Spazialità pittorica nella Chiesa di Gesù e Maria
Nella navata di Gesù e Maria di Rainaldi (1687) le sculture in marmo di Francesco Cavallini, di Lorenzo Ottoni e di Francesco Aprile sono schiacciate verso l’interno dello spazio architettonico da una spinta centripeta, compresse in uno spazio pittorico di grande intensità che è dominato dal diaspro di Sicilia rosso e dal marmo nero, in una luce implosa e sepolta fasciata d’ombra.
In questo spazio siamo fuori dal movimento centrifugo del polimaterismo berniniano, siamo nella materia contratta di un rovesciato moto centripeto, in uno spazio che non giustifica più i grandi segni plastici come quelli che risuonano nella Cappella Cornaro (1651).
I corpi scolpiti dall’eclettico Cavallini, i busti concreti di Ottoni e di Aprile, declinano i precedenti berniniani in forme sagomate e stagliate crudamente contro la luminosità dei marmi, non sono protagonisti dello spazio che li ospita, ma tasselli di un mosaico che include, all’interno dell’orchestrazione dei marmi colorati e del marmo bianco, le immagini pittoriche di Giacinto Brandi dipinte su tele incastonate nella volta e icasticamente delineate contro il vuoto, aggettanti come i marmi scolpiti, in basso, dei quali sono l’immediato, risonante equivalente figurativo.
Nel barocco berniniano le materie si sgranano in filigrana, sono trainate altrove, si divaricano, legittimate a distanza dalla retorica aristotelica che suggerisce la sistematica sostituzione del verosimile al vero empirico, ma in questo spazio tardobarocco di Rainaldi prende forma invece una diversa orchestrazione delle parti, un’acuta definizione individuale delle singole parti che sembra già vivere nello spirito settecentesco di Vico, in opposizione a quella ininterrotta osmosi materica tra la pittura berniniana di Gaulli e lo stucco di Raggi che veniva perpetuata allora al Gesù (1685).
Se il polimaterismo berniniano si adatta alla polifonia della messa solenne, questo pittoricismo spaziale di Gesù e Maria condivide invece la sua struttura complessiva con il concerto grosso di Corelli (che pubblica le sue sonate a tre proprio tra il 1681 e il 1694) e con la sua inedita contrapposizione del concertino all’insieme orchestrale, e poi con le forme di Torelli (+1709), che permettono ‘una deliberata opposizione del solo al tutti’ (Mila).
E infatti questa materia figurativa dipinta e scolpita, segregata nel contesto cromatico dei marmi colorati senza che ne sia mai dispersa l’incisiva particolarità, condivide il destino degli strumenti musicali che all’inizio del Settecento assumono il rilievo di personalità autonome: il pianoforte di Cristofori (1702), il flauto traverso di Hotteterre (1709), i violini di Stradivari.
1997 – 2001