Design grafico

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Design grafico

Quando il design grafico ha l’opportunità di eludere l’insidia e l’equivoco dell’illustrazione riesce a esaltare il valore della parola stampata liberandola dalla troppo fascinosa rigidezza epigrafica e dalla prassi ripetitiva dell’iconicità tipografica.

I primi rari articoli sull’argomento li ho letti nell’80 nella preziosa rubrica interdisciplinare di Quintavalle, scritti proprio negli anni in cui lo studioso iniziava ad operare per il suo centro di documentazione di Parma.

Nel 2015 ho redatto il catalogo della mostra che ho curato per la Biblioteca del Liceo Scientifico Statale Augusto Righi di Roma:

Il design grafico editoriale nei libri della Biblioteca Righi
Maggio 2015

http://www.liceorighiroma.it/?page_id=8125

La quarta mostra della Biblioteca Righi costituisce un invito a conoscere meglio un interessante campo della creatività, il design grafico editoriale, e a guardare con occhi diversi i libri che consultiamo e leggiamo tutti i giorni senza chiedersi mai chi ne abbia progettato la forma.
Ebbene, attraverso i libri della Biblioteca è possibile ripercorrere questa entusiasmante avventura della creatività: si passa dalla freschezza epigrafica del lavoro di Giovanni (Hans) Mardersteig, il geniale tipografo tedesco-italiano studioso delle forme cinquecentesche e continuatore ideale del neoclassico Giovanni Battista Bodoni, allo sviluppo dell’editoria dei tascabili, avviata dalla tedesca Reclam nel 1867 e poi continuata dall’inglese Penguin (1935) e dalla nostra BUR (1949); dalla vicenda della sperimentazione neoilluminista del generoso Albe Steiner e dall’eclettismo di Max Huber a quella dell’interessante pervasività di Anita Klinz; dall’osmosi tra il razionalismo architettonico del design industriale, che si innesta nell’editoria con Enzo Mari e Bruno Munari, alla suggestione delle forme che dialogano a distanza con la segnaletica urbana di Massimo Vignelli e di Bob Noorda. E chiude il percorso la fresca creatività di Giovanni Lussu, che attesta il colto interesse per una serena continuità della tradizione grafica incentrata sulla parola.
L’ambizione di questa mostra: chiarire attraverso gli esempi concreti la specificità del design editoriale, che non deve essere confuso con l’epidermica illustrazione e tanto meno con la mera applicazione delle regole tipografiche.
E’ inutile qui accennare ai tanti interessanti studi e alla corposa letteratura critica esistente su questo argomento, ma per chi desidera conoscere meglio questo territorio affascinante ci sono intanto uno splendido, illustratissimo, libro normativo, Storia del design grafico (2003), redatto da due specialisti, Daniele Baroni e Maurizio Vitta.

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Il doppio registro del design grafico editoriale

Vitruvio, De Architettura,1523
Valerio Massimo,Moralium exemplorum,1546

Ci sono due bellissimi libri del Cinquecento, frutto maturo delle forme elaborate tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento da artefici geniali come Francesco Griffo e Aldo Manuzio, il De Architettura di Vitruvio, stampato nel 1523, e il Valerio Massimo del 1546, nei quali è possibile osservare nella sua completezza la pura specificità della grafica editoriale, a dimostrazione del fatto che è sempre esistita una razionale progettazione creativa del libro e che il design grafico contemporaneo non ha fatto altro che attingere umilmente da questa magnifica, ininterrotta tradizione creativa.

Nel Vitruvio sono presenti tutti gli elementi connotativi che caratterizzano la grafica editoriale: l’incisione della cornice è stata schiacciata fino ad annullare il suo rilievo plastico per farla aderire pienamente alla pagina e impedire il prevalere indesiderato dell’illustrazione, mentre l’affascinante scritta centrale esalta la parola calibrandone le dimensioni e inserendo un raffinato e delicatissimo colore rosso che rievoca il bolo con il quale si riempivano gli incavi epigrafici delle lapidi: tutto è regolato dal protagonismo assoluto della parola e dai modi storici della sua trascrizione libraria rielaborando creativamente quegli elementi che tenderebbero invece ad ostacolare la specificità del libro, come la materialità del rilievo delle coperte (qui ridotto ad inerte fregio grafico) e la dipendenza vincolante dall’epigrafe scolpita (qui declinata in segni trasparenti e delicatamente cartacei).
Nel Valerio Massimo lo splendore grafico, che qui lascia davvero senza fiato, emerge all’interno dell’impaginazione a caratteri variabili esaltando la parola letta e pensata nell’esentarla da ogni clausola illustrativa.

