L’anomalia della danza nel tempo della necessità

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La reverie del corpo

L’anomalia della danza nel tempo della necessità

Su, uccidiamo lo spirito di gravità! Ora sono leggero, ora volo, ora mi vedo sotto di me, ora è un dio che si serve di me per danzare
(Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

Figura danzante, da Les Trois Frères, Francia, Magdaleniano superiore

Questa immagine di fascinosa, struggente purezza, questo uomo che danza nella forma ibrida che lo fa essere anche una sfocata presenza animale, non è il frutto, come si crede, di una inesistente arte degli inizi e di una inverosimile arte preistorica, ma è, al contrario, lo straordinario risultato conclusivo di un’infinita sedimentazione di suggestioni creative che sono franate con infinita lentezza sul fondo di un deposito alluvionale di segni dopo aver attraversato una landa remota di inconcepibile estensione temporale.
Perché quasi tutto ciò che è venuto dopo di allora nell’arte, quasi tutto ciò che è stato ideato lontano da questa purezza necessaria, distillata da un’immensa ed inesauribile tensione concettuale, è quasi una fragile appendice temporale che viene insidiata progressivamente dalla crudele fornace dell’entropia che svuota le forme nel tunnel soffocante della loro insensata ripetizione.

Quasi tutto ciò che noi oggi chiamiamo arte si è allontanato progressivamente da una sconvolgente, inesausta ricerca che si è protratta per almeno trentamila anni. Per quanto possa sembrare paradossale, l’arte si è irresistibilmente allontanata dal bisogno di segni autentici, da una ricerca necessaria che a sua volta rappresentava comunque solamente una tappa di un precedente, illimitato procedere nella ricerca di forme sensibili capaci di rendere percepibile l’Io che vuole (che deve) decifrare il mondo sfuggente.

E’ per questo che le opere d’arte autentiche della creatività del breve segmento temporale costituito dagli ultimi settemila anni possono apparirci così incredibilmente diradate, nonostante l’evidente enormità quantitativa del materiale creativo che abbiamo sotto gli occhi, perché la rarissima autenticità dell’opera d’arte, della poesia, della musica, della danza, segna ogni volta l’avvicinamento sgomento, il ritorno inquieto, a quella remota purezza necessaria.
E la fertile anomalia della danza ha origine nella stupefacente declinazione che traduce l’incertezza interiore della coscienza individuale nell’incertezza esteriore della stabilità corporea, laddove deraglia la deriva dell’io nell’arduo territorio del corpo vissuto.

La danza inizia quando i pensatori più coraggiosi di quella straordinaria cultura mettono in scena sullo schermo del proprio corpo i gesti simultanei del cacciatore e dell’animale cacciato.
I passi ripetuti, la memoria plastica dei gesti apparentemente scomposti dell’animale, sono l’equivalente visivo del suono armonico dell’arco che rievoca le fasi della caccia e della percussione ritmica esercitata sulle ossa disseccate dell’animale del quale si rievoca il conflitto non solo fisico: la danza è l’equivalente di tutto ciò che nella messa in scena collettiva declina il ricordo dell’evento, di ciò che ora chiamiamo teatro e musica, dove il ricordo caotico della lotta viene plasmato nella messa a fuoco di una forma memorizzabile, sensoriale.

Nella danza creata nel tempo della necessità il baricentro, l’asse attorno al quale l’architettura corporea ruota nel consapevole rischio di implodere, oscilla incessantemente tra due forme viventi antagoniste che qui vengono contrapposte e saldate nell’evento giustificato da un’estetica dell’estremo: il cacciatore, l’io individuale che legge ansiosamente la struttura del visibile, e l’animale, la sfuggente realtà immisurabile che si accampa vibrante nella sfocata periferia dell’immaginazione.

