Le forme dell’Illustrazione

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Le forme dell’Illustrazione

G.B. Piranesi, Le Vedute di Roma,1750-1757

Per studiare serenamente il fenomeno dell’Illustrazione si deve prima di tutto avere la consapevolezza che questa tecnica, pur avendo bisogno di essere conosciuta nel suo più ampio scenario creativo, non deve essere sopravvalutata: nessuna illustrazione ha mai raggiunto la qualità estrema delle incisioni di Piranesi, l’illustratore è un artista che ha quasi sempre fin dall’inizio la misura concreta del suo talento, e d’altra parte è lo stesso contesto che ne sollecita e ne giustifica l’opera che lo aiuta a rispettare dignitosamente e umilmente i limiti della modesta tecnica creativa che egli ha scelto consapevolmente di coltivare e senza quei limiti sarebbe vanificata la stessa funzionalità del suo lavoro. E’ inutile e sterile quindi pretendere, come avviene per tante altre forme creative considerate marginali soprattutto dalle stesse corporazioni che ne difendono gli interessi, una pari dignità dell’Illustrazione con la pittura o con lo spazio arioso e liberatorio dei grandi disegni. L’Illustrazione vive nel suo vastissimo territorio creativo in forme attraenti ma modeste, con i suoi esaltanti picchi di qualità e con i suoi vuoti e frequenti manierismi, e non ha nessun bisogno di un accademico riconoscimento retorico che la leghi ad ambiti che hanno una diversa specificità e che rispondono a domande diverse. E poi, comunque, un’intensa e intelligente illustrazione avrà sempre un genuino valore estetico infinitamente superiore a centinaia di mediocri e ripetitivi, tediosi dipinti scolastici.
v Gli strumenti della creatività.

Specificità
Se mettiamo a fuoco il problema della specificità di questa tecnica, possiamo riflettere su ciò che la distingue dalla pittura.
La pittura retinica ha la funzione di farci prendere le distanze dalla realtà per ricostruirne una forma intermedia e astorica che si pone tra la coscienza individuale e l’evento sempre mutevole del mondo, ma nella lega della pittura è sempre presente, accanto all’oro della creatività, il rame della descrizione minuta, l’inventario dei dettagli.
Bene, l’illustrazione, come declinazione progressiva di questo meccanismo di costruzione di una realtà intermedia, nasce quasi fisiologicamente dall’accentuazione, nella lega dell’opera creativa, del rame della descrizione inventariale del mondo, ed è così che assume i caratteri della sua specificità.

Nelle forme più antiche è sempre presente una declinazione dell’immagine in forme popolari e descrittive, basti pensare all’arte egiziana funeraria dove le piccole, dense figure destinate alle sepolture sono forme miniate di tutto ciò che nella realtà è già acquisito e che non ha quindi bisogno di una ulteriore elaborazione, ma solamente di una chiara descrizione inventariale, e questa è già arte popolare, è già quella forma ridotta a schema che poi la cultura egemone, in tutte le epoche, abbandona di volta in volta nell’immenso deposito alluvionale della cultura popolare.

La cultura della pittura retinica deposita accanto a sé l’emulsione illustrativa, e a volte questo processo la libera parzialmente della zavorra della descrizione inventariale, come accade nell’800, laddove la produzione di illustrazioni grafiche segue il percorso della fotografia documentaria e lascia spazio e respiro ad una pittura sempre più retinica e concettuale, e in questo caso il rame della descrizione viene devoluto nella pittura accademica e illustrativa, nell’illustrazione accademica e nella fotografia descrittiva, in attesa di essere raccolto nel Cinema e nella Televisione che del Cinema rappresenta l’accentuazione illustrativa.

La specificità dell’illustrazione può essere individuata allora proprio in questo, nella declinazione visiva di una inventariazione esentata dalla viva matericità che domina invece (nei suoi momenti di autenticità) la fascia di confine tra la retina e il mondo, in forme consapevolmente e volutamente superficiali desunte da tutto ciò che viene sistematicamente abbandonato dalla cultura egemone nelle fossilizzate e rigide declinazioni popolari.

Hercules Seghers, Paesaggio, 1620, incisione
Rembrandt, incisione

Ora, per capire in profondità la specificità dell’illustrazione possono essere messe a confronto due opere apparentemente tanto vicine tra di loro e realizzate nella stessa epoca, in un analogo ambito culturale, l’Olanda del primo Seicento.
Seghers ha lavorato alle sue incisioni e ai suoi rari dipinti concentrato sulla necessità di trovare soluzioni tecnicamente nuove, e non è detto che avesse la piena consapevolezza di essere un artista assolutamente geniale; è verosimile che Seghers abbia visto e apprezzato esempi della pittura cinese più estrema o magari del giapponese Sesshu, e che avesse quindi in mente la realizzazione di opere non troppo lontane da quelle visione sconcertanti (v Altdorfer e Seghers. Grandi lirici segreti nella pittura del Cinquecento e del Seicento).