Evangeliario di Lindsfarne, Irlanda, 698-721 c

Il design del libro si muove però nei binari di un doppio registro, perché accanto all’esaltazione della parola scritta che viene letta individualmente e in silenzio, quella del Vitruvio e del Valerio Massimo, ci sono i grandi libri medioevali con i quali si sperimentava invece una frenetica proliferazione grafica con lo scopo implicito di captare le suggestioni visive del caotico contesto urbano fatto di coloratissime epigrafi monumentali, di mutevole segnaletica cittadina, di forme artistiche, di tessuti.
Bene, il design editoriale di oggi continua a percorrere questo doppio binario, a coltivare un doppio registro espressivo, e questo spiega la legittima e conflittuale convivenza tra chi cerca la pagina concentrata sulla parola e quasi denudata dei segni superflui e l’entusiasmo di chi invece cerca le forme sperimentali più aperte alla contaminazione del mondo.

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Il classicismo epigrafico di Mardersteig

La letteratura italiana. Storia e testi, vol. III, 1959, Editore Riccardo Ricciardi,Milano-Napoli
Stamperia Valdonega di Verona

Giovanni (Hans) Mardersteig (Weimar 1892-Verona 1977) il colto tedesco educato a Lipsia e naturalizzato in Italia, studia le forme tipografiche della tradizione italiana, da Griffo e Manuzio a Bodoni e conferisce alle sue opere una lucida evidenza epigrafica di sapore classico: per la splendida collana dedicata alla Letteratura italiana (1952) rielabora i nitidi caratteri bodoniani; l’opera viene impressa nella sua tipografia di Valdonega, aperta a Verona nel 1949 dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana (1946).

E’ significativo e rivelatore che il segno distintivo della Ricciardi sia esplicitamente mutuato da quello di Aldo Manuzio.

Giovanni Mardersteig

Giovanni (Hans) Mardersteig, appassionato di arte e laureato a Jena, lavora come tipografo e come editore a Lipsia e a Monaco (1917-1921); nel 1922 si trasferisce nel Canton Ticino presso Lugano, dove può cominciare a stampare con una sua tipografia, l’Officina Bodoni, utilizzando i punzoni originali di G. B. Bodoni, il geniale tipografo neoclassico di fine Settecento, conservati a Parma. Nel 1924 frequenta S. Morison, ideatore del carattere Times New Roman (1931) per il quotidiano Times di Londra, con il quale condivide il raffinato gusto per le forme del passato italiano. Trasferitosi a Verona (1927), opera con Mondadori per l’edizione in 49 volumi delle opere complete di D’Annunzio (1927-1936); nel 1936 disegna i caratteri specifici della sua tipografia guardando agli autori rinascimentali che ha sempre amato e studiato.
Ai suoi modelli si rifanno la collana Medusa di Mondadori (1933) e la londinese Penguin (1935).

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La tradizione neoclassica di Bodoni

Epithalamia, 1775, Parma; G. B. Bodoni ritratto da Andrea Appiani, 1799, Parma;
Opere di Plauto, Parma

Nella vicenda del recupero storico novecentesco dei caratteri neoclassici elaborati da Giovanni Battista Bodoni (Saluzzo 1740-Parma 1813) c’è un interessante paradosso: Bodoni aveva espresso la sua volontà di creare solamente libri eccellenti, di alto prestigio e destinati ad una élite, ignorando ‘il comune’, ma le sue forme tipografiche, apertamente ispirate all’epigrafia romana, hanno finito per assicurare una forma dignitosa alle più importanti edizioni italiane di carattere popolare proprio in virtù della loro disarmante chiarezza, e sono appunto La letteratura italiana del 1952 disegnata da Mardersteig, appassionato cultore e studioso di Bodoni, e la Biblioteca Universale Rizzoli (1949), la più economica collana dei tascabili.

Max Huber, logo per La Rinascente, 1950; Albe Steiner, Il Contemporaneo,1957; Emporio Armani

E i limpidi caratteri bodoniani si ritrovano anche nelle copertine del Touring Club Italiano (1931), nei logo dell’IBM, dell’ENI, di Armani, in quello de La Rinascente disegnato da Max Huber nel 1950, nelle edizioni della Galleria del Milione, e perfino ne Il Contemporaneo di Albe Steiner.

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Continuità storica e stile grafico del libro tascabile

Edizioni Reclam:XIX sec.(Faust),1899,1901,1921
1937, 1938, 1938, 1938

Il Fondo Storico della Biblioteca Righi possiede una serie preziosa di volumetti della Reclam conservati nella cospicua sezione di libri in lingua tedesca. Uno di questi è il Faust di Goethe, che fu la prima opera pubblicata nel 1867 da questa storica casa editrice di Lipsia: la copia Righi è purtroppo priva di data a causa della sottrazione di alcune pagine e per ora non è dato sapere con certezza se si tratta di questa prima opera Reclam.