Da questo momento in poi, nello straordinario eterno presente della cultura più autentica, la danza sarà sempre il luogo della messa in gioco dell’io che si identifica materialmente con il baricentro del corpo, e da allora il corpo si sdoppierà danzando nella sovrimpressione del movimento febbrile dell’animale e del movimento inquieto del cacciatore, mostrando in trasparenza la realtà sfuggente che si muove contro e attraverso il corpo vissuto di chi ne vorrebbe arginare la complessità. E l’esito di questa sfida è la definitiva messa a dimora nella coscienza di una lenta anatomia della percezione.
Da allora, chi danza sa di poter trascinare gli altri nell’avventura della possibile perdita dell’Io che si insinua nella minacciata perdita del baricentro, e ogni tentativo di fossilizzare la danza, dalla danza bassa rinascimentale che censura il movimento scomposto del corpo, alla frigida stilizzazione del romanticismo, ognuno di questi tentativi fallisce se la danza riscopre nel suo straordinario patrimonio sensoriale la possibilità di essere la portatrice sana di un’irrefrenabile inquietudine, il catalizzatore di una febbrile esplorazione del mondo che può essere tentata rileggendo incessantemente la mappa del corpo vissuto.

La danza del tempo della necessità, in questa prospettiva, come memoria di un conflitto primordiale e sempre presente, è l’abbagliante traccia luminosa di una supernova scomparsa da millenni, e l’eterno presente di quel conflitto tra la presenza individuale e l’impossibile controllo del mondo continua a scavare ancora oggi un’opportunità per la danza.

Esplorare l’opacità del mondo

Scena di Taurokatapsia, Creta, XVI sec ac.

Gli acrobati che danzano sul toro, nel mondo cretese, separano l’avventura dell’Io che esplora il mondo dall’energia incontrollabile dell’animale che di quel mondo sfuggente e incontrollabile è la visualizzazione più esplicita; i loro movimenti aerei, il loro atteggiamento di vibrante, arrogante dominio del mondo, sono già la matrice profonda della danza che poi cercherà sempre di vedere la collisione tra il corpo in movimento e la materia caotica che lo ospita.

La sfuggente specificità della danza

Danzatrice acrobatica, XIX dinastia,1300 ac. Torino, Museo Egizio; Affresco da necropoli tebana,1420-1411 ac.

Ma nel tempo tutto insidia la purezza originaria della danza. Il corpo della danzatrice acrobatica egiziana si curva per esibire la sua pura elasticità.
Tra le suonatrici, la fanciulla più giovane mima con la sua danza discreta un ritmo musicale che si limita ad assecondare, facendo risuonare forse delle piccole nacchere come suono interno delle ossa del corpo.

Danzatori e flautista, 480-470 ac, Tarquinia,Tomba del Triclinio

Lo slancio vigoroso della danza etrusca si confonde consapevolmente con lo slancio aggressivo della lotta
Nella collisione improvvisa dei corpi c’è un violento desiderio di astrazione e di danza, di febbrile e oscura liberazione dalla necessità.

Anfora di Porto Baratti, argento, IV sec. dc

Sulla superficie dell’argento tardoantico, nella cultura dell’utopia neopagana di Giuliano l’Apostata, la danza è ancora coniugata alla danza guerriera.

Menade, copia romana da Skopas del 330 ac, Dresda; Menade, 410 ac. C; Nureyev

Ma il dolore erotico della possessione è stato il sismografo naturale di una perturbante, quasi irrecuperabile profonda inquietudine.
Nella rapinosa danza dionisiaca il baricentro del corpo si flette come un arco.

Danzatrice, IV sec. ac. Taranto
Nijinsky inLe spectre de la rose’, 1916 c.

Le forme seduttive frenano e dirottano l’affiorare della danza dall’interno del corpo.
Ma con la sensualità dionisiaca la danza viene ancorata a lungo al dolore erotico. Il Novecento della nuova antropologia cercherà, anche leggendo Nietzsche, la matrice della danza dionisiaca nell’esteriorità spettacolare dei Balletti Russi.

La danza dell’impossibile armonia prestabilita

Danza funebre di fanciulle, dalla Tomba di Ruvo (Bari), metà sec. IV ac. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

L’intreccio della danza collettiva inscrive l’individualità nell’astrazione ritmica dell’architettura.

Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buongoverno, 1337-40, particolare, Siena, Palazzo Pubblico

Nel Trecento che sopravvive alla peste il movimento sinuoso dell’intreccio confina la danza all’interno di una struttura inerte che vuole dimenticare il disordine panico del corpo.

