alla fine risultano illusorie; in BA si parla di rumori prodotti forse da un piccolo animale intrappolato nelle pareti della casa, come nel Cuore rivelatore, ma lo straniamento che nasce del contatto tra le due figure ha la sua concretezza nell’incontro con il diverso, è questo che evidentemente interessa DL.
I dettagli narrativi che mettono in dubbio la realtà materiale di questo incontro corrispondono a certi dialoghi in Underworld, dove le ipotesi sulle terribili responsabilità relative agli esperimenti militari che danneggiano i cittadini ignari sono sempre associate a incredulità e a scetticismo, un contrappunto che crea uno spazio di costante indeterminatezza della percezione aperto costantemente verso la sensibilità del lettore.
Tuttle incarna un’esperienza radicale del linguaggio che avrebbe avuto luogo anche senza la morte del marito della protagonista, è irrilevante e incongruo pensare che si tratti di una presenza irreale, che comunque non è.
Nella figura di Tuttle ogni dettaglio del comportamento (autistico) porta all’invisibilità, esattamente come avviene nell’impressionante Bartleby di Melville, e il testo intero di DL congiura per assicurare questa invisibilità autistica fino al punto di deporre insistentemente a favore dell’ipotesi fuorviante di un fantasma o di una allucinazione.
Non si può dimenticare che DL fa parlare le cose, non le racconta, da voce alle forme più contraddittorie del linguaggio e delle opinioni. La delicatezza estrema dell’incontro tra la donna e Tuttle nasce dalla compassione profonda che DL prova per gli esseri umani più fragili.
C’è un’intercapedine nella quale la fertile erroneità della percezione lascia sovrapporre la suggestione effimera di due diverse realtà. Non ci sono fantasmi e apparizioni, in DL, c’è una grande, commovente pietà antropologica e un’attenzione che non viene mai meno per la pura specificità della scrittura e della parola.
2017
Le opere di DL che seguono Body Artist (2001) mostrano una irreversibile perdita di intensità della sua poetica del perturbante. All’ambiguità sfuggente della percezione sensoriale subentra una più netta messa a fuoco di eventi legati esplicitamente alla morte e al tempo, e la scrittura ne risente, il fascino sottile del perturbante è perso.
L’uomo che cade (2007), tradotto da Matteo Colombo nel 2008, è un brutto romanzo, il telaio di minute suggestioni che DL ha saputo creare fino al 2001 non stende più la sua elastica struttura nel corpo del racconto.
Gordon Douglas 24-Hour Psycho,1993
Point Omega, 2010 (It. 2012, traduzione di Federica Aceto, Einaudi)
PO è un’opera debole, stanca e ripetitiva. E’ molto interessante la prima parte con la descrizione del video di Douglas, che dimostra ancora una volta quanta intelligente attenzione sia stata rivolta da DL all’arte, ma il romanzo è brutto e non è all’altezza delle opere migliori dello scrittore.
2017
Zero K, 2016 (It. 2016, tr. F. Aceto, Einaudi)
Ad oggi (4.2017) questo è l’ultimo libro dell’ottantenne DL. Sono molto deluso dalla pessima traduzione di Aceto, traduttrice anche di Point Omega. Avevo pensato a suo tempo che la traduzione di U fosse inadeguata, ma poi ho finito per leggere il libro con grande piacere, e lo rileggerò sicuramente, adesso però devo arrendermi, PO e Zeta sono effettivamente due opere stanche e ripetitive, vuote, illeggibili, e la pessima traduzione ne ha semplicemente esasperato i limiti.
12.17. Mao II, 1991 (It.1992-2003 tr. D. Vezzoli). Purtroppo anche questo libro, scritto prima di U, è davvero brutto e sbagliato.
Dopo un centinaio di pagine l’ho abbandonato per la noia mortale dovuta a un goffo racconto insignificante. Le forme di DL, sempre tese e suggestive, qui non riescono a reggere un tessuto che è trainato e sfibrato dal contenutismo di una costruzione pesante e sfasata. Ciò che agisce perfettamente in Rumore bianco, il decorso lento alternato all’inquietante percezione sensoriale, i dialoghi che sembrano legati sempre alla stessa persona, queste cose in M sono alterate nei loro rapporti dimensionali e svilite nella riproposizione di un meccanismo manieristico. Ciò che domina U, lo sfaldarsi allarmante dei tempi, la presenza incerta della figure vive contro uno sfondo inerte, qui non funziona perché tutto è appesantito da una ridicola storia raccontata che non interessa a nessuno.
Si legge con imbarazzo la (troppo lunga) scena insensata della ripresa fotografica, dove DL ha dimenticato lo scrittore raffinato e sensibile che era in Rumore bianco. Peccato.
DeLillo e l’arte
Trainini (2016) documenta ampiamente i dettagli del denso rapporto di DeLillo con l’arte, includendo perfino una riflessione sulle singole copertine dei suoi libri.
In un inserto finale di Body Art, un articolo relativo all’opera della Body Art Artist protagonista del racconto, vengono citate varie opere di BA del passato senza nominare esplicitamente gli autori: l’uomo colpito al braccio da un proiettile (Burden, 1971), la performer che ‘si trasforma di continuo’ (Orlan), lo scontro violento dei corpi e il cumolo di carne opere (Abramovic).
In Underworld (1997) l’arte è sempre presente: l‘installazione nel deserto, la Street art, la video art, la pittura di gusto postmoderno.
In Body Artist (2001) c’è naturalmente la performance.
In Point Omega (2010) c’è l’installazione di Gordon Douglas 24-Hour Psycho del 1993.