Nella strategia barocca
Quando nel 1620 Bernini restaura l’Ermafrodito ellenistico del Louvre opera all’interno di una strategia della sovrimpressione retorica. Schiaccia in una prospettiva temporale segni antichi e moderni per saldarne il profilo in una ripida strettoia percettiva costringendo alla simultaneità e all’oscillazione di una doppia decifrazione iconica.
Con il giaciglio che aggiunge alla scultura antica, ordito geometricamente come un mosaico, Bernini sottrae l’Ermafrodito al passato e lo sposta irreversibilmente nel presente, nel 1620. La nicchia scoperchiata nella quale giace la statua antica con la sua innocente nudità precristiana permette l’evocazione mnemonica e percettiva della nicchia chiusa che ospita la Cecilia di Maderno scolpita venti anni prima, una forma sigillata nella stessa losanga che delimita l’Ermafrodito. Se l’efebo dormiente appare inutilmente trainato nel presente, la martire cristiana, vestita e ferita, giace invece in uno spazio atemporale chiuso e sacro.
Qui le modalità della strategia barocca mettono a confronto e attirano in una collisione la poesia cristiana (di Maffeo Barberini) con la poesia precristiana di Ovidio, e la seduzione dell’immagine si traduce in monito cristiano: l’inutile libertà degli antichi è sfidata dal valore del sacrificio cristiano.
Un monito che lascia però sopravvivere in tutta la sua insidiosa freschezza la perturbante seduzione epidermica dell’immagine affidando la possibile sovrimpressione iconica al tempo rallentato della memoria e della percezione prolungata. E nel 1674 con la Ludovica Albertoni arriva l’effetto d‘eco di quel giaciglio del 1620: un segmento di materia neutra che isola la figura plastica dal dipinto e dallo spazio concreto che la stringono in una morsa.
Questa sovrimpressione iconica, che comprime una contro l’altro una seduttiva suggestione epidermica e il monito moralistico che la imprigiona, domina anche le successive invenzioni berniniane. Nel David il Gladiatore Borghese si salda al Prigione michelangiolesco del 1515 e l’inutile energia precristiana del Gladiatore si versa corroborante nella massa contratta e inattiva del Prigione che viene rianimato nella forma di un positivo eroe eninianotiano. L’Apollo eniniano rianima quello vaticano del Belvedere con l’innesto del frenetico Mercurio di Giambologna, un Mercurio che retoricamente conduce e spinge Dafne verso un’alchimistica trasformazione in oro, un sereno Apollo musagete che guida la parola inerte di Ovidio verso la presunta ricchezza della poesia cristiana moralistica.
E anche con il Plutone del Ratto di Proserpina, in assenza di vero pathos, straspare prepotente attraverso le maglie della spettacolare violenza antica il monito cristiano: il tempo rapisce la bellezza. Un Laocoonte che ghermisce invece di essere ghermito, un’altra forma ellenistica rivitalizzata e resa positiva, modellata con la stessa sostanza decontratta del Ratto delle Leuceppidi di Rubens del 1617.
Nel gruppo della Teresa berninana (1651) poi, la Danae di Ovidio viene dapprima evocata col modello figurativo di Correggio per essere subito dopo cancellata dal monito cristiano. La pioggia d’oro che la investe è anche la luce dello Spirito santo che irrompe nell’Annunciazione, e la sensualità correggesca della Danae viene tradotta moralisticamente nella sofferenza senza pathos del parto miracoloso di colei che imita la Vergine.
Quando nel 1633 la scrittura figurativa barocca monumentalizza la propria specificità con il Baldacchino berniniano si materializzano nell’incavo immisurabile di S.Pietro non solo l’apparato effimero che il baldacchino imita esplicitamente, consolidato dalla materia virtualmente inalterabile sottratta al Pantheon, ma anche la forma intima del letto cinquecentesco, come quello del castello di Somma Lombarda, mentre si trascina nello spazio del riverbero di memoria l’incunabolo alto medioevale che del baldacchino giustifica l’iconografia, la medioevale cassetta eburnea di Pola, la Capsella di Samagher del V secolo.
Da questo momento il gioco dell’artificiosità colonizza minacciosamente l’immaginazione. Perfino nell’apparente ludicità delle caricature berniniane si legge in filigrana il progetto barocco della metamorfosi di una materia eternamente rimodellata. La presunta caricatura di Scipione Borghese (1630), con la sua plasticità austera da lastra terragna, è comprensibile davvero se viene collocata accanto alle coeve deformazioni anamorfiche di Niceron (1635) dove la trazione che deforma la materia barocca sostituisce l’insidiosa fertilità del verosimile all’inerzia e all’inagibilità del reale.
Nella Cattedra inoltre il meccanismo dello sdoppiamento retorico proietta e divarica nello scenario correggesco un pensiero medioevale, l’Etimasia, il trono vuoto che aspetta alla fine dei tempi, un segno, sigillato nella cassetta di Pola e cancellato dall’arcone medioevale della chiesa, che viene rievocato e imposto dalla violenta emulsione iconica barocca.
Questa suggestione percettiva del vuoto da riempire è una delle ulteriori componenti della strategia barocca, il teorico Emanuele Tesauro nel suo Il cannocchiale aristotelico (1654-1670) ne offre un emozionante modello metaforico:
(l’eco) non è chiusa e non può uscir del suo albergo.
Ma contro questo barocco spettacolare c’è un estremo raffinarsi percettivo che si addice invece all’inquietante cultura borrominiana, nel momento del colto Alessandro VII e degli interessi medioevali dell’oratoriano Virgilio Spada.
Subito dopo l’intervento di Borromini sui resti medioevali di San Giovanni (1656-57) e contemporaneamente all’emergere del pensiero medioevale dell’Etimasia in S.Pietro (1657-66), si concretizza nella cappella Spada in S. Girolamo della Carità una straordinaria icona neomedioevale, la balaustra marmorea frutto della collaborazione tra Borromini e Virgilio Spada (1658).
Cappella Spada; Retablo di Barcellona, sec. XIII
I due angeli sorreggono il drappo con il quale trasporteranno in alto le anime degli Spada raccolti nella cappella funeraria. E’ la scena antica della Elevatio animae, un’idea figurativa documentata da una grande quantità di esempi, dall’avorio dell’Evangeliario di S.Ciliano a Würzburg (1090 c.) e dal Retablo catalano di Barcellona (sec. XIII) alla Dormitio Virginis di Notre-Dame (1220) e all’Apocalisse dell’arazzo di Angers (1373-80).
Il colore del drappo in primo piano ha lo scopo di unificare percettivamente lo spazio dell’incavo interamente modellato dai marmi policromi, un denso e ininterrotto spazio pittorico che permette ai clipei bianchi, ai defunti Spada, di gravitare sopra il drappo per saldarsi nella Elevatio animae, un polimaterismo imploso, quindi, e opposto al polimaterismo espanso di Bernini.
Un così intenso ricorso alla rêverie sognante, nell’esplicita, straniante amplificazione di una suggestiva figurazione medioevale, segnala la presenza di quei percorsi alternativi che nel seicento vengono scavati attraverso e nonostante la dominante strategia barocca, in una serrata modulazione che permette la sopravvivenza della fascinazione perturbante già corrosa e cancellata dalla spettacolarità berniniana.
1997-2001