Jodi.org: continuità della ricerca d’avanguardia nella Net.art
Dicembre 2001: dentro il sito di Jodi.org siamo subito sequestrati a forza in una buia intercapedine, in un tunnel sconvolto dal violento vibrare di segmenti bianchi contro il nero: un’accecante pulsazione luminosa che sospende per un attimo la leggibilità e la stessa praticabilità del Web, negando la fluida continuità della rete ma anche il conciliante sgranarsi della computer art.
Gennaio: la tempesta accecante di Jodi.org sembra passata, ma si è solo spostata altrove; ora lo schermo è immobile e opaco, inerte. Si spostano (si scaricano) sul proprio computer tre zip e si estraggono dalla mobilità della rete tre oggetti implosi che si disgelano offline, tre inutili cristalli grafici: un groviglio di segni fossilizzati e di scrittura cancellata, un lampeggiare liquido di rosso, verde e blu miscelati e una fragile architettura di tasselli che slitta su se stessa.
In precedenza Jodi.org aveva conservato a lungo l’aspetto di un relitto digitale, con i segni a mosaico dei computer delle origini, e dal sito si prelevava lo scheletro svuotato, l’ombra fossile, di un ingenuo videogame dei primi tempi.
A quanto pare il sito di Jodi.org si trasforma in continuazione, a scatti; sembra reagire fisiologicamente alle stesse metamorfosi del Web.
Proprio nel momento della massima praticabilità pubblica della rete e in prossimità di una possibile grande espansione della Net art il sito si contrae prima in una forma anacronistica e oscura, poi si rende insostenibile allo sguardo con un’intollerabile tempesta ottica e infine, improvvisamente, si raggela inanimato. E queste sono solamente alcune fasi della sua continua mutazione, domani Jodi.org sarà già un’altra cosa.
E’ evidente che questo sito d’arte, creato nel 1995 da Joan Heemskerk e Dirk Oaesmans, si pone come un antidoto allo sviluppo ipertrofico di Internet, come un luogo collassato della rete che mutua la sua forma stessa dal Web ma solo per esporne in filigrana l’ossatura interna che smaterializza e rovescia (le parole si devono cercare all’interno della struttura html, non in superficie).
Jodi.org è già stato studiato, ma ciò che forse ancora manca è una lettura critica, un’interpretazione formale che ne permetta la collocazione nel contesto più generale dell’arte contemporanea.
Finora gli studiosi di Net art hanno sottolineato soprattutto l’aspetto sociologico di questa inquietante presenza che sembra contraddire la condizione di comunicazione universale del Web, ma Jodi.org è anche consapevolmente radicato, forse più di altre forme di Net art, nella tradizione storica della ricerca d’avanguardia, saldamente ancorato ad una poetica sperimentale del collasso strutturale che sopravvive nel passato recente dell’arte contemporanea; ed è chiaramente a questo lascito formale che ora attinge per insinuare un salubre correttivo nell’immane slavina di segni di Internet.
Quella poetica del collasso strutturale prevedeva (prevede) una continua modulazione che può spingere i segni più minuti (la lieve ferita sulla tela di Fontana, il blu di Klein, il pianoforte chiuso di Cage) ad una germinazione violenta, espansa e invadente: i grandi spazi sonori di Stockausen, per esempio, sono il frutto consapevole dell’irrefrenabile germinazione infestante che prende l’avvio dalle delicate e fragilissime molecole musicali di Anton Webern.
Coltivando questo spazio di impegnativa intensità lirica, soprattutto nei primi anni ’60, la ricerca d’avanguardia ha permesso una forma di preziosa disintossicazione dall’incredibile marea crescente di cinema narrativo, di televisione diffusa capillarmente, di informazione massiccia, di racconto; e questo lavoro ha tenuto a freno anche alcune forme d’arte di ricerca alimentate da un’ingenua euforia tecnologica che sono poi invecchiate precocemente, come la prima computer art e la musica elettronica. Ora Jodi.org è comprensibile proprio in questa prospettiva: dà un seguito a questo lavoro di ridimensionamento, di freno dell’euforia tecnologica, e scava nel passato creativo della sperimentazione per riutilizzarne i risultati. Della poetica del collasso strutturale maturata negli anni ’60 Jodi.org adotta tutti gli elementi, con una straordinaria, affascinante sensibilità: lirica indifferenza per l’immagine e per il racconto, estremo controllo della continuità formale dell’opera, consapevole, generosa vulnerabilità.
Lo splendore pittorico della tempesta ottica di dicembre recupera e riutilizza la forma di opere isolate del cinema sperimentale che non hanno avuto un seguito e che oggi sono dimenticate e pochissimo conosciute: come Le retour à la raison di Man Ray del 1923, dove l’immagine è negligentemente cancellata e trascinata confusamente in avanti, frantumata da un montaggio casuale e incontrollato che la riduce a frammenti luminosi e a schegge inerti (nel film è riconoscibile, per un attimo, la sua più intima, minuta matrice concettuale, la poesia cancellata dello stesso Ray), e come il cinema stroboscopico degli anni ’60 di Peter Kubelka (Arnulf Rainer, 1958-60) e di Tony Conrad (The Flicker, 1966), dove si plasmano impressionanti corpi ottici che vibrano con parossistica intensità, schermi lampeggianti dei quali non è possibile sostenere a lungo la visione, pulsanti come la tempesta visiva di Jodi.org.
Ma anche il film di Duchamp, Anemic cinema (1925-26), con la sua struggente, grigia consumazione passiva del tempo e con le sue parole illeggibili perché ludiche, inutili, giustifica a distanza le anomalìe strutturali di Jodi.org.
Nel sito poi c’è stata, nelle ultime settimane, anche una fase più contratta dell’aggressiva visualizzazione dei mesi passati, una parete opaca, oscillante in un cupo moto su luogo, che coincide visivamente proprio con la partitura completa del film di Kubelka (1).
K. Penderecki, Threni, 1961
Peter Kubelka (Arnulf Rainer, 1958-60)
Lo stesso assetto grafico di quello shock retinico che il sito ha provocato in dicembre ha un precedente ben riconoscibile: se lo immaginiamo bloccato in una pagina statica si sovrappone a certi spartiti di musica sperimentale degli anni ’60, come quello per Threni di K.Penderecki (1961), mentre la grafia impastata e disgregata dei testi illeggibili del sito ha un modello concreto nelle pagine grafiche di Jackson Mac Low, che nel 1963 aveva creato il libro d’arte An anthology con La Monte Young (nel libro La Monte Young inserì un minimale segmento nero stampato su cartoncino, la Composition 1960).
Anche quei tre zip che attualmente si aprono nel sito sono puntualmente riconoscibili come riflessi mnemonici dell’archivio visivo contemporaneo: grafica del Bauhaus (il mosaico di tessere) e luminosità cangiante dell’optical art.
Nel Web, quindi, Jodi.org ridà vita a forme di sperimentazione ormai abbandonate, che rivitalizza con l’innesto in un nuovo e diverso strumento adeguandole alla specificità della rete e continuando in questo modo ciò che hanno cominciato a fare dagli anni ’50 in poi i grandi lirici dell’antidoto all’eccesso della comunicazione, da Klein a Fontana, da Cage a Beuys.
Se Internet va nella direzione di una progressiva universalità della comunicazione, Jodi.org si offre generosamente come un correttivo, come uno splendido antidoto allo stordimento dell’eccesso di informazione.
21 gennaio 2001
Questo testo è rimasto leggibile in rete dal 2001 al 2009