Seghers sembra aver lavorato nello stesso spirito di Niepce, che attorno al 1820 desiderava soprattutto migliorare la stampa calcografica, ed è il contesto straordinariamente fertile della loro cultura e della loro intelligenza che li ha portati ambedue a risultati di altissima qualità.
Quella di Seghers non potrà mai essere ovviamente illustrazione di qualcosa, Seghers offre nel 1620 un antidoto di altissima qualità alla crescita prepotente della figurazione secentesca già materiata in parte di densità barocca, di icasticità naturalistica e di retorica classicistica.
Oggi sappiamo che Rembrandt raccolse come collezionista le opere di Seghers, ed è forse legittimo ipotizzare in lui una (sleale?) volontà di cancellare le tracce di quella geniale, intollerabile purezza per poi utilizzarne gli elementi più inquietanti a favore delle fascinose cancellature che rendono così struggenti certi suoi paesaggi. Ebbene, a volte, quando quei paesaggi di Rembrandt sono esplicitamente declinati nell’incisione, accade qualcosa che li impoverisce, e il segno vivo della sua pittura ad olio si deposita in un segno sintetizzato che viene proiettato direttamente dalla tela. L’incisione di Rembrandt, a differenza di quella di Seghers, in questi casi è tecnicamente illustrazione perché viene ottenuta dalla decantazione di segni già esistenti, è l’illustrazione di una cosa già esistente, cioé del suo corrispondente dipinto ad olio, e la sua sostanziale fragilità strutturale è il segno rivelatore di una fondamentale, paradossale inautenticità; ma questo, vincendo a fatica la malìa seducente delle forme di Rembrandt, lo possiamo capire solo conoscendo i precedenti immediati delle incisioni di Seghers.
E’ questo il contesto specifico dell’illustrazione, essere la proiezione consapevole di qualcosa che già esiste; l’illustratore più accorto lo ha (quasi) sempre saputo, ed ha sicuramente invidiato a volte la possibilità che viene offerta al pittore retinico di elaborare una forma radicalmente inedita e svincolata dalla necessità di documentare, come è quella di Seghers.

Adam Elsheimer, Fuga in Egitto,1609

Ci sono pittori di grande qualità, come Adam Elsheimer, che hanno realizzato dipinti che in realtà sono splendide illustrazioni; suggestive e affascinanti, certo, come il suo notturno con la luna della Fuga in Egitto del 1609, ma rese epidermiche e descrittive dalla volontà esplicita di allineare in un mosaico bidimensionale, costituito da tasselli autonomi, una sequenza irresistibile di elementi fascinatori che agiscono con forza ipnotica perché sono la proiezione vivida di impressioni ottiche già esistenti, già fissate nella memoria di chi guarda quel dipinto per la prima volta.

Illustrazione e raffigurazione

‘Arazzo di Bayeux’con storie della conquista normanna dell’Inghilterra (1066); tessuto ricamato, Sec. XI, Bayeux

Il cd arazzo di Bayeux non è illustrazione di qualcosa che già conosciamo in altro modo, ma raffigurazione di un evento del quale altrimenti non sapremmo quasi niente. La forma grafica di questo tessuto è inedita e sempre mutevole, non si riduce a stereotipi, non ha lo scopo di sistemare nella memoria un evento illustrandolo e riducendolo ad uno schema che sia sempre facilmente memorizzabile, ha la funzione viva, invece, di raffigurare nei suoi momenti un evento storico in tutta la sua complessa e sfuggente realtà. Potrebbe essere considerato un’illustrazione didascalica, ma non lo è in virtù della sua rapinosa visualizzazione dinamica.

Pagine dal Commentario dell’Apocalisse, Codice del monastero di San Millan, 950-955, Escorial

Il confine tra illustrazione e raffigurazione oscilla sempre quando l’immagine è situata nel confine tra la pura registrazione documentaria e la pura visionarietà: l’impressionante pagina miniata dell’Apocalisse mozarabica dell’Escorial (950-955) è illustrazione, paradossalmente, proprio in virtù dell’ossessivo sdoppiarsi dell’icona che aveva invece lo scopo di visualizzare e rendere indelebile l’orrore infestante della bestia;

Albrecht Durer, Rinoceronte, 1515, xilografia

Durer è affascinato dalle novità scientifiche, e il suo Rinoceronte è illustrazione perché la funzionale descrizione inventariale prevale in questa xilografia sulla scrittura in versi;

Egon Schiele (Austria, 1918), acquarello

i tanti nudi di Schiele sono illustrazioni, seppure di altissimo rango, perchè qui domina con prepotenza la stilizzazione manieristica.

Téodore Galle, Tavola da Veridicus Christrianus di J.David, Anversa, 1601
Andrew Wyeth, Pentecoste

Siamo abituati a considerare come mera illustrazione incisioni antiche come la tavola di Galle del 1601, che nasconde sottili e inquietanti sollecitazioni sensoriali, mentre nutriamo ancora dubbi sulla pittura naturalistica di Andrew Wyeth (USA, 2009), che è apertamente e impudicamente, innocentemente illustrazione seppure arricchita da delicate inflessioni materiche desunte dalla più colta pittura americana dell’Ottocento.

Pittori illustratori

Giorgio Ghisi, Il sogno di Raffaello, incisione, II metà del sec. XVI

Solamente la lettura critica ci può orientare nel saper distinguere, fosse anche con la possibilità di sbagliare, tra illustrazione e rappresentazione, tra opera descrittiva e opera poeticamente autonoma.
L’incisione di Giorgio Ghisi con Il sogno di Raffaello è stata realizzata con una esplicita volontà visionaria, ma risulta comunque costruita con un mosaico illimitato di singoli segmenti descrittivi ed è la somma di tasselli che sono stati pensati separatamente e poi addizionati; ciò che abbiamo davanti agli occhi, nonostante la suggestione onirica della scena, è un telaio coerente di informazioni visive che hanno già in se il loro valore. E tutte le opere del vigoroso Ghisi sono plasmate in questo modo, per sedimentazione massiva, che è quantitativa e non qualitativa.
Nell’opera del suo coetaneo e collega Giulio Bonasone accade invece il contrario: Bonasone trascrive ogni segno già dato in una scrittura poetica di grande, acuta intensità, e le sue opere hanno spesso la stupefacente unicità della scrittura in versi. Le incisioni di Ghisi e quelle di Bonasone condividono la stessa cultura dell’immagine, eppure laddove Ghisi crea affascinanti illustrazioni redatte in prosa Bonasone crea emozionanti opere poetiche che non descrivono qualcosa ma la rappresentano in versi (v Nettuno e Amymone, 1546, in Gli strumenti della creatività).

