Per una morfologia del racconto grafico
Il racconto grafico, limiti e pregi di una tecnica creativa: in questa sede, rinunciando alla vuota banalità delle definizione correnti, Fumetti, Comics, Bande dessinée, e soprattutto respingendo la proposta di Arte sequenziale, demagogica e involontariamente ridicola, formulata da Will Eisner nel 1985, viene usata semplicemente l’espressione racconto grafico, che sembra essere quella più coerente con la specificità di questa tecnica figurativa.
Lo studio di questa interessante forma creativa è stato sequestrato purtroppo dal contenutismo sociologico più scolastico, come è quello che colonizza anche l’arte infantile e l’arte prodotta dalla sofferenza psichica, e peggiora le cose la pretesa corporativa di riscattare il racconto grafico come Letteratura, perchè questo, al contrario della Letteratura, ha avuto la funzione implicita, soprattutto dal Novecento ad oggi, di radicare nel comportamento collettivo tutti gli stereotipi più fossilizzati della comunicazione come veicolo colpevole della trasmissione infestante e capillare di forme che sono profondamente inautentiche. E infatti, come portatore sano di stereotipi, il racconto grafico nella sua tarda fase novecentesca si è arenato nella stessa sterile ripetizione scolastica che ha portato alla metàstasi anche altre forme creative ormai devitalizzate, come la Moda e la Numismatica, e ha dovuto fare ricorso freneticamente all’adozione intensiva di modelli di altri contesti per costruirsi uno scenario di seduttiva fascinazione collettiva.
Adesso, per individuare la specificità di questa forma creativa, è necessario scuotere l’ipnotica assuefazione che la sottrae alla decifrazione critica e studiare il fenomeno nei suoi limiti naturali, nel margine consapevolmente modesto di un linguaggio che è stato strutturato all’inizio nel contesto della miniatura medioevale per attraversare poi, con le sue tante metamorfosi, la xilografia quattrocentesca, l’illustrazione satirica settecentesca con le didascalie a filatterio e le colte invenzioni grafiche di Dorè e di Busch dell’Ottocento, prima di deragliare con il Novecento nel triste tunnel dell’entropia che ne ha radicalmente depauperato la necessità e la stessa autenticità dilapidando un retaggio che fino ad allora si era alimentato con il veleno inquietante, con l’antidoto, di una impietosa constatazione della crudeltà umana.
Morfogenesi di una tecnica creativa
Lettere miniate da Moralia in Job, sec. XII, Scriptorium di Citeaux, Digione
Già con la deformazione onirica delle lettere miniate dei codici medioevali, come quelle del Moralia in Job di Citeaux (sec. XII), ci imbattiamo nella necessità concreta del racconto grafico: qui l’immagine subisce una sconcertante metamorfosi e coincide con la parola scritta, embrione di una tecnica creativa destinata ad una vasta collettività che poteva leggere solamente le figure, il pubblico delle affascinanti sequenze degli Exultet che permettevano di vedere scorrere alla rovescia le vivide miniature di un rotolo che intanto qualcuno leggeva a beneficio di tutti sull’ambone.
Quando nel 1325 Thomas Le Myésier, un seguace francese di Raimondo Lullo, fa ornare con dodici straordinarie miniature il Breviculum dedicato al suo maestro francescano, esiste già il racconto grafico nella pienezza della sua specificità:
Miniature da Thomas Le Myésier, Breviculum ex Artibus Raimondi Lulli Electum, dedicato a Raimondo Lullo, 1325, sec. (Karlsruhe)
una sequenza di immagini saldate a lunghe didascalie aeree inserite nella pagina in strettissima simbiosi con il disegno. Nello spirito evangelizzatore di Lullo l’inserimento dell’epigrafia in forma di cartiglio e di filatterio ha lo scopo esplicito di facilitare la lettura creando un contrappunto serrato con l’immagine, ed è il perfezionamento di una prassi che dall’iscrizione in volgare di S. Prassede (Storie di S. Alessio, sec. XI) ha tenacemente scavato il suo spazio.
Severino Boezio, La consolazione della Filosofia, codice miniato, Germania, 1485
Nel Quattrocento, con il radicale cambio di paradigma della comunicazione alimentato dalla stampa a caratteri mobili, la miniatura fronteggia la marea irresistibile dell’illustrazione xilografica comprimendo sistematicamente nella pagina l’illustrazione del testo con una intensa sintesi scritta che è memore della tradizione epigrafica e dell’uso concreto del filatterio come lo era già quella delle miniature trecentesche per Lullo.
Miniatura francese da Il Milione di Marco Polo; sec. XV
Ed è proprio la lunga tradizione della miniatura che lascia in dote al Quattrocento una semplificazione concettuale del racconto che la xilografia adesso può esaltare, con la sua matrice scabra, in forme di cruda riduzione segnica destinata a facilitare l’attività dell’artigiano locale, dell’aedo territoriale di un’arte popolare in via di faticosa espansione che cerca l’emancipazione delle più remote forme plebee ormai fertilizzate dall’eclettismo del plurilinguismo medioevale.
Xilografia per L’Orlando Furioso, 1530
Biblia pauperum, sec. XV, xilografia
Dalle Bibbie popolari quattrocentesche alle dense illustrazioni politiche del Cinquecento,
Typus Religionis, incisione da un dipinto della chiesa dei gesuiti in Alvernia
il racconto grafico coltiva la sua doppia visualizzazione del testo offrendo l’opportunità di leggere solamente o prevalentemente attraverso le figure disegnate,
Lucas Cranach (+1553), Martin Lutero contrapposto al teologo J. Eck, xilografia (1519),Amburgo
come dimostra la straordinaria diffusione delle opere realizzate da Lucas Cranach per Lutero: la suggestiva xilografia del 1519 e la Bibbia illustrata del 1534.
Francis Barlow, illustrazioni per L’Orribile ed Infernale Complotto Papista, 1682; Cantastorie a Parigi, sec. XVIII
Nel 1682, un libello disegnato da Francis Barlow (+1704), L’orribile ed infernale complotto papista, associa 24 tavole disegnate ad un testo scritto che il filatterio inserito nei disegni sintetizza passo per passo, e qui il racconto grafico ha già la sua grammatica definitiva perchè capta e integra anche la tecnica divulgativa del narratore di strada
Storie di San Siro, stampa devozionale
innestandola nell’impaginato delle stampe devozionali, retaggio della pittura tardo cinquecentesca italiana.
The Jack Boot exalted, 1762
Poi, nel Settecento dei libelli satirici, le innumerevoli stampe divulgative mettono ulteriormente a punto questa specificità e saldano la remota tradizione della caricatura della pittura vascolare greca e dei capitelli romanici a forme che integrano con sempre più grande naturalezza la figura e la parola attraverso l’uso intensivo dell’epigrafia debole del filatterio.
