Ceramica
Le didascalie divulgative di questa ceramica siriana del 5100 ac (foto) sono inficiate da un’incredibile cecità. Questa opera sarebbe decorata con incisioni primitive destinate col tempo ad essere sempre più sofisticate.
Vediamo se è vero: nella cultura neolitica questa ceramica, come strumento fondamentale per la sopravvivenza, occupa il luogo centrale dello spazio collettivo ed è uno specchio ricurvo che riflette opacamente l’ambiente circostante; noi crediamo di vedere sulla sua superficie solamente dei tasselli ripetuti monotonamente e del tutto privi di riferimenti naturalistici, ma questi segni sono il frutto del bisogno vitale di enumerare il mondo e di visualizzarne la consistenza capace di durare nel tempo.
Quella che vediamo è l’essenziale forma purificata della ceramica come anamorfosi del mondo, quei minuscoli tasselli sono la proiezione, calamitata verso il centro dello spazio e ridotta alla sua estrema linearità, di tutto ciò che in quel momento storico costituiva la struttura materiale della cultura. Il ritmo matematico di questa superficie mette sotto scacco, con la sua icastica fissità, l’inquietante mutabilità degli eventi.
Secondo l’ingenua vulgata didascalica questo schema primitivo sarebbe superato nel tempo da una inevitabile evoluzione, ma le cose non stanno affatto così. Con il tempo la ceramica continua semplicemente a rispecchiare la materia che gli sta attorno, è quella materia che cambia, quasi sempre quantitativamente e non qualitativamente.
Dapprima la ceramica rispecchia, come anamorfosi, le forme architettoniche, i vortici di aria e di acqua, il ritmo di spazi plastici diversi, poi comincia a rispecchiare le forme illustrative della pittura e della scultura, ma la sua forma resta sostanzialmente immutata e resta immutata la sua funzione di registrazione plastica del mondo. Lo intuiva lucidamente Platone con le sue preferenze estetiche per le forme geometriche più antiche (cfr. Vitalità del pensiero poetante), e lo sapevano i raffinati ceramisti del colto medioevo cinese Sung, che hanno creato i loro straordinari oggetti decorati esclusivamente da un perturbante craquelé che rifletteva la fine del loro mondo invaso dai tartari (cfr. Esteticità).
Se la ceramica ha ereditato dalle prime forme neolitiche la possibilità di captare l’eco del mondo circostante, come parte integrante di un sistema di segni che costituiscono il telaio inventariale del mondo, la ceramica Sung ha portato quella funzione alle sue estreme conseguenze, perchè riflette il mondo nel momento della sua dissociazione nella soglia che permette di cogliere tutta l’integrità dell’oggetto nella sua disarmata purezza concettuale e simultaneamente anche tutta la precarietà di quella materia, che si sgretola sotto i nostri occhi in un interminabile, infinito istante.
Ho sempre ammirato una di queste affascinanti ceramiche Sung nel Museo di Arte orientale di Roma.
2016
Leggendo presto il magnifico libro di Sigfried Giedion, L’eterno presente: l’origine dell’arte (1962, tradotto nel 1965 da Furio Jesi) ho imparato per tempo a considerare come importante elemento strutturale tutto ciò che ci appare illusivamente come pura decorazione.
E’ magnifica la grande collezione di ceramiche di Palazzo Venezia, che andavo già a vedere quando ero ragazzo.
Negli anni attorno al 1520 ci sono Giorgio Andreoli a Gubbio e Niccolò Pellipario a Urbino, nella delicata lievità di Pellipario si avverte il progetto di una figurazione moderata e compressa derivante dalle Logge; nell’opera successiva di Francesco Xanto Avelli di Urbino, attorno agli anni ’30, si legge un esplicito interesse per il segno raffaellesco più energico ed eloquente trasmesso dalle incisioni di Raimondi e dalla maniera di Giulio Romano. A metà Cinquecento, il Veneziano Maestro Domenico crea delle indimenticabili figure che nella loro pastosità e abbraviazione segnica fanno pensare a Bassano; le c dei Patanazzi, a Urbino, rispecchiano gli affreschi zuccareschi del tempo, e i lavori di Orazio Fontana sono legati esplicitamente a disegni di Taddeo Zuccari.
Le delicatissime forme di Faenza di quel periodo, soprattutto di Virgiliotto Calamelli ( ), mutuano la loro freschezza dal tessuto.
Nel Seicento le larghe ceramiche barocche di Savona, nello stile monocromo di Guidobono, sono materiate con una straordinaria freschezza pittorica. Le c dei Grue, nel Settecento abruzzese di Castelli, sconfinano invece nell’illustrazione e non sono saldamente legate alla specificità della c, che richiede una osmosi costante tra la plastica materia dell’oggetto e l’immagine dipinta, e infatti a Castelli si ricorre alla formella quadrata, che evoca il quadro e il mosaico.
Vasi comunicanti: Esteticità, e Armonici per l’interessante rapporto che ho individuato con la pittura di De Chirico.
Libri
1965. Scherman Lee, Storia dell’arte orientale. A pag. 374 sono riprodotte due affascinanti porcellane Kuan, un vaso a forma di cistifellea e il bruciaprofumi Lu (epoca Sung, XII-XIII). Lee si limita a notare riduttivamente la semplicità di queste opere, anche se poco dopo scrive della raffinatezza della pittura Sung e del pensiero Chan-Zen.
1980. Giovanni Conti, L’arte della maiolica in Italia. Prezioso strumento di studio tipologico, con eccellenti illustrazioni delle opere.
1984. L. Mochi Onori, Immagini raffaellesche nelle arti decorative, in: AA.VV. Aspetti dell’arte a Roma prima e dopo Raffaello.
Ceramica antica, Mensile sull’arte della maiolica, della porcellana e del vetro. Utile repertorio di forme, vanificato da una assoluta mancanza di annotazione critiche e da testi scritti male.
1993. AA.VV. L’Istoriato. Libri a stampa e maioliche italiane del Cinquecento, catalogo della mostra, Salone Sistino giugno/settembre. La mostra offriva una splendida documentazione del rapporto tra maiolica e xilografia libraria.
2001-2002. Oltre il frammento. Forme e decori della maiolica medioevale orvietana. Il recupero della collezione Del Pelo Pardi; catalogo della mostra in PV a cura di S. Sconci.