H. Seghers, Barca in un mare in tempesta, incisione,1620-1630

Ci sono infinite varianti di questa fenomenologia dello stile. Seghers non è un illustratore, nonostante la sua pratica creativa sia stata quasi esclusivamente rivolta all’incisione e sostanzialmente alla descrizione, ma certe sue opere sono invece illustrazione nonostante, potremmo dire, il loro estremo livello qualitativo: il suo incredibile mare in tempesta (1620-1630) è scritto in versi, e mostra una incondizionata autonomia poetica, lo dice il segno che graffia delicato e struggente l’intera superficie immateriale, eppure questa opera magnifica può essere considerata una (meravigliosa) illustrazione in virtù della sua disarmante, esplicita forza narrativa, a riprova di quanto sia inutile e irrazionale distinguere una presunta pittura colta che sarebbe contrapposta ad una presunta illustrazione di destinazione popolare.

Stefano Della Bella, Veduta di un porto, 1655, Collezione Bertarelli, Milano
Carlo Dolci, Stefano Della Bella, 1631

Un illustratore professionista come Stefano Della Bella (Firenze, 1664), autore raffinato del frontespizio per il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei (1632), ha coltivato una sensibilità talmente delicata e così dolcemente assorta da permettere alle sue esplicite illustrazioni di sconfinare spesso verso un disegno autonomo che non si limita a raffigurare qualcosa né tanto meno ad illustrare contenuti già noti; un graffito ipersensibile che traduce in termini di scrittura poetica, con un lievissimo sismografo individuale, ciò che nello schermo del visibile non avrebbe altrimenti nessun rilievo percettivo e che noi non potremmo vedere.

Della Bella, nelle sue affascinanti vedute, scrive in versi con la percezione altissima della fragilità del segno e della tenerissima collisione che ne sfalda i segmenti; non si limita mai ad illustrare qualcosa, trascrive ipersensibile delle acute suggestioni visive altrimenti sfuggenti. Non ripete la forma di cose che abbiamo già visto, ne acuisce la realtà più intima. Pur operando nella piena specificità della sua tecnica, Della Bella coltiva una scrittura poetica che quasi sempre va ben oltre i limiti dell’illustrazione, con una inedita lievità prossima alla musica coeva di Carissimi.
Il fascino perturbante delle opere di Giovan Battista Piranesi (1778) non è, come si crede, nei Capricci e nelle Carceri, ma nelle sconvolgenti vedute di Roma di metà Settecento: se i Capricci corrispondono alla più animate e fluide invenzioni di Vivaldi e le Carceri alle più inquietanti composizioni di Boccherini, le vedute visualizzano le tormentate sonorità di Tartini; nelle sue incisioni più intense, quelle che sono tendenzialmente più illustrative e meno sperimentali, la macchina percettiva è sconvolta da una messa a fuoco ossessiva che scandaglia senza tregua l’inarrestabile fatiscenza della materia,

e spesso l’esito è quello di una sconvolgente, contratta percezione del mondo che ha un corrispettivo nelle Suites per violoncello solo di Bach.

E anche quando le sue incisioni mostrano più che mai tutte le caratteristiche tecniche dell’illustrazione descrittiva, Piranesi è un lirico assorto nella fascinazione irresistibile della pura creatività.
v Fertilità del pensiero poetante.

John Cozens, Veduta di Castel s. Elmo a Napoli, 1790

La straordinaria Veduta di Castel S. Elmo di Cozens (1790) sfiora apertamente la specificità dell’illustrazione, ma il suo respiro, lo sgranarsi dolente del tessuto verso l’intera superficie che lo sostiene, la fa essere, come accade alle incisioni di Della Bella e di Piranesi, una pagina scritta in versi capace di denudare aspetti del visibile altrimenti impercettibili.

Pierre Bonnard, illustrazione per Parallèlement di Paul Verlaine (1889), litografia, 1900

Bonnard, nella magnifica edizione che Vollard ha pubblicato nel 1900 di Parallèlement di Verlaine, ha voluto aderire consapevolmente alla specificità dell’illustrazione sciogliendo letteralmente le sue litografie nel testo, e il risultato è quello irripetibile delle illustrazioni più belle e delicate che siano mai state realizzate.

Odilon Redon, La Notte, 1910-1911

E poi ci sono pittori di grande e rarissima sensibilità, come Odilon Redon (1916), che, al contrario, sconfinano spesso con il loro lavoro nel terreno dell’illustrazione. Trascinato dalla cultura epidermica del Simbolismo esoterico, Redon lascia che la sua stremata calligrafia epidermica si dilati per offrirsi ad una lettura emozionale e sensitiva prossima ai testi meno duraturi e più enfatici di Mallarmé e di Rilke.

Scipione, Castel Sant’Angelo, disegno acquarellato

Gino Bonichi (Scipione,1933) è stato anche un delicatissimo illustratore, e certe sue opere grafiche potevano educare diversamente i tanti modesti illustratori italiani degli anni ’30 che hanno invece preferito coltivare la rigidezza fossilizzata del design editoriale allora imperante.

Pablo Ruiz Picasso, Sogno e menzogna di Franco, 1937, acquaforte e acquatinta

Pablo Ruiz Picasso è modestamente illustratore quando cerca con presunzione delle forme apparentemente più colte per arricchire la sua opera eclettica di prosatore epidermico eternamente ossessionato dalle soluzioni linguistiche di altri.

Jean Dubuffet, Testa, 1959

Analogamente, il troppo celebrato Jean Dubuffet è stato in realtà un astuto (e insincero?) illustratore: la sua pretesa di trascrivere filosoficamente in versi le immagini del disagio psichico si arena nella fascinosa prosa descrittiva di chi si è limitato ad osservare e ad inventariare il dolore degli altri.