Anonimo, An irish howl, 1799
Thomas Rowlandson (+1827), acquarelli satirici
James Gillray (+1815), tavola settimanale
George Woodward, Making a Sailor and Odd Fellow!!, 1812
Illustrazione satirica inglese del 1809
George Cruikshank (+1878), Irish Decency n,1; Irish Decency n,2; 1819, acquaforte acquerellata
E in questo registro espressivo settecentesco le brevi sequenze di Cruikshank sono già il (qualitativo) racconto grafico per sequenza di immagini che evidentemente non ha bisogno della (quantitativa) industrializzazione novecentesca per avere lo statuto di autonoma e compiuta forma creativa.
Caricatura attribuita a G.L. Bernini (NY); Topffer, particolare, 1839 c
Ci pensano poi gli autori ottocenteschi a lavorare alle varianti di questa forma: lo svizzero Rodolphe Topffer (+1846) con le sue Histoire, disegnate dal 1831 al 1846 e apprezzate da Goethe, desume una linea fluida e trasparente dalle caricature berniniane
Tavola di George Woodward, 1809
e adotta la fragile struttura della sua impaginazione dall’esempio tardo settecentesco di George Woodward (Long Face at Smithfield).
Rodolphe Topffer, Histoire, 1831- 1846
Il disarmante racconto fluido e continuo di Topffer, assecondato da una linearità leggera, corrisponde all’ideazione del negativo fotografico di Talbot degli anni ’40, e come quello è destinato nel tempo ad una (quantitativa) proliferazione meccanica che sostanzialmente non ha aggiunto niente alla sua pudica freschezza, come l’infestante (quantitativa) fotografia novecentesca non ha aggiunto niente alla perturbante delicatezza delle eliografie di Talbot
G. Dorè, Historie de la Sainte Russie,1854
Nel 1854 Gustave Dorè (+1883) irrobustisce il racconto grafico con l’esuberanza delle sue eclettiche ideazioni figurative, che negli anni ’30 del Novecento si offriranno come modello colto per l’epidermica accentuazione retorica di Alex Raymond, e questo eclettismo che permetteva a Dorè di passare dalle forme più leggere e dalle sue caricature grottesche all’intenso lirismo delle sue illustrazioni più impegnative ha un suggestivo equivalente nella musica di Rossini (+1868), che poteva passare dalla freschezza della sua Cenerentola (1817) al melanconico e materico Canto funebre per Meyerbeer del 1864.
Illustrazione francese del 1871
Una ibridazione stilistica che si avverte ovunque nella illustrazione satirica del tempo, dove si consolida l’osmosi tra le forme più grottesche della caricatura antica e l’austerità neoclassica della pittura accademica.
N. Pellerin e F. Georgin, Stampa xilografica per le Images d’Epinal, 1850
In questo scenario eclettico le illustrazioni di N. Pellerin e di F. Georgin per le Images d’Epinal svolgono nel contesto del racconto grafico la stessa funzione riduttiva che in quegli anni avevano le prime goffe animazioni visive sperimentate in vista della forma tecnica del Cinema. Le Stampe di Epinal recuperano la secchezza della xilografia quattrocentesca per giustificare una drastica, elementare semplificazione segnica che è già disponibile alla sua riproduzione meccanica e alla divulgazione massiva. Il racconto grafico sta già rinunciando alla sua freschezza immaginativa, e si prepara alla sterilizzazione della forma che in un altro contesto ha già disseccato l’affascinante fragilità della moneta con la piattezza del calco meccanico.
Il racconto grafico e la crudeltà
Dal tardo Cinquecento, la memoria perturbante delle tetre illustrazioni di torture, dipinte ad affresco e illustrate su carta per educare i novizi all’esperienza della sofferenza fisica, travasa nel racconto grafico, in epoca illuminista, il tema della naturale crudeltà umana, che adesso viene descritta senza remore in tutta la sua sgradevole evidenza. E sarà proprio il rifiuto di questo tema angosciante che scorre acre nelle vene del racconto grafico dal Settecento alla metà dell’Ottocento che porterà una fertile tecnica creativa all’implosione nella cava deprimente dell’entropia novecentesca.
Esecuzione di giustizia a Milano contro degli untori, sec. XVII (Milano, Raccolta Bertarelli)
Spinto in avanti dalle più antiche figurazioni dei supplizi subiti dai martiri, il racconto grafico registra incessantemente gli eventi più cruenti e alterna un mediocre linguaggio illustrativo ad una forte scrittura popolare che si avvicina a volte agli esiti più intensi degli ex voto: nella stampa secentesca con l’Esecuzione di giustizia a Milano contro degli untori i supplizi erano numerati e descritti nella tabella come lo erano quelli delle scene di martirio affrescate nel 1583 da Niccolò Circignani il Pomarancio nella chiesa romana di s. Stefano Rotondo.
Rappresentazione delle sofferenze di R. F. Damien attentatore della sacra persona del re Luigi XV il 5 gennaio 1757 (particolare).
Stampa popolare olandese dell’Ottocento con la morte del Duca De Berry (1820)
La moderazione purista del 1820 insinua in questa ambigua poetica della crudeltà una riduzione asettica degli eventi, declinandoli nella stessa forma pacata del racconto teatrale e operistico del tempo di Bellini (Norma, 1831), ma è la crudeltà dei bambini, da descrivere e reprimere, quella che viene indagata ossessivamente nell’Ottocento che porta da Schopenhauer a Freud, e la serie settecentesca incisa nel 1762 da William Hogart, Crudeltà, superstizione e fanatismo, è il modello normativo per questa fenomenologia illustrata della crudeltà infantile.
Disegno di H. Hoffmann per il primo abbozzo (1844) delle vicende dello Struwwelpeter, destinato al figlio Carl prima di essere trasformato in un libro di grande divulgazione (1847)
Struwwelpeter, il bambino selvaggio, viene ideato nel 1844 dal dottor H. Hoffmann di Francoforte (+1894) con scopi esplicitamente educativi, e oggi è impossibile non accorgersi di quanto questa raffigurazione demoniaca sia legata alla pratica arcaica che ha imposto da sempre la presenza nel territorio di confine che si estende tra l’infanzia e il potere degli adulti delle divinità malefiche che hanno il compito di terrorizzare i giovani per educarli.
Bambola Kachina degli Hopi americani; Maschere iniziatiche Baining, Nuova Britannia
Tra le bambole Kachina, che gli Hopi regalano ai loro bambini per educarli al rispetto delle divinità figura infatti quella di Soyoko, l’orco che divora i bambini cattivi. E non è sorprendente scoprire che poi, nel Novecento dell’antropologia strutturale, le forme esasperate delle magnifiche maschere Baining siano state travasate in parte, come inconsapevoli armonici di memoria, nelle figurazioni seduttive realizzate dai disegnatori di Walt Disney.
La poetica della crudeltà: Wilhelm Bush
W. Bush, Max und Moritz, 1865: I due bambini frantumati in becchime per galline
Il geniale e colto pittore tedesco Wilhelm Bush (+1908), amico e lettore di Schopenhauer, rivive a metà secolo, con passionale autenticità, sia le forme scomposte con le quali i fiamminghi del Quattrocento registravano la frenesia irrefrenabile del corpo che il severo pessimismo cinquecentesco di Pieter Bruegel.
