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L’alternativa della creatività
Vitalità del pensiero poetante
‘Mi sento più incline al filosofare poetante che non a quello ragionativo ( ) Leggo poco, lo confesso, i filosofi contemporanei. Mi rifugio nei narratori e nei poeti’
(Rosario Assunto, 1993)
La filosofia è il laboratorio ideale per una riflessione che si renda disponibile ad ogni ripensamento fuori dai condizionamenti della stessa collettività; un deposito di idee che a volte attinge energia anche dall’esperienza creativa del suo tempo, per giustificare poi, quasi sempre involontariamente e indirettamente, la nuova creatività che intanto plasma le sue forme. Ma la filosofia è condizionata dall’insidia mortale della sclerosi accademica, che ha la forza devastante capace di inaridire e svuotare qualunque pensiero. Unico antidoto: il pensiero poetante.
Nell’intercapedine tra filosofia e arte
Il rapporto che esiste tra la filosofia e l’esteticità diffusa è una materia troppo complessa e troppo vasta perché chiunque possa illudersi di poterla fronteggiare con una adeguata padronanza. Tuttavia è possibile dare un contributo originale, coltivando un laboratorio di osservazioni empiriche che siano però consapevolmente limitate al campo d’azione della creatività.
La storia della filosofia è condizionata dal paradosso di pensieri straordinari che vengono esposti come tappe di una inverosimile ricerca della verità, come accade anche per la storia dell’arte, dove tutto sembra trascinare verso una sempre più grande e altrettanto inverosimile autenticità. Ma se adottiamo un punto di vista diverso, ripercorrendo il sentiero della filosofia e dell’arte dal nostro presente, guardando ai pensieri del passato come a torsi incompiuti, nuclei di idee mai del tutto dispiegate, allora si può tentare una diversa esplorazione specchiando gli stessi pensieri filosofici nelle opere d’arte a loro contemporanee in un contatto diretto che rende visibile quella sottile terra di confine dove agisce con più fertilità quello che è stato chiamato pensiero poetante, e in questo modo è forse possibile cogliere l’incerto e a volte contraddittorio confluire della riflessione filosofica nella concretezza materiale dell’opera d’arte. D’altra parte, la fertilità, la durata, del pensiero filosofico, è legata anche a tutto ciò che nel tempo quel pensiero ha sollecitato o giustificato e a tutto ciò di cui è stato o di cui può ancora essere il catalizzatore; e come ogni opera d’arte autentica, anche il pensiero più duraturo si estende nel tempo continuando a vivere e a dispiegarsi nelle infinite varianti che alimenta in altre opere e in altre forme della cultura.
La filosofia comunque, lo sappiamo, non influenza direttamente l’artista, non c’è quasi mai un rapporto diretto tra l’idea filosofica e l’opera, ed è inutile e ingiusto attribuire all’artista la consapevolezza di un paradigma filosofico. I pensieri arrivano all’artista mediati e indiretti, semplificati e banalizzati oppure sorprendentemente arricchiti di sfumature inedite, e il filosofo troppo spesso non si accorge neanche delle opere d’arte più autentiche che maturano nel suo tempo, anche se la filosofia nutre in profondità il contesto culturale che gli artisti abitano e nel quale cercano anche indirettamente un supporto concettuale, soprattutto in quella fascia di terra che la filosofia divide con l’arte figurativa, la letteratura, la musica, la poesia, l’architettura.
Il filosofo attento all’arte cresce con la sua sensibilità insieme agli artisti, nutrendosi a distanza del loro stesso humus, e il suo lavoro si colloca spesso tra un movimento artistico in crescita e il movimento artistico successivo che eredita e sviluppa ciò che è stato già realizzato, ed è in questa situazione che il filosofo può offrire una giustificazione culturale che per l’artista ha il valore di un fondamentale incoraggiamento: l’artista può trovare il coraggio di andare avanti se gli arriva anche indirettamente un pensiero filosofico che giustifichi l’evoluzione azzardata di una forma altrimenti impraticabile, ed è sedotto dal pensiero filosofico che gli arriva già plasmato di esteticità. E’ per questo che i poeti sono così spesso il tramite tra l’artista e la filosofia.
I filosofi, comunque, sono autori come tutti gli altri, come i narratori e i poeti, e spesso sono solamente dei dignitosi mediatori di pensieri antichi ancora fertili, il carisma naturale che viene loro attribuito è del tutto ingiustificato.
E non è affatto necessario conoscere l’opera intera di un filosofo per poterne parlare: può essere sufficiente conoscere una sola opera di uno di questi autori per intravedere, fosse anche parzialmente, lo snodo significativo tra una corrente di pensiero e un momento particolare dell’arte.
Inoltre non è lecito identificare i filosofi di professione con i pensatori, che possono essere filosofi poeti come Eraclito, Lucrezio, Plotino e Bruno, ma anche scrittori come Shakespeare, Dostoevskij e Joyce, musicisti come Webern e Brahms, poeti come Rimbaud e Rosselli oppure artisti come Bonnard e Beuys, autori che hanno assimilato intimamente anche se parzialmente e indirettamente il diffuso pensiero filosofico del loro tempo per arricchirlo e alimentarlo.
La presunta oscurità dei testi filosofici, infine, non è altro che il frutto dello scambio in codice interno alle istituzioni accademiche, ed è inutile accanirsi nel cercare di decifrare questo codice: le stesse irrazionali controversie tra i filosofi di correnti opposte, che da sempre si accusano reciprocamente di formulare idiozie senza senso, sono la spia di un corto circuito che è tutto interno alla loro professione.
Quando però il filosofo guarda con umiltà all’arte, alla poesia, alla letteratura, alla musica, la sua scrittura si svincola dal tedioso codice scolastico per trovare un respiro diverso.
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Dagli inizi al Medioevo
2
Dal Quattrocento al Settecento
3
L’Ottocento
4
Dal Novecento a oggi
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