Andrew Warhola, Banconota da un dollaro, 1962

Andrew Warhola (Andy Warhol, 1987), nonostante le idiozie insensate che sono state imposte con prepotenza dal mercato sulla sua inesistente qualità creativa, è in realtà sempre un modestissimo, mediocre illustratore, e tutta la sua opera mostra il segno imbarazzante di un patetico desiderio di riscatto dalla sua iniziale attività puramente artigianale.
Oggi (2014), peraltro, sappiamo che dalla Pop art degli anni ’60 alla Transavanguardia internazionale degli anni ’80 gli artisti non hanno mai smesso di adeguare la loro opera alle esigenze dell’illustrazione e della facile riproducibilità seriale richiesta dal mercato, mascherando ipocritamente questa adesione con la scolastica teorizzazione di una presunta (inesistente), irrisoria ironia dissacrante, equivocando senza pudore la delicata appropriazione che Duchamp fece di una stampa popolare nel 1913, Farmacia (v Vitalità del pensiero poetante).
D’altra parte basta sfogliare la serie di volumi della Taschen (Art Now) per rendersi conto di quanto scambio reciproco ci sia stato tra la pittura più scolastica del mercato tardonovecentesco e la pratica dell’illustrazione corroborata dal gusto postmoderno degli anni ’80.

Illustratori pittori

Honoré Daumier, Ecce homo, 1850, olio su tela, Essen
Daumier, caricature

Gli illustratori di professione hanno sentito spesso il bisogno di misurarsi con la possibilità di una creatività più intensa. Honorè Daumier coltiva accanto alle sue tante illustrazioni testi pittorici di acuta, poetica matericità, e la sua opera mostra in questo una profonda simpatia strutturale con le poesie di Baudelaire, dove la descrizione esteriore, emozionale, e la riflessione più intima sono sovrapposte in un tessuto connettivo inestricabile.

Gustave Doré, Nave tra i ghiacci, 1876, guazzo
G. Dorè, Londra,1872

E anche Dorè ha saputo realizzare, accanto alle tante illustrazioni eclettiche, testi pittorici raffinati e assorti, come la sua straordinaria Nave tra i ghiacci del 1876.

Il fascino ipnotico dell’illustrazione

Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica,1542 (edito nel 1543)

Il grande potere fascinatore dell’illustrazione si basa prevalentemente sulla quantità di nozioni visive che è possibile addizionare in un singolo foglio, come dimostra lo splendido frontespizio del Vesalio edito nel 1543.
L’autore raccoglie nello spazio della pagina tutta la memoria esteriore della pittura, della scultura e dell’architettura del suo tempo in una sintesi vigorosa che deve la sua straordinaria forza suggestiva alla somma parossistica dei dettagli, alla massività quantitativa più che ad una radicale scrittura qualitativa.

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, edizione Valgrisi del 1580

Nel Cinquecento la diffusione massiva dell’illustrazione libraria rafforza la specificità stessa dell’illustrazione come suggestivo mosaico di minute, infestanti informazioni,ma spesso questa densità entra paradossalmente in conflitto con la specificità creativa del libro, che non può affidarsi completamente all’immagine figurativa perché si nutre della gestione grafica della parola che rischia continuamente di essere sminuita e addirittura sostituita dall’immagine.

Stefano Della Bella, Frontespizio per il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo,1632

Il frontespizio realizzato da Della Bella per il Galilei del 1632 deve la sua piacevolezza alla memoria di autori eccentrici del passato cinquecentesco come Amico Aspertini e alla delicatezza del segno che rifiuta ogni rigidezza; l’autore qui ha dovuto frenare la sua vocazione alla scrittura in versi per adeguarsi ad una tollerabile prosa descrittiva.

Frontespizio del Leviatano (1651) di Thomas Hobbes, inciso da Abraham Bosse a Parigi, forse su indicazione del filosofo

L’invenzione ipnotica del Leviatano, inciso nel 1651 da Abraham Bosse, è affidata evidentemente all’accordo spettacolare tra l’immagine visionaria del gigante antropocosmico (desunta dalle analoghe illustrazioni popolari) e i rigidi riquadri didascalici in basso, una sintesi di elementi grammaticali (i modelli già esistenti, i testi duramente tipografici) che rende questa pagina il modello ideale dell’idea stessa di illustrazione.

Stephan Michelspacher, Cabala, Speculum Artis Et Naturae, in Alchymia,1654, Dresda
Frontispiece from the mining book,‘Probier Buch (Aula Subterranea)’by Lazarus Ercker, 1673

E anche le tante illustrazioni esoteriche del Seicento si affidano per la loro ineludibile necessità seduttiva al sommarsi massivo di segmenti apparentemente contraddittori.

Illustrazione per la teoria dei vortici di Cartesio, da I principi della filosofia,1644

Altre forme secentesche affascinano invece per la suggestione indotta dalla sorprendente visualizzazione di ipotesi filosofiche e scientifiche, come accade con la cartesiana teoria dei vortici edita nel 1644, che contrappone alla matericità fluida del barocco imperante e alla teatralità delle tante incisioni di allegorie uno spazio imploso e indecifrabile di inevitabile, morbosa seduzione visiva.

Charles Léandre, Illustrazioni, 1900

In altre epoche, poi, la seduzione dell’immagine è affidata ad una strategia diversa e più esplicitamente seduttiva. Tra i tanti autori ottocenteschi, Charles Lèandre, colto allievo dell’accademico Cabanel, coltiva un eclettismo capace di coniugare la delicatezza dei ritratti privati al segno grottesco della satira, educato forse da Flaubert, lo scrittore del quale ha illustrato le opere.

La sottile seduzione della forma moderata

Guerra di Crimea, Sec. XIX

Ma sono proprio le immagini create come pura documentazione, esentate da ogni volontà spettacolare, che spesso abitano una dimensione di sottile seduzione dell’immaginazione perchè attirano lo sguardo verso la decifrazione lenticolare dei minuti dettagli descrittivi dislocati in un piano vastissimo e ne condizionano il percorso indagatore; senza questo immenso e rapinoso retaggio dello scandaglio, soprattutto ottocentesco, l’irrazionale voracità del vedere non sarebbe approdata all’accelerazione irrefrenabile del cinema.