Botticelli, Natività mistica (part.),1501, Londra, National Gallery

L’ordine del Paradiso, l’armonia prestabilita, conosce solo una danza circolare, geometricamente contrapposta al movimento irrazionale e convulso di chi è destinato, altrove, alla disarmonia.
Con il ripudio piagnone del vitalismo neoplatonico di Careggi, gli angeli del Botticelli più tardo ruotano in cerchio, perpetuando la forma geometrica della danza che respinge l’emozione del tormento individuale.

Beato Angelico, Incoronazione della Vergine (particolare),1432 c., Uffizi
Degas, Prova di balletto in scena, 1874, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi

La danza lieve degli angeli si muove cautamente nello spazio creato dalla musica strumentale e ne asseconda l’architettura dell’ordine.

Un freno all’impulso dionisiaco

Miniatura dal Tacuinum Sanitatis, sec. XV

Gli arcaici impulsi dionisiaci della danza popolare vengono arginati dalle forme del dominante decoro borghese.
Le inquietanti note basse dei fiati permettono a chi vive la danza frenata, la bassa danza, di ascoltare con sollievo, fuori dal corpo, come un’ombra, ciò che non può (che non vuole) essere liberato.

Particolare della danza da I figli di Venere, nelLibro di casa’, 1480-1490, Media Renania

Con il cambio di paradigma quattrocentesco il mondo popolare può raccontare apertamente i frammenti isolati della sua memoria, ma il registro dominante è quello imposto dal rigore del fanatismo ideologico.

David Teniers il Giovane, danza popolare, 1610-1690
Erasmus Grasser, Danza moresca, 1480 c., legno dipinto, Monaco, Stadtmuseum

Da allora anche il mondo contadino si adegua alle forme della danza che cauterizza la ferita individuale.
La danza popolare registra nella memoria collettiva le anomalie del comportamento e la sofferenza del corpo, ma è una memoria esibita, da arginare come spettacolo della diversità.

Luca di Leida, La danza della Maddalena, 1519, bulino, Vienna (O.M.)
Pieter Aertsen, La danza dell’uovo, 1552 (particolare), Amsterdam, Rijksmuseum

La bassa danza impone un rigore repressivo nel tempo delle violente rivolte contadine.
Nel tempo della scissione ideologica dell’Europa cristiana la danza popolare sopravvive come inoffensivo rituale domestico.

Ballet Comique de la Reine Louise,1581

Con il gusto italiano di Caterina la Francia disegna le sue feste danzanti come geometrici giardini di parterre che conferiscono un ordine razionale all’infestante Natura

1581: il Ballet Comique de la Reine Louise, la prima rappresentazione intenzionalmente scenica del balletto, è concepito con gli stessi parametri estetici del giardino all’italiana (poi francese), dove gli elementi naturali sono piegati dall’arte topiaria in controllabili forme architettoniche.

Pietro Longhi, La lezione di danza, 1741, Venezia, Galleria dell’Accademia
Auguste Renoir, Il ballo in città, 1883, Parigi, Musée D’Orsay

Solo la grazia settecentesca, in prossimità dell’Illuminismo, saprà addolcire i rigori del fanatismo ideologico.
Poi la danza individuale nell’Ottocento impone definitivamente un efficace e collaudato modello di controllo retorico del corpo.

Camille Corot, Danzatori sulla costa di Capri, 1860-70, Louvre

L’insidiosa danza popolare è stata ormai cancellata e assorbita nella reverie romantica del paesaggio.

Willy Ronis (Parigi, 1910), Ballo a Nogent, vicino a Parigi, 1947

E la danza popolare europea del Novecento perpetua il rigoroso controllo formale regolato dalla simmetria e dal ritmo prevedibile.

Violenza astratta

Raffaello e aiuti, La cacciata di Eliodoro dal Tempio, 1515
Nureyev
Correggio, cupola del Duomo di Parma, 1526-28

Le affermazioni retoriche della pittura antica forniscono un modello alle future visualizzazioni dell’energia priva di scopo del balletto classico.
L’intensa sensualità della pittura non retorica fornisce invece al futuro balletto la giustificazione di un erotismo carnale altrettanto privo di scopo.