W. Busch in una fotografia: W. Busch, Schopenhauer con il suo cane
W. Busch, Paesaggio, 1889-91
W. Bush, Max und Moritz, 1865: I due bambini infornati come pane e coinvolti in una delle loro azioni crudeli
I due bambini Max e Moritz, nel suo racconto grafico del 1865, sono puniti per la loro crudeltà con gesti di inaudita, onirica ferocia, e qui l’opera di Bush segna il momento culminante di quella contraddittoria poetica della crudeltà iniziata da Hogart: dall’amarezza dell’Illuminismo anglosassone al pessimismo continentale di metà Ottocento (1864: F. Dostoevskij, Memorie del sottosuolo).
Van Meckenem. Danza per l’anello (particolare), 1480 c
W. Busch, Pianista
Pieter Bruegel (+1569), Il misantropo (1568)
W. Busch, Max e Moritz, 1865: i bambini inseguiti dalle api
Ma alla fine del secolo, nella strettoia che porta al Novecento, questa poetica della crudeltà, come accade anche alle altre forme di percezione esasperata del reale in filosofia, in poesia, nella musica e nella pittura, si schianta contro l’argine normalizzatore eretto dalla cultura egemone, che da allora in poi cercherà sistematicamente di far deragliare il pathos della sofferenza individuale nei binari morti della retorica scolastica, dove qualunque dolore può decantarsi sul tavolo anatomico della lezione universitaria e nella confortante condivisione collettiva dei gruppi organizzati degli intellettuali e degli artisti.
Perchè sembra proprio che l’ennesimo cambio di paradigma del Novecento abbia previsto una cauterizzazione del dolore individuale (e della crudeltà) per lasciare spazio ad una sistematica normalizzazione dell’esperienza che le forme più autentiche della filosofia, della scienza, della poesia e dell’arte hanno poi cercato a fatica di contrastare.
Cauterizzare le ferite della crudeltà
Davoine, Incubo (1859), litografia
Adesso le forme illustrative più caustiche, come quella dell’impressionante litografia di Davoine, Incubo (1859), sono declinate a fine Ottocento nella variante innocua dell’epidermica serie di illustrazioni che è stata ideata per i giornali americani dal mediocre R. Outcault: Hogan’s Alley (1894-1895) e The Yellow Kid (1896-1898).
R. Outcault, Case’s Alley, 1895
George M. Woodward, A political fair, 1807
Le tavole di Outcault ripetono in termini gergali le caotiche incisioni satiriche degli autori del tardo settecento inglese, come quelle di George M. Woodward (A political fair, 1807), eppure oggi la serie di Outcault viene considerata dagli studiosi l’inizio di un genere, e si tratta dello stesso equivoco che ha imposto i Fratelli Lumiére (del 1895) come iniziatori del Cinema: si esalta colpevolmente la quantità contro la qualità, l’ortodossia e la messa a punto del funzionamento tecnico contro l’autenticità di chi ha vissuto profondamente e con intensità la vivida specificità creativa delle forme nel loro momento di più fresca sperimentazione.
Yellow Kid, 1897
In realtà i disegni di Outcault, come il cinema dei Lumiére, inaugurano solamente la diffusione massiva di un linguaggio già esistente, perchè Hogan’s Alley e Yellow Kid non sono altro che il segno dell’erosione definitiva subita dall’energia icastica delle incisioni di Hogart del 1762.
Hogart, Crudeltà, superstizione e fanatismo, 1762, acquaforte e bulino
Yellow Kid, 1897
W. Hogart, I tempi, tavola I, 1762
Il racconto grafico nel tunnel dell’entropia
Ed è con queste modalità restrittive che la strategia normalizzatrice dominante all’inizio del Novecento si impossessa prepotentemente del racconto grafico per farne un veicolo della più triste demagogia populista, alla quale si associa presto (1914) il deprimente e ipocrita cinema di Chaplin.
Illustrazione contro la mancanza di libertà, Inghilterra 1819; F. Burr Opper, Happy Holligan, 1900
Una scabrosa illustrazione inglese che nel 1819 denunciava la mancanza di libertà ora è devitalizzata nella declinazione che ne fa F. Burr Opper nel 1900 con il suo Happy Holligan: i segni dissonanti e amari del 1819 sono tradotti nella linearità inerte di uno sterile modulo ripetitivo, e non è necessario ricorrere a Freud per capire che il gradevole effetto ipnotico indotto da una serie come quella di Opper, e poi da tutte le serie successive di racconto grafico novecentesco, deriva dalla liberazione catartica dell’ansia che avvelenava così intensamente la poetica della crudeltà culminante nell’opera di Bush.
Skyphos con scena teatrale, 350 ac
D’altra parte, nel piacere che proviamo per questo freudiano ‘motto di spirito’ del racconto grafico che si prepara all’ipertrofia novecentesca si annida anche un inavvertito riverbero di memoria che rende oscuramente familiari le forme di Opper, perchè le caratterizzazioni di Happy Holligan cancellano le precedenti maschere desunte dal teatro popolare, come erano quelle di Ally Sloper del 1867 (Punch), per rievocare (inconsapevolmente?) le ben più inquietanti e deformanti maschere ludiche della pittura vascolare Greca.
F. Burr Opper, Happy Holligan
Dipinti vascolari con scene di commedie, IV sec ac.
Sta iniziando il dragaggio forsennato della memoria visiva del passato che finirà per drogare irreversibilmente il racconto per immagini di tutto il Novecento.
Stilizzazione virtuosistica e vuota ricerca dell’eccentricità
Hiroshige, stampa, sec. XIX
W. McCay, Little Nemo in Slumberland, 1905
Windsor McCay, il grande seduttore del racconto grafico di inizio Novecento, è un artista intelligente e di grande sensibilità che viene eccessivamente esaltato dalla critica corporativa: le sue opere spettacolari, dal 1905 al 1914, sono comprensibili nel contesto più esteso dell’illustrazione Art Nouveau che prevedeva un alto grado di professionismo e di virtuosismo tecnico, e come tanta grafica del tempo sono strettamente debitrici delle stampe ottocentesche di Hiroshige, fonte primaria delle eleganti soluzioni grafiche del suo Little Nemo in Slumberland del 1905.
E l’utilizzo ipnotico della prospettiva che fa McCay è lo stesso che stavano adottando negli stessi anni Edwin Porter e David Griffith per i loro film alla ricerca di una strutturazione estensiva e non intensiva dell’immagine.
