Schede
Spazialità pittorica e marmi antichi in S. Agnese fuori le mura
Nell’abside di S. Agnese fuori le mura sopravvive una fasciatura di paraste di porfido e di cipollino grigio che in origine, negli anni di papa Onorio I (625-638), si estendeva forse lungo le pareti dell’intera navata: un recinto ritmico in cui si alternavano il caldo opaco del porfido e il freddo inerte del cipollino in una doppia polarità di accensione visiva e di inerzia neutrale.
Questo recinto ritmico doveva essere il perimetro di un fascinoso spazio interno che trasformava l’intera navata, modellata dalle colonne di marmo colorato, in una straordinaria pittura tonale pulsante nella cavità della chiesa.
Oggi questo spazio è quasi cancellato da una densa sovrapposizione ottocentesca, ma si può guardare attraverso questo strato, come si guarda attraverso la ridipintura moderna di un dipinto antico, per captare l’animata pittoricità atmosferica che l’architetto altomedioevale ha plasmato con i marmi antichi di spoglio.
Dalle colonne più lontane dall’altare, grigie e fredde, ci si muove progressivamente con gli occhi (con il corpo) ai fusti di pavonazzetto delicatamente chiaroscurati dalle venature e dalla fitta scanalatura e poi alla serie di colonne in portasanta, rossastre, in prossimità dell’altare dove le colonnine di porfido rosso del ciborio (reimpiegate nel primo Seicento di Sfondrati) accendono il calore intenso in un estremo punto focale.
Nello spazio vivo di questa chiesa agiva una straordinaria modulazione tonale. Nella luce radente che entra dall’alto matroneo il marmo delle colonne si scaldava in una graduale accensione luminosa e nella penombra della luce naturale questa pittoricità atmosferica doveva essere davvero emozionante; il recinto di paraste nelle pareti della navata assicurava visivamente un’eco straordinariamente profonda.
L’immediata giustificazione storica di questa spazialità pittorica è nel Mausoleo di Costanza adiacente alla chiesa: il sarcofago costantiniano di porfido, già al centro dello spazio circolare del mausoleo, era introdotto dalle quattro colonne di granito rosa d’Assuan che mediano tra la penombra dell’ambulacro e la luce piena di quello spazio centrale e le forme naturalistiche dei mosaici dell’ambulacro, trainate da questo passaggio di luminosità, si concretizzavano negli aggressivi rilievi del sarcofago illuminato dall’alto.
La scontata giustificazione teorica è data invece dall’iscrizione musiva dell’abside mosaicata: S. Agnese è connotata dalla fiamma e Onorio è colui che ne ha riportato alla luce la tomba.
Chi ha ideato questo spazio pittorico è stato educato dalla musica; è la musica che prepara a pensare lo spazio come un tessuto continuo e unitario arricchito da infinite, impreviste sfumature. In quegli anni Isidoro di Siviglia (+ 636) teorizzava la musica come possibilità estrema di armonia inserita naturalmente nella struttura delle cose (‘gli stessi cieli sono fatti in modo da ruotare con certe modulazioni armoniche’, Etimologie) mentre il canto liturgico, irrazionale e anarchicamente scosso da slanci aleatori, poteva essere frenato solo a stento dalla riforma di Gregorio Magno (+ 604).
E in quel momento la musica è ancora certamente una forma di dilatato e incontrollabile impressionismo plotiniano, come lo sono alla fine del VI secolo le incredibili pagine purpuree del codice di Rossano Calabro e le febbricitanti ampolle di Monza, più tardi l’emozionante Salomone e i figli Maccabei di S. Maria Antiqua (sotto Martino I, 649-655) e a distanza, nel IX secolo, gli affreschi di Castelseprio.
1995-2001