Morfogenesi del balletto

Guido Reni, Atalanta e Ippomene, 1624-1626, Capodimonte, Napoli

Cellini, basamento del Perseo (1545-1554), Mercurio, Bargello
Adrian de Vries, mercurio e Pandora, Louvre

Le posture del manierismo tardo rinascimentale sono il deposito dal quale attinge la sua materia il balletto moderno; come è noto, il Mercurio in attitude di Giambologna fu inserito da Carlo Di Blasis, teorico della danza sulle punte, nel suo Trattato sull’arte della danza (1820).

E’ il definitivo radicarsi nel teatro del mondo della poetica aristotelica, che sostituisce il vero con il verosimile. La postura teatrale dell’estetica secentesca, che mima il gesto drammatico per isolarne la potenza, nasce dalla teoria della catarsi aristotelica.

La mitologia della lievità

Maitre de Flore, sec. XVI, Annunciazione, Vienna, Albertina

Nei disegni francesi del Cinquecento c’è già la danza sulle punte, segno di una ipersensibile percezione della leggerezza.

La Sylphide danzata da Maria Taglioni su coreografie del padre Filippo Taglioni (1832)
Degas, Ballerina (L’étoile), 1876-1877, pastello, Musée d’Orsay, Parigi

La fonte del balletto romantico, il danzare sulle punte, è tutta nel deposito iconografico delle forme della mitologia angelica ibridata con la mitologia letteraria.
Le figurazioni del balletto ripetono ancora oggi, meccanicamente, tutto ciò che il romanticismo ha elaborato come mitologia di una coscienza che può emozionarsi solo se dominata dall’Io

Il respiro della Modern dance

Isadora Duncan

Lo spirito neoclassico rafforza l’esigenza illuminista di un controllo formale sul movimento, antidoto futuro contro l’enfasi dell’infestante balletto accademico. E’ dallo spirito neoclassico di linearità arcaica del movimento che muove la danza purificatrice di Isadora Duncan.
Ma l’importanza della Duncan come iniziatrice della danza moderna è forse da ridimensionare: il suo culto della freschezza e della libertà del corpo, il suo rifiuto dell’accademia, l’accettazione di un corpo normale, sono elementi connotativi del protagonismo individuale teorizzato da Emerson.
La danza moderna per crescere davvero avrà bisogno di una sostanza interiore più profonda, più amara, più consapevole.

L’equivoco dell’esoscheletro

Francesco Mochi, Angelo annunciante, 1605-1608, Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo
Danzatrice, inizio ‘900

La danza si è sempre servita per la sua fascinazione della suggestione esteriore della veste, che si svolge dal corpo come un esoscheletro liquido.
Da sempre il vortice della materia inorganica occulta e acceca il possibile vortice della materia organica.

Arnold Genthe, Doris Humphrey che danza nuda, 1916 c.

Le più belle foto del pittorialismo confermano la necessità della danza di avere l’aiuto dell’abito come estensione illusoria del movimento corporeo.

Fuller Loie
Everett Shinn, Ballerina,1910, Youngstown, Ohio

E anche la danza della contemporaneità borghese sceglie di mentire al corpo attraverso l’uso dell’abito che lo sostituisce.

La danza di Salomé, paradigma del dolore interiore

Sapendo che mangia la serpe / orrenda la voce / del fagiano verde
(Haiku del XVII sec.)

Verona, San Zeno, Stefano Lagerino, formella della porta bronzea con Danza di Salomé, sec. XI

Ma c’è un altro, diverso percorso che la danza ha scavato tenacemente nella sua storia, quello del dolore interiore coniugato al movimento fluido del corpo. E’ una storia segreta che l’arte figurativa ha registrato e trasmesso con immensa perturbante intensità attraverso l’iconografia della Danza di Salomé.
La leggerezza della danza è coniugata da sempre al pathos dell’esserci, e solo le incredibili immagini della Danza di Salomé ci permettono di capirlo.
La scena straordinaria della porta di San Zeno registra in tutta la sua intensità drammatica la possibilità della danza di accedere al corpo vissuto.

Venezia, s Marco, Battistero, Storie del Battista, sec. XIV (part.), mosaico
Giovanni di Paolo (1403-1482 c), Salomé, Londra, National Gallery

A volte la danza di Salomé rievoca esplicitamente l’invasamento arcaico delle baccanti dionisiache che smembrano Dionisio.
Nel mondo lirico del Quattrocento l’orrore della danza è stemperato dalla mestizia della melanconia.