Guerra di Crimea, Sec. XIX
Stampa del 1852 di argomento storico
Vedute di città del sec XIX: Trieste, Civitavecchia

D’altra parte, questa figurazione del mondo in forma di mosaico, così aderente alla tipografia editoriale della stampa, ha un equivalente immediato nell’Opera popolare e nelle sue minute descrizioni inventariali.

Illustrazione scientifica

Giovanni Branca, Le machine, 1629

Anche l’illustrazione scientifica, naturalmente, è regolata dalla necessità di documentare e di raccontare i dettagli, però, a differenza delle immagini moderate dedicate ad eventi storici e alle vedute di città, evoca la suggestione profonda dell’ingranaggio e della machina, una fascinazione che ha ipnotizzato poi a lungo il manierismo novecentesco con la sua ammaliante possibilità di scrutare l’interno delle cose e del corpo umano, di vederne la struttura interna senza il pathos del pensiero filosofico e letterario.

Tavola anatomica tratta da disegni di Pietro da Cortona (1618),incisione del 1741

La derivazione scolastica novecentesca ha giustificato il saccheggio di queste illustrazioni, attuato con un processo di cinica appropriazione indebita che forse rimane ancora oggi incompreso; 

Illustrazioni da L’Enciclopedia, 1751

lo stupore provocato soprattutto dalle incisioni realizzate per l’Enciclopedia a metà Settecento è il frutto di una macchina percettiva condizionata dal vuoto manierismo Dada e Surrealista.

Da l’Enciclopedia

Se le vedute permettono di osservare il territorio senza abitarlo, le illustrazioni delle macchine permettono di attivare a distanza la reverie del denudato meccanismo interno che accomuna il corpo umano alla macchina,

Macchina motrice verticale della ditta Powel di Rouan vincitrice di una medaglia d’oro nel corso dell’Esposizione Universale del 1867 a Parigi

e a volte adottano dalla pittura la drammatica visualizzazione del rapporto conflittuale tra corpo e strumento.

Eruzione dell’Etna, 1886

E capita spesso che la descrizione scientifica giustifichi la riduzione ad uno schema elementare che va incontro alla richiesta di schemi ripetitivi destinati al mondo popolare.

Illustrazione e arte popolare

Nell’illustrazione impera più che mai l’equivoco della presunta arte popolare: si confonde (ipocritamente?) l’arte realizzata in ambito popolare da artigiani che si limitano a perpetuare lo stile plebeo della riduzione lessicale a schemi modulari con gli ex voto e con le tante raffigurazioni su legno. Si confonde l’arte realizzata per il popolo con quella realizzata dal popolo.

Vincenzo Panicale, illustrazione da Il libro dei miracoli, 1619-1624, Codice dalla Basilica di s. Maria della Quercia di Viterbo, Fondazione Marco Besso, Roma

Nella vasta fascia intermedia che separa e collega il contesto specifico dell’arte popolare dalla maniera dell’arte di destinazione popolare operano i professionisti medi, artigiani che declinano lo schema minimo dei modelli della cultura dominante a favore di una facile riproducibilità. Le illustrazioni magnifiche di Vincenzo Panicale per il Libro dei miracoli del 1619-1624 mostrano la freschezza inedita che può avere questa cultura intermedia.

Giuseppe Maria Mitelli (attivo tra il 1634 e il 1718), tavole per la diffusione popolare

E naturalmente le opere di massiva diffusione illustrativa, come è quella di Giuseppe Mitelli tra Seicento e Settecento, non sono arte popolare, ma sono appunto arte realizzata per colonizzare, tramite gli stereotipi, il mondo popolare autentico che vive, come sappiamo, le sue contraddizioni in maniera assai più lacerante e dolorosa di quanto le forme didascaliche e demagogiche di Mitelli abbiano saputo mostrare.

Ex voto del 1834
Tavola di Walter Molino per la Domenica del Corriere, anni ‘60

Ed era inevitabile poi che nel progetto di dominio culturale novecentesco della periferia popolare le forme aspre degli ex voto fossero tradotte in termini di pacata e riduttiva illustrazione naturalistica.

La satira

Stampe di Thomas Rowlandson (sec. XVIII)

D’altra parte, anche il segno grottesco della satira, dal mondo antico della pittura vascolare greco-romana alle stampe sciolte del Settecento, è devoluto alla creazione di un lessico destinato al mondo popolare attraverso infinite varianti. Il racconto grafico (il fumetto), come arte colonizzatrice creata per il popolo, nasce anche da questa volontà di saldare l’emulsione aggressiva del segno alla semplificazione epigrafica della parola scritta.
(v Per una morfologia del racconto grafico)

Armonici di memoria

Anonimo scultore ellenistico di Smyrne, Figura di ragazzo, terracotta, Louvre
Illustrazione per Pinocchio di E. Mazzanti, 1883

Come ogni altra forma d’arte novecentesca, anche l’illustrazione non può esentarsi dal subire l’alta marea degli armonici di memoria, ed è esemplare a questo proposito la derivazione letterale, a quanto pare mai osservata finora, che lega l’icona di Pinocchio realizzata da Enrico Mazzanti nel 1883 alle figure satiriche ellenistiche (v la Figura di ragazzo in terracotta da Smyrne, Louvre).

Codice Facundus, 1047, Commentari all’Apocalisse del Beato di Liébana (786), Madrid, BN
Logo Agip rielaborato da Bob Noorda nel 1972 sul modello del 1953

Dalle miniature medioevali deriva (quanto inavvertitamente?) la forma del logo Agip del 1953-1972;

Cappella Carafa, F. Lippi, dettaglio della lunetta con episodi della vita di Tommaso d’Aquino,1488-1493, S. Maria Sopra Minerva, Roma
Pubblicità per Coppertone disegnata da Joyce Ballantyne, 1953

e altrettanto inavvertitamente (?), da un dettaglio della Cappella Carafa (1488-1493) deriva una illustrazione pubblicitaria del 1953.