Hiroshige (1858), stampa
Windsor McCay (+1934), Little Nemo in Slumberland, 1905
Illustrazione inserita da Freud ne L’interpretazione dei sogni (1889) con la riedizione del 1914
E qui, a proposito dell’esaltazione smisurata che viene fatta di questo interessante disegnatore, è interessante ricordare l’opinione davvero grottesca di uno studioso italiano che considerava McCay più importante (?) di Freud per quanto riguarda la comprensione dei sogni: ebbene, proprio Freud aveva fatto inserire nell’edizione del 1914 de L’interpretazione dei sogni (1889) una pagina grafica desunta chiaramente da quelle di McCay, un disegno che Otto Rank aveva già pubblicato in un saggio del 1912: la prima dignitosa testimonianza del racconto grafico in testi scientifici.
Mathieu Merian (1593-1650), La Morte e il Borghese, incisione
G. Verbeek, The Upside-Downs, 1903-1905
Colta stilizzazione virtuosistica e banale ricerca dell’eccentricità: sono questi i due poli estremi che segnano l’inizio del secolo. I goffi disegni di Gustave Verbeek per The Upside-Downs (1903), che devono essere rovesciati per continuare a seguirne il racconto, evocherebbero secondo uno studioso corporativo un inverosimile ‘grafismo espressionista e predadaista’, ma la patetica ricerca di eccentricità di Verbeek si limitava invece a riproporre le forme della tradizione illustrativa delle figure ambigue da rovesciare, dalla glittica antica al Seicento di Merian, e l’ingenuità puerile di Verbeek è la stessa che animava il fragile cinema di Georges Méliès (Viaggio nella luna, 1902).
Il peso predominante dei modelli
Picasso, litografia, 1929;
G. Herriman, Krazy Kat, 1917
Anche il racconto grafico, come accade per tutti i territori dell’esteticità diffusa che lo spirito corporativo è riuscito a segregare nell’angustia della storia specialistica, ha nutrito al suo interno l’esigenza irragionevole di avere i suoi geni locali, ed è per questo che l’onesto e intelligente George Herriman, autore di Krazy kat dal 1913 al 1944, è stato celebrato come il più raffinato poeta della Comic Art.
Ebbene, Herriman è stato senz’altro un autore di grande sensibilità: nelle sue opere si avverte un suggestivo ritegno, un pudore arcaico di sapore quasi neoromanico che gli impedisce di indulgere nelle banalità e nei segni descrittivi che in quegli anni hanno segnato pesantemente gran parte dell’attività grafica dei suoi contemporanei; c’è un delicato stupore nei suoi lavori che manca agli altri disegnatori, ma tutto questo non è sufficiente per accreditare l’immagine retorica del poeta isolato.
Se mettiamo a confronto una delle sue tavole più intense (del 1917) con una delle tante litografie del Ruiz Picasso surrealista (1929) ci rendiamo conto immediatamente di quanto sia stato determinante il condizionamento, diretto o indiretto, che su questo autore generoso hanno esercitato a distanza i modelli grafici dominanti di quei primi decenni del secolo.
Miniatura da un bestiario inglese del XII sec.
Ub Iwerks, Mikey Mouse, 1928
E anche il Mikey Mouse ideato e disegnato all’inizio dal sensibile Ub Iwerks per Disney (animazioni dal 1928 e disegni dal 1930) ha dovuto poi indebitarsi con le icone del passato più remoto per imporre con prepotenza la sua immagine contro il groviglio delle goffe e innumerevoli forme analoghe di quegli anni: la forte icasticità di Mikey Mouse attinge dallo splendore epidermico privo di ombre degli smalti e delle miniature medioevali.
Il racconto grafico nella retorica sociale del New Deal
E adesso, giunti a ridosso del New Deal americano, il racconto per immagini assume la stessa importanza per il mondo popolare che è stata rivestita nel Quattrocento dalle Biblie pauperum xilografiche, e la consapevolezza di questa funzione esaspera ulteriormente la ricerca affannosa di modelli colti, preferibilmente europei, capaci di differenziare e di rendere attraenti le singole opere.
James Resenberg, Il crollo di Wall Street, 1929
Una splendida illustrazione di Resenberg del 1929, Il crollo di Wall Street, è frutto della cultura civile dell’Espressionismo europeo, e non è certo questo il modello generativo per l’invadente proliferazione del racconto grafico che viene avviata dall’editoria dei quotidiani americani negli anni della crisi economica e del governo di Roosevelt (1933-1937): la sua forma amaramente e negligente e dissonante sarà invece un attraente prototipo per la più recente Graphic Novel, che oggi torna a rivisitare il racconto grafico negli anni che precedono la sua massiva e riduttiva estensione popolare alla ricerca di una freschezza perduta.
George Woodward, 1809
Roy Crane, Wash Tubbs, 1932 e 1933
Nel 1924 l’opera di Roy Crane (Wash Tubbs) mostra quanto il racconto grafico fosse ibridato, immediatamente prima del ’30, da un impasto di forme descrittive desunte dall’illustrazione litografica e di forme spurie, caricaturali, residuo di quella osmosi tra grottesco e realismo che era già stata la norma per autori come Woodward (1809) e poi per la satira ottocentesca. E in prossimità della sistematica proliferazione del racconto grafico americano del New Deal, questa ibridazione di Crane è il segno rivelatore dell’incertezza che gli autori di quegli anni vivevano nell’individuare una soluzione formale che fosse adatta alla nuova situazione.
Stampa cinquecentesca con scena di tortura
Ebbene, proprio in questa fase di incertezza è significativa la drastica scelta stilistica di Harold Gray, militante dell’opposizione di destra ai progetti di Roosevelt e autore di Little Orphan Annie dal 1924: un segno anacronistico estremamente contratto e ridotto a segmenti elementari che evoca le incisioni più cupe della Controriforma. Una soluzione polemicamente arcaizzante che Gray manterrà inalterata per decenni.
Harold Grey, Little Orphan Annie nel 1944
Copertina per Tarzan of the apes di E. R. Burroughs, 1914; Hal Foster, Tarzan of the apes, 1929
Nel 1929, infine, nell’anno del disastroso crollo di Wall Street, il racconto grafico apre sui giornali americani il suo agguerrito fronte bellico proponendo subito contenuti narrativi di disarmante e ingenua demagogia dove c’è spazio solamente per una spettacolare lotta degli individui contro le avversità materiali dell’esistenza sempre incarnate in conflitti violenti.
Con Tarzan of the apes (1929-1936) Hal Foster innesta nel racconto grafico la composta e frigida linearità della sua cultura di illustratore professionista, senza utilizzare mai la forma del filatterio epigrafico perchè estraneo al contesto dell’Illustrazione.
N.C. Wyeth 1909, Winter; Hal Foster, Prince Valiant, 1937
H. Foster, Tarzan of the apes
La grafica delle opere di Foster (Tarzan, Prince Valiant 1937-1971) porta in dote anche per gli altri autori la tecnica di un naturalismo illustrativo diluito dalle innumerevoli illustrazioni cartellonistiche, ma si tratta di un linguaggio che paradossalmente deroga dalla specificità del racconto grafico per la sua tendenza contraddittoria a focalizzare il valore visivo di ogni singola immagine con il ricorso al contrasto luminoso e ad una minuziosa pratica descrittiva.