La Reclam Universal-Bibliothek, l’editoria di tascabili destinata alla divulgazione dei testi classici a prezzi popolari, nasce a Lipsia nel 1867: un modello fortunato che nel Novecento viene adottato con successo dalla Penguin inglese e dall’italiana BUR. Come è stato sottolineato da tutti gli studiosi di grafica, all’editoria dei tascabili popolari a basso costo corrisponde una ricerca sofisticata di design editoriale: la specificità del design grafico viene alimentata, non ostacolata, dalla sfida posta dalla serialità e dalle piccole dimensioni del libro.

E’ interessante notare come la grafica della Reclam passi dall’austerità ottocentesca alla forte connotazione Art Nouveau di inizio secolo per ridurre poi l’elemento decorativo negli anni ’30 introducendo gradualmente dei modesti elementi illustrativi.

Nel 1970, proprio mentre la BUR sta abbandonando la sua raffinata copertina grigia a favore dell’illustrazione, la Reclam introduce una sobria copertina completamente gialla e vuota.

Il tascabile cinquecentesco

Correggio, Ritratto di uomo che legge,1517-1523, Castello Sforzesco, Milano

Si suppone che l’uomo ritratto nel delicato dipinto di Correggio stia leggendo un ‘petrarchino’, il tascabile dedicato alle rime di Petrarca edito nel 1501 da Aldo Manuzio a cura del suo amico Pietro Bembo, un piccolissimo libro in formato in ottavo redatto con raffinati caratteri in corsivo, ed è significativo che Longhi abbia pensato a suo tempo ad un Libro d’ore, il modello medioevale del tascabile manuziano.

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Essenzialità epigrafica della BUR 

Carlo Baudelaire, Lo spleen di Parigi, poemetti in prosa, 1955, Biblioteca Universale Rizzoli, n.906-907

In uno dei libri più importati per lo studio della grafica editoriale, il catalogo della fondamentale mostra bolognese Disegnare il libro (1988), si legge un’affermazione che oggi appare davvero imbarazzante: secondo gli autori del testo, la BUR storica, che nel 1972 sarebbe stata ‘seppellita’ (?) dall’avvento di una diversa gestione, mostrava una ‘assenza totale di elementi visivi’.
Un’assurdità: nella grafica della BUR lo specchio delicatamente epigrafico della copertina ha la sobria eleganza dei caratteri bodoniani (all’interno New Roman Times) che gli conferisce una suggestiva, affascinante dignità senza tempo; la stessa leggerezza materiale del libro e le sue dimensioni rispecchiano il piacere di una lettura intima e assorta che non ha nessun bisogno di essere sollecitata dall’illustrazione e da caratteri tipografici più facilmente leggibili.

Seguendo il modello della Reclam tedesca, dal 1949 la BUR, curata da Paolo Lecaldano, ha edito i classici italiani a prezzi popolari. Nel 1972, al momento del cambio di gestione, i titoli pubblicati erano 909. Dal 1974 al 2010, con l’integrazione della saggistica e della narrativa voluto da Mario Spagnol, i titoli editi sono stati 3200.
Nel 1952 la collana é stata dichiarata di ‘importanza mondiale’ dall’Unesco.

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La BUR di John Alcorn

Joseph Conrad, Il compagno segreto, 1981, BUR (II edizione). Grafica John Alcorn.

Dal 1972-1974 la BUR cambia forma grafica: la disarmante sobrietà del delicato grigio polvere lascia il posto all’invadente illustrazione dell’americano John Alcorn (Corona, USA, 1935 – Italia 1992) che importa con enorme successo di pubblico il gusto del Push Pin Studios fondato nel 1956 da Milton Glaser e altri, una scuola grafica che salda la tradizione del libro popolare per l’infanzia alle inquietudini underground che prevedono una simulata, attonita ingenuità.
Significativamente Alcorn disegna i titoli di Amarcord di Fellini. Il suo archivio è conservato a Milano.

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Le contraddizioni del design grafico

J.D. Salinger, Il Giovane Holden, 1970, Einaudi

Il caso della copertina de Il giovane Holden (1951) di J. D. Salinger è rivelatore dell’insofferenza che a volte gli editori mostrano nei confronti dell’esplicita volontà dell’autore a favore di una copertina aniconica che valorizzi pienamente la parola scritta.

Il Giovane Holden (The catcher in the rye) nell’edizione americana del 1951 con l’illustrazione di Michael Mitchell

Salinger voleva per il suo libro una copertina completamente bianca, e l’editore Einaudi, dopo una prima edizione illustrata (1961) ha poi rispettato nel 1970 questa sua scelta prettamente estetica (i primi white painting completamente bianchi di Robert Rauschenberg sono del 1951), ma l’edizione americana del romanzo fu condizionata invece dall’invadente e incongrua copertina illustrata da Michael Mitchell; una scelta editoriale miope perché in questo modo si preferiva un epidermico e retorico riferimento al Simbolismo più generico in luogo di una intelligente complicità con le più avanzate ricerche artistiche del momento.

