Falsi

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Falsi

Una ingenua e squallida mitologia dell’artista clandestino vorrebbe giustificare i falsi come un affronto umiliante rivolto gli arroganti studiosi di arte. In realtà il falso rispecchia indirettamente l’attività commerciale della stessa bottega dell’artista, che ha sempre avuto il ruolo implicito di sacralizzare l’opera del maestro attraverso la consapevole mediocrità delle copie.

La radicale specificità del falso consiste, al di là delle apparenze, nella declinazione dell’opera d’arte attraverso le sue varianti; Michelangelo giovanetto scolpisce la sua testa di fauno e lascia che venga creduta antica perché poi avrebbe passato tutta la vita a cercare di rivivere quella forma ellenistica. Vasari scrive che nelle sue prime opere M aveva quasi contraffatto Donatello, e M non avrebbe mai smesso di voler essere un drammatico Donatello dalla memoria ellenistica.

La dimostrazione più interessante della specificità del falso è nel racconto eccezionale che fa De Martino in Morte e pianto rituale del 1958: una lamentatrice professionista di distrae mentre piange a pagamento la morte di un uomo perché il figlio, seduto lì vicino, rischia di far cadere una bottiglia; ebbene, senza cambiare intonazione della voce e continuando a lamentarsi a pagamento, la donna rimprovera il figlio e gli chiede di non fare danni! Evidentemente nessuno dei presenti aveva niente da ridire, l’inautenticità della prestazione non era avvertita come una falsificazione, ma come parte di un contesto che permette proprio in virtù del suo rassicurante aspetto teatrale la messa in scena del cordoglio.
De Martino racconta anche, in uno dei suoi bellissimi libri sul mondo magico, di una pallina di materia che il guaritore estrae teatralmente dall’orecchio del malato, non per ingannarlo con un falso, ma per offrire alla percezione nebulosa degli astanti e del malato stesso un appiglio astorico capace di permettere all’Io disorientato di collocarsi nell’orizzonte della presenza collettiva. Gli astanti avranno assistito a questo scoperto gesto del guaritore con la stessa sincera partecipazione di chi assiste all’elevazione dell’ostia in chiesa.
Un’anziana operaia che conobbi a suo tempo nella sezione del PCI mi raccontò che era stata pagata per piangere ai funerali di Togliatti; nel filmato del tempo la si vedeva bene, in lacrime in prima fila. In quel caso il falso doveva semplicemente scongiurare l’assoluta imprevedibilità del reale che può farti sbadigliare o sorridere laddove ci si aspetta che tu abbia una prevedibile faccia triste.
Non c’era nessun dubbio sul fatto che la gente fosse lì in massa per piangere Togliatti, però il sospetto di una mancata evidenza del lutto era stato più forte.

La Sindone di Torino è considerata oggi un oggetto realizzato con certezza nel Medioevo, eppure i fedeli che l’ammirano non hanno dubbi che si tratti di un oggetto sacro, perché il sua carattere emotivo, come calco inquietante di un corpo senza vita, è comunque una fonte di ipnotica seduzione.
Fa pensare a quello che disse Ugo Ojetti negli anni della scoperta delle opere del presunto falsario Dossena: ‘se un falso Dossena mi può dare la stessa gioia di un vero Donatello, la differenza dov’è?’ (cfr. Pace 1988).

D’altronde Giovanni Bastianini (1830-1868), che ha realizato una delicata Lucrezia Donati, 1864, ( ) attribuita da Cavalcaselle a Mino da Fiesole, non ha mai voluto creare intenzionalmente dei falsi, ma dei rifacimenti in stile. E a quanto pare anche Alceo Dossena, a differenza dei falsari come Icilio Federico Joni. Luigi Parmiggiani e L. Marcy, non ha mai voluto creare intenzionalmente dei falsi.

Quando vengono scoperti i veri falsi, quelli creati per ingannare e per speculare, la delusione può essere molto forte. Nel 2007 ho saputo che i fascinosi teschi di cristallo, da sempre ritenuti precolombiani, sono riconosciuti come falsi ottocenteschi. E’ stata una grande delusione, per me, perché mi aveva sempre affascinato il teschio in cristallo di rocca del British Museum scoperto da ragazzo nel bellissimo libro di J. L. Bédouin e M. Zimbacca, L’invenzione del mondo (1959) e poi visto dal vivo a Londra, prima di leggere i primi articoli sul Giornale dell’arte.

Sappiamo che Paul Celan si è suicidato anche perché era ossessionato dalle accuse di aver copiato altri poeti, un’accusa infamante che vanificava forse la sua necessità di incarnarsi in un nuovo Holderlin o in un nuovo Rilke, i due poeti che amava. D’altra parte la sua mortificante visita ad Heidegger aveva avuto forse lo scopo di autenticare un lavoro poetico troppo materiato dalla memoria di H e di R.
Ebbene, ho trovato (con dispiacere) un passo dei Quaderni di Malte di Rilke che Celan purtroppo ha in parte copiato in una delle sue liriche più intense.
Scrive C in Uragani: restammo / dentro, un / corpo poroso, e la cosa / Venne a noi, venne / attraverso, ricucendo / invisibile
E Rilke in Malte: quando là dentro si udì il balbettìo caldo e spugnoso: allora per la prima volta dopo molti, molti anni ci fu di nuovo ( ) la Grande Cosa (che ) adesso cresceva da me come ( ) una seconda testa
E la Cosa, nel Malte di Rilke, torna anche nella perturbante descrizione del cane morente.