R. Calkins, Buck Rogers in 25th Century, 1929
Infatti, mentre Foster assicurava questo apporto della grande illustrazione, la specificità del racconto grafico veniva cercata goffamente, ma con involontaria coerenza tipologica, da R. Calkins (Buck Rogers in 25th Century) e da R. Maxon (strisce giornaliere di Tarzan of the apes associate alle tavole domenicali di Foster), due autori non professionisti e incredibilmente sciatti che segnano però l’ingresso nel racconto grafico di un disegno improvvisato che non poteva non essere attraente e familiare per una collettività così improvvisamente impoverita dalla crisi economica. Un fenomeno, questo della grafica improvvisata e negligente, che rievoca la rude vitalità degli ex voto popolari più semplificati con i quali il mondo rurale ha sempre cercato di fronteggiare le forme espressive imposte dalla cultura egemone, e non si deve dimenticare che dal 1910 il Blaue Reiter aveva imposto all’attenzione e giustificato culturalmente l’arte spontanea della pittura popolare.
Rex Maxon, Tarzan of the apes, 1929
C. Gould, Dick Tracy prima maniera, 1931
Il caso di Chester Gould, autore di Dick Tracy dal 1931, è rivelatore della forte necessità avvertita dai disegnatori americani del New Deal di uscire sia dalle forme troppo raffinate e contraddittorie di Foster che da quelle troppo elementari del disegno dei non professionisti, per cercare l’alternativa di un’intensa caratterizzazione figurativa.
Dick Tracy negli anni ’60
Gould matura la sua intensa scrittura grafica cominciando con l’esaltarne i limiti grammaticali: riduce drasticamente i riferimenti anatomici a favore di un’intelligente visualizzazione del Design e accetta la contaminazione degli anni ’20 tra naturalismo e grottesco esasperandone consapevolmente il conflitto con una inedita capacità di astrazione visionaria. Nei contenuti Gould recupera la suggestione morbosa di quella crudeltà che il racconto grafico novecentesco aveva cauterizzato, provocando negli anni ’70 una comprensibile ma contraddittoria reazione negativa del pubblico giovanile.
Frammento da un codice mixteco (C. Borgia, sec. XIV-XVI)
C. Gould, Dick Tracy
E c’è una sola fonte alla quale Gould può aver attinto per una così energica e affascinante soluzione grafica: l’emozionante scrittura figurata della cultura mesoamericana, dove l’autore poteva trovare le violente alterazioni segniche che lo hanno sedotto così intensamente (v. il Codice Borgia, Cultura Mixteca, sec. XIV.XVI).
Oggi è difficile sapere se Gould fosse consapevole di questo legame, ma non è poi così fondamentale avere una conferma perché nella cultura americana il retaggio precolombiano sembra aver rappresentato a volte quel passato remoto che i toscani del Quattrocento avevano cercato nella cultura etrusca: ce lo confermano gli studi del poeta e critico Charles Olson degli anni ’50 e poi indirettamente e più modestamente la pittura degli anni ’90 di Haring.
C. Gould, Dick Tracy
Milton Caniff, Terry and the pirates, 1934; David W. Griffith, Nascita di una nazione, 1915
I disegnatori professionisti come Milton Caniff e Alex Raymond, i due invadenti protagonisti degli anni del New Deal, seguono invece una strada che li porta all’elaborazione di una vera e propria arte di Stato, il primo cercando un’esplicita simpatia strutturale con il Cinema e il secondo una teatrale rievocazione figurativa della cultura artistica europea rivissuta interamente attraverso il filtro dell’illustrazione ottocentesca e del primo Novecento.
M. Caniff, Steve Canyon, 1947
Caniff inizia nel 1934 correggendo l’ibridazione di Crane per approdare ad una visualizzazione pittorica che è apertamente debitrice del cinema di Griffith;
Griffith, Intolerance, 1916, la Notte di San Bartolomeo; M. Caniff, Steve Cayon, 1947
Winslow Homer, Remando al crepuscolo, 1892
si è formato studiando la delicata sensibilità pittorica del suo primo socio, Noel Sickles, e nella sua memoria c’è senza dubbio il precedente colto della pittura di Winslow Homer (Remando al crepuscolo, 1892), ma forse è stato anche sedotto dalla freschezza della pellicola filmica in movimento che gli ha permesso di coltivare nelle sue (rare) opere migliori una inedita leggerezza del segno che comunque non ha niente a che vedere con la calligrafia orientale, come è stato sostenuto con incredibile superficialità dagli studiosi corporativi.
E per questa sua prossimità al linguaggio filmico più seduttivo, adeguato ottusamente ai contenuti più convenzionali, Caniff è destinato in quegli anni ad essere il più coerente esecutore testamentario della retorica nazionalista.
Belzenau, fotosintesi; A. Raymond, Flash Gordon, 1934
Anche Alex Raymond, autore di lavori grafici già dal 1931, costruisce accuratamente e intenzionalmente la sua carriera di cantore della positività americana a favore di una cultura educata dall’individualismo idealista di Emerson.
Il tipo fisico che Raymond esalta nel suo racconto grafico, soprattutto dal 1934 in poi, è quello dello stereotipo asettico che risulta dalla sintesi visiva realizzata a suo tempo da Belsenau,
Honoré Daumier, Stampa satirica; Rue Transnonain, 1834
e le sue stilizzazioni derivano evidentemente dalle stampe più ortodosse e descrittive di Daumier.
Ma nel contesto esigente del New Deal per l’ambizioso Raymond è inevitabile il ricorso continuo a forme già esistenti destinate ad essere attraenti per una collettività priva di storia che non ha mai smesso di invidiare la cultura europea.
Illustrazione satirica sulla fine del mondo,1910
E già nella prima tavola del suo Flash Gordon (1934) innesta nello schema elementare delle stampe di destinazione popolare tutto ciò che ha imparato dal disegno minuto di Foster: cerca una soluzione ideale che salvi la specificità del racconto grafico per coltivare impudicamente la seduzione delle illustrazioni ottocentesche delle quali avverte il fascino irresistibile e che desidera trasformare al più presto in efficaci strumenti di fascinazione collettiva.
Raymond, Flash Gordon, 1934
Illustrazione ottocentesca per Dalla terra alla luna di J. Verne
Edwin Porter, The Great Train Robbery, 1903
Il frenato ritmo visivo del suo racconto è esplicitamente mutuato da quello del cinema di Edwin Porter (1903), esempio normativo per il cinema narrativo ma anche per il racconto grafico naturalistico,
A. Raymond, Secret Agent X9, 1934
Illustrazione, sec. XVI
A. Raymond, Gordon, 1934
mentre l’ingenuità delle prime immagini disegnate per Gordon deriva esplicitamente dall’evocazione delle forme più elementari dell’illustrazioni antica.