Edizione Einaudi del 2001
Robert Rauschenberg nel 1951 con uno dei suoi primi White painting

E il precedente più interessante di questa aperta contraddizione tra un design editoriale che sia aderente alla parola scritta e pienamente rispettoso della specificità del libro e un design che è invece troppo condizionato dal gusto esteriore dell’illustrazione è quello della vicenda editoriale dell’Ulisse di James Joyce.

Prima edizione dell’Ulisse, 1922, rispettosa della volontà di Joyce;
Edizione americana del 1934 con la soluzione grafica di Ernst Reichl

Joyce aveva previsto per il suo libro la semplicità disarmante del colore del mare, ma nella edizione americana del 1934 Ernst Reichl, ignorando deliberatamente la volontà dello scrittore, elaborò invece una grafica apertamente seduttiva rievocando, forse inconsapevolmente, le forme Liberty e Art déco già sperimentate da due sensibili creativi dei primi anni del XX secolo: J. Hoffmann e M.Macdonald, moglie e collaboratrice di C.R. Mackinstosh.

Il suggestivo ex libris disegnato da Josef Hoffmann nel 1903 per Ver Sacrum;
Menu disegnato nel 1911 da Margaret Macdonald

Il risultato del (sopravvalutato) lavoro di Reichl è quello di un manieristico design fascinoso, ma superficiale, che rivela forse anche una sostanziale incomprensione per il libro di Joyce che non ha mai voluto essere una vuota e sensazionale sperimentazione fine a se stessa.

Nel 2013 Einaudi ha pubblicato una nuova traduzione dell’Ulisse e ancora una volta ha scelto di rispettare la volontà dell’autore: la copertina ha il blu marino della prima edizione voluta da Joyce.

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Penguin

Edizioni Penguin del 1972, cover di David King, art director Germano Facetti

Erede, come la BUR, della Reclam, la Penguin Books nasce a Londra nel 1935 e realizza una serie straordinaria di tascabili economici fino al 2013. La sua è un’importante officina di sofisticate soluzioni grafiche; nel 1960-1972 è responsabile del design un italiano, Germano Facetti (Milano 1926, Sarzana 2006).
Facetti frequenta gli studi degli architetti milanesi, poi lavora e studia in giro per l’Europa: nel 1950
è a Londra, poi a Parigi; Dal 1960 al 1972 è a Londra alla Penguin Books per la quale pianifica una maggiore visibilità illustrativa con un processo di riformulazione dell’impostazione grafica analogo a quello attuato da Alcorn per la BUR dal 1972 in poi.

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Illuminismo critico di Albe Steiner

F. Klenn, Storia della tecnica,1959,Feltrinelli, design Albe Steiner

Quello di Albe Steiner (Milano 1913 – Raffadali 1974) é un progetto creativo a tutto campo che prevede un processo di osmosi tra la forma del design editoriale e il contenuto dei testi in una sintesi emozionante che si avvale di soluzioni sempre diverse e sempre sostenute da una forte percezione della loro concreta e occasionale necessità.
In questo volume scolastico per Feltrinelli Steiner recupera esplicitamente la forza iconica della grafica illuminista dell’Enciclopedia di metà Settecento che coniugava l’impegno etico con la più rigorosa disciplina dell’incisione.

Un’illustrazione dell’Enciclopedia,1751-1765

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Albe e Lica (Covo) Steiner

Albe Steiner trasmette al mondo professionale della grafica editoriale la sua trascinante passione civile. La sua cultura è caratterizzata da un illuminismo di fondo che è materiato ecletticamente sia dallo studio delle soluzioni sperimentali più avanzate del Bauhaus che dalla severità amara del Neorealismo italiano. Con la moglie Lica Covo (Milano,1914-2008) condivide prima la militanza nella Resistenza e nel PCI(Albe era nipote di Matteotti) e nel PCI e poi, per tutta la vita, l’attività professionale di grafico che ha inizio dalla sua frequentazione dello Studio Boggeri di Milano, la grande scuola della grafica italiana dove la progettazione editoriale estesa a tutte le tipologie vive in osmosi con la ricerca fotografica e con la pubblicità.Nel dopoguerra lavora per Il Politecnico di Elio Vittorini (Einaudi). Dal 1948 insegna a Milano alla Scuola Rinascita, collabora con Feltrinelli, Einaudi, Zanichelli, disegna L’Unità e Rinascita, lavora con l’Olivetti. Dal 1950 al 1954 è alla Rinascente. Docente all’Umanitaria, tiene corsi a Venezia e ad Urbino. Si impegna per i diritti della categoria.