Norimberga, Storia del figliol prodigo, arazzo, 1460 c;
Illustrazione di Antonio Rubino

Le stilizzazioni di Antonio Rubino (1964), considerate comunemente Art Nouveau, sono mutuate dalla scrittura d’impronta xilografica degli arazzi tedeschi del Quattrocento.

Antonio Rubino, I segreti d’amore al confessionale,1910

con un eclettismo che può arrivare alla contaminazione del grottesco (la maschera) con etimi di matrice neoclassica (l’efebo).

Ulisse Aldrovandi, Monstrorum historia,1642;
Charles Philippon, Les poires, 1830, La Caricature
A. Jarry, Ubu Roi, 1896

La troppo celebrata icona di Jarry per Ubu Roi (1896) non è altro che una debole traduzione delle fascinose immagini di mostri del Seicento mediate dalla caricatura del re Luigi Filippo di Philippon (1830).

Gustave Doré, Dessins Grotesques,1850
Caricature di David Levine

E la (troppo celebrata) caricatura contemporanea di Levine ha la sua matrice in quella perfezionata da Dorè.

Odilon Redon, Testa di martire su una coppa, 1877, incisione
Roland Topor (Francia, 1997)

Roland Topor ha costruito la sua fama di inquietante illustratore onirico con una troppo disinvolta appropriazione delle idee di Redon e del Magritte grafico.

Il manierismo novecentesco: Il retaggio della tradizione americana

George Bellows: The Lone Tenement,1909; Gli scavi per la Pennsylvania Station,1909

G.Bellows,Incontro di boxe da Sharkey,1909

Tutta la pittura americana dell’Ottocento rivela un’irresistibile vocazione illustrativa, lo si vede chiaramente nei dipinti realizzati nel 1909 dall’ultimo dei grandi pittori statunitensi dell’epoca, George Bellows, corrispettivo immediato della musica di Charles Ives (1954); l’opera di Bellows è la matrice della tanta illustrazione manieristica successiva, che ne ha incompreso e disperso la magmatica densità, come è il caso del troppo celebrato Brad Holland.

Eakins e Wyeth
E nel passaggio dalla bella pittura del grande lirico dell’Ottocento americano, Thomas Eakins (1916), a quella apertamente seduttiva di Andrew Wyeth, si coglie pienamente la declinazione in termini prettamente illustrativi del più colto naturalismo americano nell’epidermica illustrazione novecentesca degli Stati Uniti.

T. Eakins, La canoa a due rematori,1872; A. Wyeth, Vento dal mare,1947.

La solida cultura visiva di Thomas Eakins, maturata con l’intelligente studio della pittura di Corot in Europa (attorno al 1870), è l’equivalente della narrativa intensa del suo coetaneo Henry James (1916) ed ha uno spessore che gli illustratori Wyeth, padre, figlio e nipote, maturati con la grande cartellonistica e con il Cinema del Novecento, calibrati sul modello di una letteratura assai più conciliante di quella di James, non possono avere.
Andrew Wyeth mutua evidentemente da Eakins la struttura complessiva dell’opera e una raffinata, suggestiva modulazione tonale.

Eakins, An Arcadian, 1883; Wyeth, Il mondo di Cristina,1948

L’impianto formale di Eakins viene trascritto da Wyeth in una pacata messa a fuoco che è intenzionalmente, apertamente seduttiva, più vicina alla prosa ariosa di Ernest Hemingway (1961) che non alla scrittura oscura e sfuggente di James, più vicina alla musica aperta e superficiale di Aaron Copland (1990) che non a quella tortuosa e discontinua di Ives.

Eakins, Cowboys in the bad lands, 1888;Wyeth, Winter,1946

Ciò che Eakins ha imparato in Europa da Corot, Wyeth lo traduce in termini di delicata epidermide; la pittura di Eakins, già improntata da una tradizione tendenzialmente illustrativa quale è quella americana, offre la materia a Wyeth per una vasta illustrazione descrittiva del mondo rurale che risente anche esplicitamente della lunga tradizione figurativa del cinema e della fotografia.

Wyeth, Ritratto di donna,1966
N. Rockwell, Freedon of speech, The Saturday Evening Post, February, 1943;Giorno del Ringraziamento

E vicino a Wyeth opera l’altro aedo ufficiale della cultura americana più legata alla tradizione naturalistica, Norman Rockwell (1978).

Illustrazione e fumetto: Noel Sickles

La vicenda dell’americano Noel Sickles (1982) permette invece di osservare lo snodo tra Illustrazione e fumetto, che soprattutto negli anni ’30 permette a quella tecnica creativa di attingere dalla forma più densa dell’Illustrazione gli elementi lessicali necessari ad una sua difficoltosa crescita qualitativa.

La collaborazione iniziale di Sickles con Milton Caniff è stata forse sopravvalutata: in tutti i suoi lavori Sickles mostra un gradevole e fresco, fluido pittoricismo che ha sicuramente stimolato il suo collega, ma non c’è nessun motivo per credere che un autore sensibile come Caniff sia stato educato in profondità dal suo più giovane collaboratore, perchè in questo caso non si spiegherebbe la sua fertile continuità negli anni e lo sviluppo sempre più acuto di una linearità desunta piuttosto dalle forme più delicate del Cinema.
(v Per una morfologia del racconto grafico)

Winslow Homer, Remando al crepuscolo, 1892

Tra i due autori c’è stata evidentemente una forte condivisione stilistica, ma la matrice del trasparente pittoricismo di entrambi è da cercare altrove, nella tradizione americana dell’Ottocento: l’acquarello di Homer del 1892 è la matrice del segno pittorico che accomuna prima i due autori americani e poi Hugo Pratt, il più sensibile e intelligente continuatore italiano di quello stile grafico.