Robert Farren, incisione per Gli uccelli di Aristofane, 1883
A. Raymond, Flash Gordon, 1934
In Raymond ogni fase della graduale messa a punto della sua grammatica presuntuosamente classicista è segnata dalla presenza di un modello più o meno consapevole: ad una singolare invenzione ottocentesca (Robert Farren, Incisione per gli Uccelli di Aristofane, 1883) può sovrapporsi la visualizzazione colta introdotta dell’illustratore Foster.
L. Metlicovitz, Inaugurazione del Sempione, 1906, stampa litografica; A. Raymond, Flash Gordon, 1935
Le pose retoriche disegnate in Flash Gordon derivano esplicitamente dai grandi manifesti del passato recente, come quello di Metlicovitz del 1906 e come quello dedicato alla Cabiria di Pastrone (1914), il film italiano commentato dalle didascalie di D’Annunzio.
Manifesto per Cabiria, 1914; A. Raymond, Flash Gordon, 1935
Illustrazione ottocentesca de Il Saladino; A. Raymond, Flash Gordon, 1935
Nel 1935 Raymond azzarda l’accentuazione colta del suo linguaggio figurativo con la ripresa intenzionale delle più teatrali illustrazioni ottocentesche, soprattutto di quelle fascinose che Dorè incise nel 1865 per Paradiso perduto di John Milton (1667).
G. Dorè, illustrazione per Paradiso Perduto di John Milton (1865);
A. Raymond, Flash Gordon, 1935
G. Dorè, Paradiso perduto, 1865.
A. Raymond, Gordon, 1935
E le belle incisioni di Dorè offrono l’opportunità a Raymond di sedurre l’immaginazione di un pubblico facilmente impressionabile con una delle scene più teatrali del suo Gordon, la caduta in fiamme dei guerrieri alati, che non è altro che una banale derivazione delle emozionanti figurazioni visionarie incise da Dorè per il suo Milton.
Dorè, Paradiso perduto
Greta Garbo in Matha Hari, 1931; A. Raymond, Flash Gordon, 1941
Nel ’40, esaurita l’esigenza di una retorica riproposizione della cultura europea, Raymond aderisce acriticamente alle immagini del cinema narrativo più esteriore e calibra il suo disegno su quelle forme statiche e aridamente teatrali, consolidando una forma grafica standard costruita interamente da stereotipi fossilizzati che poi si ritroverà ovunque immutata e praticamente inalterabile, come nel Tex Willer dell’italiano Aurelio Galleppini.
C. De Mille, Cleopatra, 1934; A. R., Flash Gordon, 1941
Phil Davis, Mandrake the magician, nel 1934
Nel 1934, intanto, Phil Davis aveva iniziato il suo Mandrake the magician con un disegno privo di professionalità, per limitarsi subito dopo alla sceneggiatura e lasciare il disegno a Lee Falk che trova una sua accattivante forma connotativa coniugando la rigidezza delle incisioni più antiche con lo schema fossile delle Stampe di Epinal, ottenendo una sua peculiare caratterizzazione grafica materiata di attraente semplicità.
e nella versione successiva di Lee Falk; Illustrazione alchimistica, sec. XVII
Epinal, 1850
L’esplorazione dell’Africa in una illustrazione ottocentesca
Il dignitoso Ray Moore guardava invece, per il suo Panthom del 1936, alle tante illustrazioni dedicate all’esplorazione esotica, e da quelle aveva desunto evidentemente un segno gradevolmente fragile e abbreviato che valorizzava i suoi stessi limiti tecnici.
Ray Moore, Panthom, 1936
Illustrazione ottocentesca
Ray Moore, Panthom, 1936
Ma anche in questo caso il fascino sottile delle forme ottocentesche offusca e fa dimenticare la piacevole sensazione di freschezza del disegno slegato di Moore.
Theoror de Bry, Illustrazioni, sec. XVI
E da allora la prassi della citazione testuale si estende senza freni: quando negli anni ’50 Wilson McCoy disegna a sua volta Panthom, sceglie come modello colto l’interessante illustratore cinquecentesco che aveva mostrato le condizioni di vita degli indiani d’America, Theodor de Bry (Liegi, 1528.1598): lo si vede dalla ripresa letterale delle singolari pettinature e dei copricapi, ma lo si avverte anche nella suggestiva semplificazione del segno, che è stata equivocata dagli osservatori meno attenti come caricaturale.
Wilson McCoy, Panthom, 1957; T. de Bry. Illustrazioni, sec. XVI
Illustrazione satirica su Darwin, sec. XIX; Al Capp, Li’l Abner
Al Capp, un altro di quegli autori che sono stati sopravvalutati per motivi corporativi e nazionalistici (nel 1953 John Steinbeck arrivò a proporlo per il Nobel) disegna Li’l Abner dal 1934 al 1977 mostrando una stanca ripresa letterale delle più animose caricature ottocentesche, mentre i mediocri Bob Kane (Batman,1940) e J. Shuster (Superman, 1938) divulgano forme già inaridite con un modesto manierismo artigianale.
Stampa francese, sec, XIX;
B. Hogart, Tarzan
Il modello dei manifesti ottocenteschi più materiati di sintetiche forme accademiche domina le opere di Burne Hogart, un docente di disegno che dal 1937 continua la serie di Tarzan, un autore pedante che nell’imbarazzante e demenziale retorica degli studiosi di settore avrebbe iniziato un presunto fumetto d’arte, perché sarebbe un vero ‘Michelangelo dei fumetti’, Hogart, dotato di ‘tecniche identiche a quelle dei grandi pittori del Rinascimento’ (!).
Demetre Chiparus (+1947), Antinea, bronzo e avorio, 1928; W. Marston, Wonder Woman, 1941
Nel 1941 W. Marston pensa alla micro plastica Art Nouveau per disegnare Wonder Woman, mentre le suggestive illustrazioni ottocentesche a carattere erotico suggeriscono l’insignificante Vampirella di F. Ackerman del 1969
Illustrazione ottocentesca; Vampirella, 1969
Gustave Dorè, incisione; Frank Franzetta, copertina, anni ‘60
e le eclettiche incisioni di Dorè continuano ad essere il modello di infinite varianti puramente scolastiche, come quelle di Franzetta.
Cecoslovacchia, arte celtica, V–I sec.ac, Praga;
Alberto Uderzo, Asterix le Gaulois, 1961
Il Belga Albert Uderzo inserisce nel suo Asterix le Gaulois del 1961 la citazione della magnifica icona celtica conservata a Praga,
Max Klinger, Il ratto, da Storia di un guanto, incisione, 1878-80
Jean Giraud, Arzach, 1974
e una invincibile dipendenza dal Simbolismo domina le opere del superficiale Jean Giraud, un altro autore esaltato senza motivo per le sue presunte visualizzazioni visionarie che dipendono fin troppo scopertamente dalle cinquecentesche illustrazioni grottesche per Rabelais, dalle illustrazioni ottocentesche di Albert Robida (La sortie de l’opéra en l’an 2000, 1882) e dalla serie di Max Klinger, dalla quale Giraud ha ripreso goffamente, tra le altre cose, il suo pterodattilo in volo.