Il senso della sua creatività non è da cercare nelle singole opere realizzate quanto piuttosto nel contesto vastissimo del suo campo d’azione sempre permeato di irrinunciabili valori etici.

La cultura visiva di Albe Steiner

1953 / 1959 / 1959 / 1962

L’opera di Steiner è profondamente segnata dalla forte volontà di ricostruire un vasto, composito scenario capace di documentare la cultura italiana del dopoguerra: manifesti di protesta civile, icone storiche, segni amari del cinema neorealista, suggestioni esplicite della pittura meno epidermica.

László Moholy-Nagy,1923; Steiner, Zenzero,1959

Le normative soluzioni tipografiche del Bauhaus e delle avanguardie storiche sono adottate da Steiner con un inedito pathos.

A destra: un Manifesto del Bauhaus; a sinistra copertine del 1959 e 1960 curate da Steiner

La sperimentazione interdisciplinare degli anni Venti lo educa ad ibridare l’immagine fotografica con il colore e con la parola in una brusca collisione che rispecchia un doloroso pessimismo di fondo. Il cinema di Rossellini gli suggerisce sicuramente forme materiate di sgomento.

A sinistra: un fotogramma da Roma città aperta di Roberto Rossellini,1945
A destra: due copertine curate da Steiner nel 1962 e nel 1963.

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L’innovazione del libro scientifico scolastico

Scienza della terra, 1974, Zanichelli, grafica di Albe Steiner
Jay Orear, Fisica Generale, 1971, Zanichelli, grafica di Albe Steiner

Steiner conferisce alle pubblicazioni Zanichelli per la Scuola una luminosa e confortante freschezza, e all’interno dei volumi l’impaginatura è sempre guidata da un inedito gusto grafico.

Dal 1969 al 1974 Steiner lavora per Zanichelli contribuendo al rinnovamento delle edizioni scolastiche delle quali cura con attenzione pagina per pagina, e l’incontro di Albe con questa casa editrice è emblematico di una fase storica che vede la riforma della scuola del secondo dopoguerra.

La Zanichelli, fondata a Modena nel 1859, con sede a Bologna dal 1866, è l’editrice protagonista dell’educazione scientifica italiana: nel 1864 pubblica per prima Darwin, nel 1921 Einstein; lavorano per la casa editrice studiosi come Federigo Enriques e Fermi. La stretta collaborazione con Carducci porta in dote una vitale solidità culturale.

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Una selezione di volumi della Collana di monografie scientifiche (dal 1965 al 1972)

Per la bella collana ideata e diretta da Delfino Insolera per Zanichelli Steiner sceglie immagini attraenti e stimolanti per l’immaginazione che rispecchiano bene la matrice illuminista della sua cultura.

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Presenza di Max Huber

AA.vv. Albe Steiner, Comunicazione visiva, 1977, grafica Max Huber

Max Huber (Baar, 1919 – Mendrisio 1992) ha reso omaggio al suo amico Albe Steiner curando il catalogo della grande mostra a lui dedicata nel 1977 al Castello Sforzesco di Milano (Edizioni Fratelli Alinari)

Max Huber

Il designer svizzero Max Huber è uno dei tanti autori stranieri attivi in Italia: dopo aver coltivato la raffinata cultura grafica della Svizzera di Max Bill si stabilisce a Milano (1940) dove collabora con lo Studio Boggeri; a Brera conosce Munari e Steiner; nel 1948 progetta il 24Ore (che nel 1965 si unirà al Sole,1865). Lavora per Einaudi; nel 1950 disegna il marchio per La Rinascente; insegna.
Dal 2005 c’è un Museo Max Huber a Chiasso.

V. Majakovski, Lenin,1946, Einaudi

In contrasto con l’esuberanza irrefrenabile dell’attività più matura di Huber, la raffinata, delicatissima, copertina per il libro su Lenin del 1946 risente della severità neorealistica condivisa con Steiner.

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Eclettismo editoriale

Esther Mccoy, Richard Neutra, 1960, Il Saggiatore, Mondadori, progetto grafico di Anita Klinz in collaborazione con Elio Uberti.

Il libro fa parte della collana in sei volumi I grandi maestri dell’architettura contemporanea.

Anita Klinz (Abbazia, Croazia,1925 – Italia, 2013) caratterizza il suo lavoro di art director con un fertile e disinibito eclettismo che le permette di progettare pervquesto libro per l’architetto Neutra un reticolo grafico che si estende a tutto il volume, mentre nelle altre tantissime opere editoriali curate da lei opta liberamente per una varietà di soluzioni creative che spaziano dal rigore più ortodosso delle avanguardie storiche alla più immediata, elementare icasticità.
A volte sceglie delicate soluzioni poetiche che si avvalgono della fotografia sfocata e consapevolmente negligente.