D’altra parte, poi, quando Sickles abbandona il racconto grafico a favore dell’Illustrazione, emerge con evidenza la sua dimensione di modesto artigiano privo di idee. Gli stereotipi che coltiva negli anni ’50 e ’60 sono quelli dell’omologazione più manieristica, e non c’è nessuna traccia nel suo lavoro delle sottili e acute sottolineature grafiche elaborate nel frattempo da Caniff.

Illustrazioni di N. Sickles

Neorealismo italiano

Achille Beltrame, Discorso di Carducci, L’Illustrazione Italiana,1897
Walter Molino

La matrice ottocentesca del naturalismo porta allo sviluppo di una illustrazione italiana fondata sul più moderato impianto figurativo.

Due opere di Antonio Mancini; copertina di Carlo Jacono

La soluzione stilistica della prosa tardo ottocentesca di Antonio Mancini offre agli illustratori novecenteschi infinite abbreviazioni figurative già innestate in una gestualità materica che è perfettamente adattabile alla freschezza della pagina illustrata,

G. Boldini, In giardino; Beltrame, Incidente sul lavoro,1938,Domenica del Corriere

e la pittura epidermica di Giovanni Boldini suggerisce un’accattivante leggerezza.

A. Mancini; Mario Uggeri

L’opera di Mario Uggeri esemplifica la sua derivazione implicita dalla pittura di Mancini.

Pittori per I promessi sposi

Giovanni Fattori, I promessi sposi, 1896

I libri italiani più popolari sono stati illustrati ovviamente anche dai pittori: Fattori presentò nel 1896 un suo affascinante progetto (respinto) per i Promessi sposi;

Giorgio De Chirico, I Promessi sposi, 1964

De Chirico ne ha realizzato nel 1964 una splendida illustrazione utilizzando pienamente, con magnifica negligenza, il registro più genuino della sua tecnica desunta dalle forme popolari del Cinquecento e del Seicento (v Armonici di memoria).

La stanca stilizzazione contemporanea

Marc Chagall, incisione a puntasecca per‘Il naso’ di Gogol (1949)
Brad Holland, Illustrazione

Il manierismo novecentesco non poteva esentarsi, anche nell’illustrazione, dall’insidiosa deriva accademica che ha coinvolto con devastante prepotenza tutta la creatività.
I modelli del passato, in una situazione come questa, si impongono con irresistibile invadenza: Brad Holland guarda alle incisioni di Chagall per costruire una sua troppo fragile immagine di illustratore colto.

Milton Glaser, opere grafiche

Milton Glaser ha seguito inutilmente le lezioni di Morandi in Italia, anche lui alla ricerca di una sua troppo fragile identità di illustratore colto, troppo disponibile alla facile spettacolarità del design editoriale permeato di gusto popolare.

Steven Heller, illustrazioni

E Steven Heller insegue, anche lui, l’identità di una sfuggente cultura dell’immagine; il suo modello europeo: la grafica Dada.

L’eclettismo nelle copertine del New Yorker

Paul Klee,1923; Saul Steinberg ,1987

Le copertine di The New Yorker mostrano in tutta la sua evidenza l’ansia indagatrice di una cultura dell’immagine, quella americana, che è dominata dall’ossessione della cultura europea colta: Saul Steinberg cita Klee, guardando alla forma del racconto breve,

Edward Hopper,1942; Owen Smith,1999

Smith cita esplicitamente Hopper, modello di letteratura locale,

Alfred Stieglitz,1935;Art Spiegelman,2001

Art Spiegelman ripensa sia alle foto più intense di Stieglitz, esempio ineludibile di simbiosi tra la cultura americana e l’invidiata cultura europea,

Otto Dix,1914;Art Spiegelman,1999

che alla pittura dell’espressionismo più amaro, che lui traduce però in epidermiche forme discorsive prossime a quelle letterarie di Philip Roth.

Georges Remi (Hergé),Tintin; Chris Ware,2006

Chris Ware adatta il suo minimalismo agli esempi di tersa grafica lineare del belga Hergé;

Alfred Stieglitz, Dalla finestra,1915 c; Eric Drooker,2010

altri, come Eric Droocker, guardano agli esempi più suggestivi della fotografia storica.

John Leech, illustrazione per C. Dickens, A Christmas Carol,1843
Una vignetta del New Yorker, 2007

E le stesse vignette del New Yorker ripetono all’infinito lo schema grafico dell’illustrazione ottocentesca anglosassone, come quella esemplare di John Leech per Dickens.

La vuota stilizzazione underground

Alfons Mucha,illustrazione pubblicitaria;Virgil Finlay,1959; Chuck Sperry, XXI sec.

La grafica di Chuck Sperry, legata alle custodie dei dischi in vinile, mostra un debito esplicito con i manifesti Art Nouveau di Alfons Mucha (1860-1939) e soprattutto con le illustrazioni degli anni ’50 di Virgil Finlay; oggi queste forme di grafica non sono più legate all’estetica Underground, che ha perso definitivamente quella presunta e inesistente forza eversiva che gli veniva attribuita negli anni 60-70; come i lavori della Street art, anche queste opere sono ormai accolte nell’ambito più meschino del mercato, e non poteva essere diversamente.

La demenziale demagogia della Street art
In questi anni (2014) di forsennata e impudica demagogia non deve sorprendere che venga imposta dal mercato come arte del presente la forma demenziale della cd Street art, che è invece vergognosamente legata non alla libertà individuale, ma alla violenza tribale delle bande urbane e segnata, oltretutto, da una meschina sudditanza alla mediocrità delle illustrazioni più banali che il mercato ha sempre imposto per colonizzare il mondo giovanile. E questa diffusione internazionale della Street art non è altro che uno dei segni rivelatori di un fenomeno linguistico che in questi decenni di inizio secolo vede il graduale sostituirsi alla fossilizzazione della forme dell’arte postconcettuale, ormai sfinita seppure mantenuta in vita con forza disperata dal mercato, di una piena ripresa della figurazione più tradizionale che non può eludere il debito contratto nel Novecento con la tecnica dell’illustrazione.