Alberto Robida, La sortie de l’opéra en l’an 2000, litografia, 1882
Bambole Akua ba, Ashanti, Ghana
C. Schulz, Peanuts, 1950-2000
Ma una delle adozioni iconiche più interessanti del racconto grafico è sicuramente quella che riguarda i Peanuts (1950 -2000) di Charles Schulz, un altro autore che ha beneficiato senza motivo di una insensata fama di arguto intellettuale: le connotative forme tonde e stuporose con le quali Schulz ha corretto i suoi meschini disegni degli inizi denunciano la fascinazione (consapevole?) di un modello di grande intensità, la perturbante bambola Akua ba della cultura Ashanti del Ghana, usata dalle madri in attesa del parto per immaginare il bambino che deve nascere.
Kurt Schwitters, For Kate, 1947
In un diverso contesto creativo, intanto, si rielaboravano le forme del racconto grafico con il distacco aristocratico di chi presuppone una inesistente superiorità culturale.
Lucy Lippard, in rappresentanza dell’arrogante critica corporativa che dagli anni ’60 domina il contesto dell’arte contemporanea, ha descritto la delicata pagina di Kurt Schwitters del 1947 (For Kate) come ‘uno dei più convincenti prototipi Pop’, nonostante ‘le piccole dimensioni’ e nonostante ‘il colore smorto’, annotando poi che la serie Tricky Cad di Jess Collins (1959) rende le vignette di Gould per Dick Tracy ‘acutamente alterate’ (Pop Art, 1966).
Jess Collins, Tricky Cad, 1959
Acutamente alterate: possiamo rispondere qui, a distanza di tempo, a Lucy Lippard, che nel lavoro di Gould sono presenti, anche se molto raramente, delle magnifiche e poetiche sequenze grafiche che non hanno nessun bisogno dei seduttivi artifici di Collins né della fascinazione epidermica del pur notevole Dick Tracy di Whartol del 1960.
Andy Warhol, Dick Tracy, 1960
Illustrazione e pacatezza nel racconto grafico italiano
Le petit journal, 1907
In Italia, in una situazione culturale del tutto diversa da quella americana, il racconto grafico elabora una sua scrittura moderata calibrandola su quella posatezza priva di accentuazioni che caratterizza le illustrazioni europee di carattere storico, ed è significativo che uno dei disegnatori più sensibili degli anni ’30 sia stato Walter Molino che in seguito continuerà la tradizione illustrativa di Beltrame.
Illustrazione italiana, 1888
Particolare di una tavola di Walter Molino degli anni ’30
Le petit journal, 1912; Rino Albertarelli, kit Carson, 1937
Qui l’autore più dignitoso è stato probabilmente il modesto ma sensibile Rino Albertarelli, che ha evitato le troppo scolastiche stilizzazioni americane grazie al suo pittorico disegno vulnerabile e friabile; e accanto a lui ci sono le altrettanto dignitose figure di Franco Caprioli, attivo dal 1939, di Ferdinando Corbella (Roland Eagle, 1950-1964) e dell’illustratore Mario Ugger
G. Sinchetto, D. Guzzon, P. Sartorio (EsseGesse), Grande Blek; Capitan Miki, 1951-1954
Ma dagli anni ’50 in poi anche il racconto grafico italiano si sclerotizza nella ripetizione di moduli standard ripetibili all’infinito, in attesa delle liberatorie sperimentazioni di autori sensibili come Dino Battaglia e del fertile laboratorio sperimentale degli anni ’80 di Frigidaire (1980), che comunque è strettamente debitore, assieme a quello francese di Métal Hurlant (1974), dello spirito postmoderno della Transavanguardia internazionale del quale si è nutrito anche troppo avidamente.
Una sofferta Poetica della negligenza
Alla fertile cultura argentina del secondo dopoguerra dobbiamo invece un’interessante alternativa alla fossilizzazione del mercato americano e all’incertezza creativa di quello europeo.
Hèctor Oesterheld; H. Pratt, Ernie Pike con le fattezze di Oesterheld
Nel 1957 Hèctor Oesterheld, il generoso scrittore argentino sequestrato e assassinato con le figlie nel 1977, durante la dittatura militare, scrive i soggetti per L’Eternauta di Solano Lopez e per Ernie Pike di Hugo Pratt, due racconti grafici insolitamente dignitosi dove alla cura letteraria del testo si associa la scelta di una grafica che mostra un’energica insofferenza per gli schemi inariditi imposti dal mercato: un amaro espressionismo nella pagine di Lopez e un pittoricismo ipersensibile, mutuato esplicitamente da Caniff, in quelle di Pratt.
F. Solano Lopez, L’eternauta, 1957; Manifesto politico messicano
L’eternauta, 1957
Hugo Pratt, Ernie Pike (1957) in una tavola del 1960
Il generoso sperimentalismo di Alberto Breccia
Max Ernst, Frottage;
A. Breccia, particolare
E in questo contesto di ammirevole impegno sociale anche Alberto Breccia (nato a Montevideo, ma in Argentina dall’età di tre anni) ha coltivato la sua sensibilità a contatto della cultura di Oesterheld, ma ha dovuto corroborare la sua grafica epidermica, di mediocre livello creativo, con il ricorso all’informale inquietante dei frottage di Max Ernst, alla gestualità materica di autori come Mattia Moreni e all’espressionismo illustrativo di Otto Dix.
Otto Dix, incisione;
Alberto Breccia, particolare
Mattia Moreni, Un’immagine bestiale, 1958;
A. Breccia, particolari
Ed è doveroso constatare che, nonostante la sincera volontà dell’autore di svecchiare il racconto per immagini, un tale sperimentalismo era destinato a rivelarsi epidermico e inadatto a rinnovare davvero un linguaggio troppo fossilizzato: le opere del generoso Alberto Breccia confermano ulteriormente la dipendenza coatta del racconto grafico dalla pittura.
Armonici di memoria
Lettera miniata da Gregorio Magno, Moralia in Job, sec.X
Giorgio Reduffi, Tiramolla, 1952
Come accade frequentemente nell’arte figurativa contemporanea, anche in certe opere di grafica apparentemente meno impegnative dal punto di vista creativo possono emergere dei sorprendenti armonici di memoria: le forme disegnate senza pretese creative da un autore come Giorgio Reduffi (Tiramolla, 1952) erano già compresse in una miniatura del X secolo, e in questo caso non si tratta semplicemente di una singolare coincidenza, perchè è proprio laddove si suppone la semplificazione più banale, frutto del mestiere artigianale più ripetitivo, che si annida la possibilità del riverbero di memoria.