I volumi curati personalmente da Klinz per la collana Il Saggiatore adattano alla scabra essenzialità dell’architettura costruttivista la differenziata calibratura dei moduli tipografici dei libri del passato più remoto.

Anita Klinz

Anita Klinz è per anni l’art director della Mondadori: come supervisore segue ogni fase della produzione, dall’impaginazione alla scelta dell’illustrazione per le copertine. La sua direzione editoriale passa da opere severe e scarne come quelle della collana Il Saggiatore ad Urania, ai Gialli Mondadori e ai periodici come Epoca; collabora con gli illustratori più popolari, come Ferenc Pintér e Karle Thole, ma a volte sorprende con scelte di raffinata concettualità.
Conclusa la sua vita professionale si ritira in una rigida clausura negandosi anche a chi vorrebbe studiarne l’opera.

Nel 1964 progetta per 40 Storie americane di guerra una splendida copertina ispirata evidentemente alla forte pittura iconica americana di quegli anni.
Nel 1968 crea con Bruno Binossi e Ferruccio Bocca un’affascinante copertina fatta di delicate, poetiche cancellature che evocano le ricerche più sottili della fotografia (Folco Portinari, Il cambio di moneta. Poesie, 1968, Mondadori).

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Rigore logico

Niels Bohr, I Quanti e la vita, 1965 (ristampa 2003)
Ernst Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, 1977 (ristampa 2001)
E. Stabler, Il pensiero matematico,1970 (ristampa 1974)
Universale Bollati Boringhieri, design Enzo Mari

Con l’opera di Enzo Mari ((Cerano, 1932) il design industriale innesta la sua logica formale temperata dalla Gestaltheorie nel design editoriale con una ammirevole unità di forma e di contenuto che emerge soprattutto laddove il rigore progettuale dialoga con il rigore scientifico.

Enzo Mari

Enzo Mari è uno dei più noti protagonisti dell’Industrial design; si educa a contatto con la ricerca d’avanguardia, conosce Bruno Munari. Dal 1963 è docente di design, di Architettura e di Storia dell’arte.
Le opere di Mari sono esposte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al MOMA di New York e alla Triennale Design Museum di Milano.

Calendario Formosa, 1962; Tavolo Frate, 1973

Nelle sue tante opere di design vige la stessa serena razionalità che risplende così nitida anche nelle sue realizzazioni editoriali.

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Leggerezza e trasparenza

Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, 1962, Einaudi
Einaudi;W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1977, Einaudi (ottava edizione)
Grafica Bruno Munari

Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998) coniuga il rigore strutturale del progetto alla leggerezza ludica che l’estetica contemporanea ha scoperto e adottato a contatto con le forme della creatività infantile dall’inizio del Novecento in poi ma la sua educazione alla forma essenziale deriva anche dal Suprematismo e dall’Astrattismo italiano.

Bruno Munari

Munari opera con lo scopo di saldare il territorio della creatività a quello della produzione industriale e la ricerca di estrema essenzialità del Suprematismo e del Minimalismo conferiscono al suo lavoro per l’editoria una disarmante semplicità strutturale.

Per Einaudi collabora con Max Huber (1962-1972), che porta in dote la fertilità del colto design svizzero.

Le sue soluzioni grafiche sono apertamente debitrici delle sperimentazioni del passato.
A destra: composizioni editoriali di El Lissitzky.

Cubo (posacenere),1957; Abitacolo, 1971

Leggerezza e trasparenza sono sempre coerentemente i canoni del suo progetto.

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Il design come segnale

G. Gentile, Genesi e struttura della socetà, 1975, Sansoni, grafica Massimo Vignelli

Con l’opera di Massimo Vignelli (Milano,1931 – New York 2014) (e di Bob Noorda) il design editoriale ritrova, attraverso la mediazione delle normative sperimentazioni tipografiche del Bauhaus, la disponibilità (medioevale) a dialogare a distanza con i segnali urbani. L’utilizzo della bellissima scrittura verticale nelle edizioni della Biblioteca Sansoni non è quindi il frutto di un mero espediente manieristico, ma quello di una colta riflessione sulla capacità del design di estendere la sua portata al territorio illimitato dell’intera segnaletica cittadina nello spirito di un’ariosa esteticità diffusa.
Il carattere tipografico usato da Vignelli è l’Helvetica, disegnato nel 1957 dallo svizzero Max Miedinger e da allora adottato universalmente per la sua plastica monumentalità che si adatta perfettamente alle dimensioni dei grandi logo esposti in pubblico; nel 1989 Vignelli estende l’Helvetica a tutta la segnaletica di New York, dai cartelli stradali alle mappe, dai treni alla metropolitana.