La modesta ripresa figurativa del sec. XXI all’insegna dell’illustrazione
Oggi (2011) l’Illustrazione sembra rinascere con forza trainata evidentemente della forte ripresa in pittura di una tendenza al recupero intensivo del disegno che spesso si avvale proprio di un ricorso esplicito e disinibito alle forme più prosastiche dell’Illustrazione.
L’attuale linea di illustrazione americana più disincantata è legata senza dubbio alla tendenza emersa con insistenza, anche in ambito post concettuale, nell’opera degli artisti di questi ultimi anni (2009) e volta al recupero di una forma di illustrazione neutra e ostentatamente tradizionale, che poi è l’equivalente della fotografia asettica e impersonale di altri autori contemporanei (v i volumi Taschen di Arte oggi); ed è anche grazie a questo recupero massiccio dell’illustrazione asettica che si è imposta come protagonista la pittura figurativa di Lucian Freud, ritenuta a torto in opposizione all’area post concettuale.
(v Armonici di memoria e L’arte agli inizi del XXI secolo tra autenticità e retorica accademica).

Picabia, anni ‘40

Già Picabia aveva coltivato provocatoriamente, negli anni ’40, un ostentato recupero della figurazione più prosastica, un suo antidoto agli eccessi della sperimentazione materiata di oggetti.

Bacon; Freud

Le opere di Bacon e di Freud hanno radicato nuovamente nel cuore del tardo Novecento la figurazione più tradizionale, che evidentemente non aveva mai smesso di essere alimentata. I modelli normativi Goya, per Bacon, Cortinth per Freud.

Anselm Kiefer,1976

Opere di A. Kiefer

Le opere di Anselm Kiefer mostrano senza possibilità di equivoci la loro dipendenza dalla pratica dell’illustrazione e coincidono con altre diffuse forme creative altrettanto esplicative e seduttive, soprattutto quelle di impronta scenografica e teatrale (v Stalker, 1979, di Andrej Tarkovsky).

William Kentridge, 1998

E anche le opere di William Kentridge sono consapevolmente desunte dalla tradizione illustrativa.

A ds: copertina per La lettura (Corriere della sera),2011

W. Kentridge, pagina per IlSole24Ore, 2007

Sterilità accademica della neofigurazione

Marlene Dumas; Elizabeth Peyton; Jenny Saville

I pittori neofigurativi di questo inizio del XXI secolo sono purtroppo dei banali illustratori fossilizzati nel vuoto recupero di una figurazione che per ora (2014) non sembra offrire una valida alternativa allo stanco e ormai insopportabile manierismo tardo concettuale.
(v il ritorno della figurazione descrittiva in Vitalità del pensiero poetante)

Zhang Xiaogang;Yan Pei Ming; Yue Min Junm; Feng Zhengjie

Ron Mueck con una sua opera; Zhang Huan

E anche in scultura si avverte chiaramente il recupero della figurazione più illustrativa: Alex Katz, Stephan Balkenhol, Marc Quinn, Ron Mueck., Zhang Huan.

Iconografia dell’erotismo

Otto Tritzsch (su disegno di Louis Schmidt), Allegoria dell’elettricità, 1888, litografia, Berlino

Alla fine dell’Ottocento l’immagine della donna come simbolo, prima della Libertà e poi del Progresso, eredita la tradizione iconografica che ha sempre associato incongruamente l’ipnosi erotica provocata dal corpo femminile alla visualizzazione di un modello concettuale ideale.

Jean de Paleologue, Manifesto,1898, Parigi

I manifesti più suggestivi di fine Ottocento sono pretesti per l’esibizione del corpo femminile.

Inghilterra, 8 aprile 1904:L’entente cordiale

E anche la simbologia politica si nutre di questa implicita e fin troppo gradevole incongruenza, come dimostra un’illustrazione del 1904 che mette in scena l’intesa tra Inghilterra e Francia.

Kathe Kollwitz,La libertà guida il popolo,1910, acquaforte

Solamente il crudo realismo di Kathe Kollwitz (Germania,1945), nell’acquaforte che mostra la Libertà nuda alla guida del popolo operaio e contadino (1910), trascrive la figura della donna in forme depurate dall’erotismo.

Pantera Bionda, anni ‘50

Ma la sovrapposizione tra erotismo e simbolismo sopravvive nelle forme di destinazione popolare del dopoguerra, dove la figura di Pantera Bionda coniuga il ricordo dell’amazzone antica all’atmosfera dell’avanspettacolo.

Tavole di Bill Wenzel; copertina di un giornale umoristico italiano

Verso gli anni ’60 l’immagine iconica del corpo femminile, nelle illustrazioni di destinazione popolare, sembra aver dimenticato del tutto la sovrimpressione simbolica,

Scultura funeraria, sec. XIX; Protagonista femminile di un viodeogioco

ma negli anni ’80 e ’90 l’irruzione massiccia di figure femminili guerriere nei viodeogiochi lascia riemergere la memoria di una delle più seduttive icone simboliche del passato, gli angeli adolescenti della scultura funeraria ottocentesca.

Autori

Gianni Pacinotti (Gipi), Esterno notte, graphic novel, 2003
Mario Sironi, Il gasometro, 1943

Pacinotti (Gipi), nella prospettiva più ampia del recupero neofigurativo, rievoca a volte la densità materica della pittura del primo Novecento e cerca un’illustrazione esplicitamente pittorica che va dal modello grafico di Pratt alle dense visualizzazioni di Kentridge e di Kiefer.

Antonello Silverini, 2012; Due opere di Hannah Hoch, 1928

Silverini torna consapevolmente alla grafica composita di Hoch degli anni venti.
2009-2014