M. Greuter, Veduta di Villa Montalto-Peretti, 1620;
Particolare da Bonnie, anni ’60
Lo dimostra il fatto che nei racconti grafici più sbrigativi degli anni ’60 riemerge con una sconcertante evidenza la grafica corsiva dell’illustrazione funzionale utilizzata in Italia dal tardo Cinquecento in poi: le forme sommarie delle stampe di Greuter del 1620, infatti, si ripetono identiche in uno dei racconti grafici italiani meno interessati alla qualità, Bonnie, ed è significativo che questo disegno scarsamente professionale coincida anche con quello di un’altra tecnica funzionale altrettanto priva di intenzione creativa, l’identikit.
Identikit, da un giornale quotidiano; particolare da Bonnie
Felice Giani, Il negromante, sec. XVIII, Uffizi
D’altra parte, perfino i più demenziali racconti grafici erotici dei decenni passati, i continuatori europei della tradizione popolare dei Dirty Comics clandestini di rozza fattura artigianale, hanno un remoto modello nei disegni dei pittori del passato, come è il caso de Il negromante del settecentesco Felice Giani, un intelligente autore neoclassico che ha voluto sperimentare evidentemente un intenzionale incattivimento del segno.
E questa memoria nascosta, trasmessa inavvertitamente attraverso le forme più convenzionali legate ad una funzione pratica, è la stessa che rende così affascinanti le fotografie occasionali prive di intenzionalità estetica.
Alla ricerca di una nuova possibilità creativa
Adesso, se guardiamo a questi primi decenni del secolo, possiamo osservare un’interessante ricerca formale nella produzione delle Graphic Novel, che qui dobbiamo considerare però come il fisiologico sviluppo del racconto grafico evitando di esagerarne senza motivo la modesta importanza culturale.
Illustrazione di H. Knight Browne per Dickens, 1870; Will Eisner, Fagin Jew, 2003
Nella visuale ristretta dell’ottusa strategia corporativa degli studiosi del racconto grafico, il generoso Will Eisner, disegnatore e teorico, viene indicato come un geniale e fondamentale innovatore, soprattutto per il suo Contratto con Dio del 1978 che avrebbe avviato l’intensivo sviluppo attuale della Graphic Novel.
Illustrazione per Dickens;
W. Eisner, particolare (1978)
Ma l’opera di Eisner, tanto celebrata, non è altro che una (involontaria) demagogica ripresa delle illustrazioni create a metà Ottocento dai disegnatori come Knight Browne per i romanzi di Charles Dickens: una struttura fluida e gradevolmente colloquiale che Eisner ha irrobustito sbrigativamente aggiornandola con le forme eclettiche di Quarto potere di Orson Wells, apparso nel 1941 proprio in coincidenza con l’evoluzione epidermica delle insipide scenografie disegnate da Eisner per il suo Spirit del 1940.
Comunque sia, la Graphic novel, nonostante i suoi limiti, rappresenta la forma più stimolante del racconto grafico di questo primo decennio del XXI secolo, e si oppone vivacemente all’intensiva riproduzione seriale degli aridi racconti grafici più illustrativi, come la narrativa più attenta si sta opponendo coraggiosamente alla mediocre e infestante letteratura destinata all’incremento del mercato.
I complici delle Graphic novel in questo faticoso recupero della leggerezza poetica del disegno sono però due fenomeni assai più importanti delle vicende del racconto grafico: il rinnovato interesse internazionale per l’illustrazione di qualità e il ricorso sempre più frequente, nell’area post concettuale internazionale, al disegno casuale e volutamente negletto.
Illustrazione satirica sull’Affare Dreyfus, sec. XIX
Joe Sacco, Palestina, 1996
In questo rinnovato contesto di indagine creativa, l’animoso Joe Sacco, autore di racconti grafici dedicati con passionale aggressività alla situazione palestinese (Palestina, 1996), mostra con la sua grafia risentita il pesante debito che la debole cultura underground ha contratto con le forme più intense della satira tardo ottocentesca, come erano quelle legate alla vicenda di Dreyfus.
G. Herriman, Krazy Kat, 1913-1944
Art Spiegelman, Maus: A survivor’s tale, 1986-1991
Per quanto riguarda poi l’autore più celebrato del racconto grafico contemporaneo, Art Spiegelman (nato a Stoccolma, ma americano di New York), è lecito e opportuno ridimensionarne l’importanza: Spiegelman adotta per il suo intenso Maus: A survivor’s tale, del 1986-1991 la grafica scabrosa della xilografia espressionista e sfrutta apertamente un modello esemplare, il disegno lirico e scarnificato di Krazy Kat, di quel severo principe dell’esilio del racconto grafico che è stato George Herriman.
E un brutto inserto disegnato nel 1968, che Spiegelman ha collocato come nota autobiografica all’interno del suo Maus, denuncia i limiti della sua modesta matrice culturale: appunto la mediocre e sterile cultura dell’Underground americano, che oggi viene rivitalizzata dall’altrettanto sterile e infestante Street Art.
Marjane Satrapi, Persepolis, 2001
Xilografia russa del 1700
Ora, se guardiamo allo scenario internazionale dell’arte contemporanea coltivata in Oriente, in Africa, in Russia, si notano le Graphic novel più interessanti: l’iraniana Marjane Satrapi ha realizzato nel 2001 il suo Persepolis, storia di un’infanzia, dove uno struggente stupore emana dalla consapevole, disarmata povertà lessicale e sintattica delle forme, un linguaggio di matrice popolare che ha un modello normativo nelle stampe xilografiche settecentesche di carattere politico, come il foglio russo con Il Funerale del gatto (Pietro I).
Nikolaj Maslov, Siberia; Acquarello di un bambino di 14 anni
L’affascinante grafia ingenua del muratore russo Mikolaj Maslov, disegnatore non professionista autore nel 2004 di Siberia, non sarebbe mai stata accettata per la pubblicazione se non fosse stata giustificata a distanza da una cultura figurativa che adesso, dopo il tramontato rigore concettuale e con il rinnovato interesse per la tradizionale pittura figurativa, prevede sempre più frequentemente, come si diceva, una poetica e disintossicante sciatteria del segno
E. Bonnard, Disegno, 1930
che ha un modello magnifico nei disegni più delicati e struggenti di Bonnard (1930).
Magdy El Shafee, Metro, 2008
Oggi infine (2012), laddove la società soffre più intensamente i suoi cambiamenti radicali, il racconto grafico sembra offrire la possibilità di una forma creativa vivida, limitata ma comunque autentica, che è l’equivalente della fluida comunicazione in rete e della tecnologia povera del telefono cellulare che si è rivelato uno strumento capace di trasmettere immagini di grande drammaticità.
L’egiziano Magdy El Shafee, condannato dal regime già prima delle rivolte del 2011, ha realizzato a Il Cairo il suo Metro del 2008 con una scrittura dissonante e scabrosa,
Amruta Patil, Nel cuore di smog city, 2010
e l’indiana Amruta Patil ha inciso nel suo racconto su Dumbai, Nel cuore di smog city, 2010, una dolente elegia della solitudine affidata all’inquietudine delle forme più duramente scarnificate.
1975-2012