Massimo e Lella (Elena Valle) Vignelli

Massimo Vignelli ha sempre condiviso come progettista di design globale il suo studio con la moglie Elena Valle (Lella) in lavori realizzati per le aziende di tutto il mondo, da Knoll alle American Airlines. Dal 1964 crea negli Stati Uniti uno studio internazionale in collaborazione con Bob Noorda e altri.

La sua opera più nota è la Mappa della Metropolitana di New York (1972), una mappa diagrammatica che poi fu contestata e sostituita perché dava la priorità ai punti nodali della rete (ai segnali) trascurando la realtà topografica del tragitto.

Le opere di Vignelli conservano sempre, pur nella varietà infinita delle loro innumerevoli declinazioni pratiche, il vigore del forte segnale urbano.

19
Il design come icona

B. Malinowski, Teoria scientifica della cultura e altri saggi, 1971, Feltrinelli
Grafica Bob Noorda e Antonio Vignelli

Anche nei progetti di Bob Noorda (Amsterdam, 1927-Milano 2010), solidale e socio di Vignelli, agisce l’imperativo icastico del segnale: la fasciatura in diagonale in questo volume per Feltrinelli
viene percepita dinamicamente come frammento di una più vasta decorazione murale che continua ben oltre la pagina.

Bob Noorda

Bob Noorda, designer olandese naturalizzato italiano, è educato (come tutti) dagli esempi del Bauhaus e delle avanguardie novecentesche. Si trasferisce a Milano nel 1954, lavora per La Rinascente e per la Olivetti, progetta tutta la segnaletica rigorosamente in Helvetica della metropolitana di Milano (1964).

Aut Aut,1964, grafica Bob Noorda

Per una delle riviste di cultura più importanti, Aut Aut, Noorda crea una forte costruzione grafica che associa una pubblicazione dedicata alla filosofia al logo aziendale e alla comunicazione urbana nello spirito di una continuità creativa che ignora le riduttive gerarchie.

Gli innumerevoli logo aziendali e i forti segnali urbani di Noorda segnano ovunque la città.

Codice Facundus, 1047, Commentari all’Apocalisse del Beato di Liébana (786), Madrid, BN
Logo Agip rielaborato da Bob Noorda nel 1972 sul modello del 1953

Ebbene, il più noto di questi segnali urbani, il cane dell’Agip rielaborato da lui nel 1972, deriva (inconsapevolmente?) dalla drammatica raffigurazione della ‘bestia’ dell’Apocalisse miniata nel 1047, a riprova della remota matrice medioevale che riemerge con forza nella robusta iconicità di questa poetica che prevede una grafica costantemente aperta alla città.

20
Design della parola

J. Lindsay, Picnic a Hanging Rock, 1997, Libri dell’Unità, grafica Giovanni Lussu

Questa fresca invenzione grafica di Giovanni Lussu (Roma, 1944), designer e teorico, dimostra efficacemente come l’interesse dello studioso possa convivere serenamente con la più intrigante lievità creativa: l’utilizzo di un solo carattere tipografico, il comunissimo Times New Roman, conferisce a questo spazio arioso il sapore di un negligente bozzetto del tutto privo di intenzionalità: ammirevole sintesi di sensibilità e di tenace ricerca della specificità della grafica editoriale.

Giovanni Lussu

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Il design grafico editoriale oggi

Olivier Munday, 2009

In questi anni di invadente inflazione dell’illustrazione più manieristica e della fotografia più banale imposte sulle copertine dei libri con immagini che troppo spesso sono irrazionalmente incongrue rispetto ai contenuti del testo, si è felicemente sedimentato un potente antidoto creativo dovuto all’intelligenza e alla sensibilità di giovani autori che hanno compreso la specificità della grafica editoriale e la preziosità insostituibile della parola.
Lo attestano due splendide opere di Olivier Munday, designer di New York: in una (2009) la scrittura emulsiona in superficie disinnescata dal piano, e qui l’autore sembra rivivere l’emozione che si prova di fronte alle annotazioni apposte disordinatamente sui libri antichi in epoche diverse, ma anche il fascino delle riscritture su pergamena dei palinsesti, laddove i segni tipografici si sovrappongono come voci discordanti. In un’altra (2012) i segni rievocano nella memoria il polimaterismo grafico delle targhe barocche dove le voci (le parole) si affrontano in un incisivo contrappunto musicale, con una vivida memoria del passato (nell’eterno presente delle forme) che in questi fogli nasce senza retorica da una confortante freschezza immaginativa. Non c’è manierismo in queste tavole di Munday, c’è il frutto sincero di una sensibilità acuta che respinge con naturalezza l’ottusa icasticità imperante nell’editoria più commerciale.

Barbara de Wilde, 1995

La bellissima copertina del 1995 di Barbara de Wilde (attiva a New York) rinnova senza remore l’inquietante splendore delle epigrafi su marmo nero.