Donatello, Banchetto di Erode, 1423-1427, Siena, Battistero

Ma nella cultura più avanzata, educata dall’aristotelismo padovano, questa realtà angosciosa viene vissuta senza remore; solo Donatello poteva evocare lo struggimento acuto del dolore coniugato alla grazia della danza.

Verso una danza che torni al tempo della necessità

Martha Graham, 1940

Con autori come Martha Graham la danza comincia a cercare la radice della perturbante realtà che la Danza di Salomé ha trasmesso nel tempo.

Mary Wigman (1886-1973)
Alta Sassonia, Mater dolorosa, 1230 c., Berlino, Staatliche Museen

L’esasperazione plastica di Wigman risale, come tutta l’estetica espressionista, ai modelli medioevali della contrazione e dell’implosione del corpo.

Danzatori, Rilievo funerario da Chiusi, VI sec. ac, Chiusi
Nijinsky

Il gusto novecentesco meno colto ripercorre le forme contratte e rigide della danza antica più coinvolta nel fanatismo collettivo del gesto.

L’eclettismo di Bejart, la rivalsa dell’accademia

Bejart, Sacre
Jean-Baptiste Carpeaux, La Danse, Paris Opera. 1867-68

Con l’infestante attività di Bejart si impone la forma di compromesso spettacolare che riduce il corpo nella danza a vuota espressione tautologica di se stesso, come avveniva nella scultura accademica ottocentesca e poi, più radicalmente, nella pittura del Simbolismo.

Jean Delville, L’amore delle anime, 1900
Bejart

L’enfasi retorica dello spettacolo cauterizza con la sua fascinazione l’impulso alla ricerca del corpo vissuto.

L’alternativa della danza scritta in versi

Deposizione di Tivoli, sec.XIII
Pina Bausch

La dolcezza stremata di Pina Bausch attinge, forse consapevolmente, dalle forme dolenti del teatro medioevale.

Trisha Brown, Quartett, Milano 1975

Il Teatro povero di Grotowski giustifica nella danza la sperimentazione di un corpo vissuto ancora una volta reso visibile.

Ricerca dell’autenticità

L’antropologia ci ha educato a saper vedere le forme della danza che sono vissute altrove.
La danza di una tarantata, allo stesso tempo profondamente intima e pubblica, già fotografata e filmata in occasione dell’indagine antropologica di Ernesto De Martino alla fine degli anni ’50, viene descritta ne La Terra del rimorso del 1961.

Spogliarsi del movimento

William Forsythe, One Flat Thing Reproducing, 2000, (Frankfurt Ballet)

Oggi (2008) è forse possibile che il corpo vissuto ritrovato dalla Psicoanalisi e dalla Fenomenologia di Merleau-Ponty torni al centro della creatività.
L’opera di Forsythe recupera e rivive con freschezza la specificità stessa della danza: il baricentro viene messo radicalmente a rischio, il corpo è libero di registrare e di ricordare anche il dolore degli altri. La conoscenza della filosofia di Derrida, che coniuga la destrutturazione liberatoria del testo con il riconoscimento dell’Altro (spogliarsi del movimento, chiede il filosofo Forsythe), ha portato nella danza di questo autore un’autenticità prima forse sconosciuta.

Forshite, Solo

Nella vibrante metamorfosi in atto il corpo difende la sua integrità avvolgendosi come una crisalide febbrile attorno ad un baricentro oscillante; poi c’è un corpo fluido ridisegnato davanti ai nostri occhi da un segno corporeo ininterrotto, c’è un flusso liquido del gesto che modella lo spazio con vigore, c’è un corpo che qui si spoglia del movimento.
La danza in Solo registra con coraggiosa intensità questi traumi, attraversa l’ordito di questa cartografia della discontinuità per abitarne senza sgomento la dorsale frantumata, ne accetta la sfida.
In questa intercapedine traumatica dell’anomalia della danza, laddove il baricentro viene strappato con forza dalla sua stabilità, il corpo sopravvive con il suo inquietante disfarsi liquido e scava con la sua gestualità nell’incavo della materia per svuotarla, sposta di lato oggetti non visibili ma densi, li solleva in alto, li respinge verso il basso. Si spoglia del movimento.
2008