 Marion Deuchars, 2001 (Penguin)

L’inglese Marion Deuchars, poi, ha creato delle copertine di puro design editoriale: prima (1984) adottando apertamente il gusto postmoderno del graffito urbano e dopo (2001) offrendo una limpida versione della maniera grafica Penguin con segni impercettibilmente dissonanti e glossati da un corsivo meravigliosamente occasionale.

1999 / 2004 / 2004

Il troppo celebrato David Pearson (inglese) condivide questa ricerca della specificità del design editoriale con soluzioni assai attraenti, ma il suo lavoro è troppo scopertamente e artificiosamente concettuale: per Penguin ha creato nel 1999 una fascinosa copertina che simula un frammento di giornale, nel 2004 ha simulato la riedizione di pagine del passato nello spirito però di un tardo gusto postmoderno orami in declino.
Il suo lavoro conferma comunque, pur nei limiti di un troppo esibito manierismo, la forte necessità avvertita dal mondo della grafica di dare continuità alla magnifica tradizione del libro, un affascinante territorio della creatività che non si conosce mai abbastanza.
2015

Gli stereotipi
2017. M. B, Vita da copertina (Robinson, La Repubblica), un articolo pieno di stereotipi e di sviste: i fondatori del DG sarebbero apparsi dopo il 1945, ma nel mio catalogo del 2015 ho dimostrato che il DG ha la sua concreta matrice nel libro antico e che non poteva essere diversamente. Secondo l’autore la specificità della copertina editoriale sarebbe nella sua autonomia dal testo e dalle altre forme dell’industria culturale (?), confondendosi forse con l’esplicita autonomia dai contenuti che caratterizza le illustrazioni del New Yorker (cfr. Illustrazione), perché è vero il contrario: proprio nel lavoro di Vignelli e di Noorda, che B cita come esempio, la grafica determina uno spazio creativo che sconfina ampiamente dalla DG coinvolgendo ampiamente le altre forme dell’industria culturale.
B ignora l’apporto dell’illustrazione al DG, perché sostiene che l’impiego dell’opera di Pinter e di Alcorn mostra una mancanza di ‘stile proprio’ mentre, al contrario, l’utilizzo di quegli illustratori segna molto chiaramente una lucida (seppur discutibile) scelta stilistica da parte di chi ha voluto attirare l’attenzione con icone di più facile comprensibilità popolare.
L’autore annota infine la presunta scarsa presenza femminile nel DG, ma per Klinz cita solamente Il Saggiatore, mentre l‘attività creativa di questa autrice è stata assai più estesa e importante, e non è a conoscenza dell’apporto sostanziale, noto a tutti, della compagna di Steiner, Lica Covo, e della compagna di Vignelli, Elena Valle, due importanti figure di creative, come ho chiaramente sottolineato nel mio testo. B conclude quindi scrivendo che le ‘copertine sono un universo decisamente maschile’ ignorando il lavoro eccezionale dell’inglese Marion Deuchars e dell’americana Barbara de Wilde che io ho indicato invece tra i migliori autori viventi.

Libri
1955. S.H. Steinberg, Cinque secoli di stampa (it.1962).
1974-79. Daniele Baroni, E. Booth-Clibborn, Il linguaggio della grafica.
1977. Lica Steiner, Max Huber, Albe Steiner. Comunicazione visiva, catalogo della mostra, Milano, Alinari, con testi di autori vari.

1980. R. Philippe, Il linguaggio della grafica politica.
1982-1983, Graphis (nn.18,19), Zurigo, bella pubblicazione su design e illustrazione.
1992-1997. Linea Grafica n. 280, 306 (1996) e 311. Articoli di grande interesse di Baroni e altri, con il limite di un linguaggio eccessivamente accademico e complice con le presunte necessità del mercato; anche qui, come di consueto, vige l’assoluta mancanza di ridimensionamento degli autori e delle opere.
2003. Daniele Baroni, Maurizio Vitta, Storia del Design grafico, Longanesi. Una splendida documentazione che costituisce una insostituibile base di conoscenza del DG.
2006. Andrea Rauch, Grapich Design, in La storia dell’arte, Nuovi orizzonti creativi, vol. 19, Electa.
2009. Mara Bevilacqua, L’evoluzione grafica dei Penguin Books, ed. Oblique: poteva essere l’occasione per un’appassionante critica formale, ma si tratta purtroppo di una grigia documentazione corporativa del tutto priva di spunti critici (oltretutto le tante illustrazioni sono prive di data e di autore).
2009-2010, Silvia Monaco, Grafica editoriale, in Dizionario Biografico degli Italiani (Vocabolario): utilissimo strumento d’informazione, dominato però dall’ossessione del continuo superamento e privo purtroppo di appunti critici e di lettura interdisciplinare.