Non c’è quindi nessun dubbio che C abbia tratto da Rilke queste suggestioni, fosse anche inavvertitamente, perché nella sua poesia, sempre troppo venata di pesante retorica funeraria, il perturbante di Rilke ha la funzione di rendere straniante ciò che non è possibile vedere.
2015. Adesso noto anche un’altra importante ripresa di Celan, questa volta dalla poesia di John Donne. In Anatomia del mondo il bellissimo verso ‘la sera fu l’inizio del giorno’ si ritrova in un passo di Celan che mi ha sempre affascinato: ‘Se anche per te le notti iniziano dal mattino’ , una suggestione che ha ripreso anche Wallace in Infinite Jest (v Narrativa).
E’ triste doverlo constatare, ma è possibile che l’ossessione provata da C per le accuse di plagio possa avere una radice concreta nella sua ripresa, forse inconsapevole, dei versi e dei passaggi narrativi più suggestivi ideati da altri autori.

Joyce ha copiato, e quindi ha comunque falsificato, fosse anche involontariamente, una poesia di William Butler Yeats, e scoprirlo è stato davvero triste perché ho amato quel testo di Joyce (in Chamber music, 1907) per tutta la vita, una pagina che spesso ho avuto in tasca con il testo da rileggere.
La poesia di J ‘Sento un esercito irrompere nella pianura’ è nella raccolta Musica da camera del 1907. Il testo di Yeats, che J ammirava, è nella raccolta ‘Il vento fra le canne’ del 1899 (Invita l’amata alla tranquillità).

Sento un esercito irrompere nella pianura / e il rombo dei cavalli che si avventano, la schiuma ai ginocchi. / Arroganti, nella nera armatura, dietro di essi / sdegnando le redini, le fruste schioccanti, stanno i guidatori: / Gridano dentro la notte i loro nomi di battaglia, / io gemo nel sonno udendo il vortice remoto delle loro risa. / Rompono il buio dei miei sogni, una fiamma accecante, / e picchiamo, picchiano sul cuore come sopra un’incudine. / Sopraggiungono scuotendo in trionfo la lunga chioma verde. / Balzano dal mare e corrono urlanti la spiaggia. / Mio cuore, non hai tu saggezza che così ti disperi?/ amore mio, amore mio, perchè mi hai lasciato solo?
(Joyce).

Io odo i cavalli dell’ombra, le lunghe criniere agitate / gli zoccoli gravi in tumulto, le bianche pupille guizzanti / il nord su loro dispiega una notte avvolgente, strisciante / l’est la segreta gioia prima che rompa l’aurora / va l’ovest piangendo in rugiada pallida e sospiri / dall’alto il sud riversa rose di fuoco incarnato / oh vanità di sonno, speranza, sogno e agonia! / i cavalli della sventura sprofondano in fango pesante: / ma tu, mia amata, socchiudi gli occhi e lascia sopra il mio cuore / il tuo cuore battere e i tuoi capelli sul petto cadermi / l’ora d’amore annegando solitaria in profondo crepuscolo di pace / abolite le loro criniere agitate e le zampe in tumulto
(Yeats).

Ora, la poesia di Joyce non è neanche il frutto di una riscrittura di un testo banale e inerte, perché la poesia di Yeats è altrettanto affascinante della sua derivazione, Io odo i cavalli nell’ombra – il nord su loro dispiega una notte avvolgente – i cavalli della sventura – lascia sopra il mio cuore / il tuo cuore battere: è bella quanto quella di Joyce, se non di più. Quello di Joyce, dispiace constatarlo per chi ha sempre amato la sua opera, è un plagio, quindi un falso.

E ci sono altri falsi altrettanto spiacevoli, dovuti ad artisti generosi e poetici, che lasciano increduli e amareggiati.
Il Bacio di Doisneau, del 1950, è un falso, anche piuttosto meschino perché gioca con i sentimenti di delicatezza che lui stesso come fotografo ha sempre saputo coltivare, ed è D stesso che ha dichiarato, molto tempo dopo, di aver creato un falso: le due persone della foto sono due attori pagati e messi in posa, eppure anche una recente e brutta mostra antologica dedicata a Doisneau (Roma, 2012) ha continuato a utilizzare quella foto addirittura come manifesto e come modello implicito della presunta sensibilità popolare del fotografo; e ancora oggi (nel 2016!) un programma tv professionale come Rai Storia continua a presentare questa foto falsa come autentica.
Il presunto falso miliziano morente di Capa doveva ricalcare l’iconografia dell’eroe che si immola, aperto verso il nemico e pronto ad ascendere al cielo. La foto di Capa sarebbe stata falsa comunque, perché C è stato condizionato, nella scelta degli scatti, dalla retorica dell’eroe beatificato.

I Falsi Modigliani.
1984. Nei giorni del ritrovamento sapevo bene che i colleghi della GNAM (dove lavoravo) cercavano nei fossi di Livorno delle opere di Modigliani, tuttavia, quando ho visto la prima minuscola foto pubblicata su Panorama dissi subito a mia moglie che quelle non potevano essere opere autentiche, immaginando che questo fosse evidente a tutti. A parte l’inverosimile aspetto goffo delle sculture, del tutto privo dell’eleganza manieristica che M ha dedotto da Brancusi, era impensabile che un artista, soprattutto se povero, potesse liberarsi di tre pezzi di pietra ancora adatti per essere lavorati, ed era impensabile che uno scultore potesse distruggere tre opere senza averle prima frantumate. E poi perché abbozzarle appena e poi gettarle nei fossi? Non aveva senso, gli artisti cercano di liberarsi solamente di opere complesse e concluse di cui si sono pentiti o delle quali vogliono impedire la fruizione futura, come è accaduto con Botticelli, con Kafka e con Mallarmè, non abbandonano gli abbozzi sui quali si può ancora operare.
D’altronde si vedeva già da quella foto minuscola che quelle teste erano il frutto delle barzellette sull’arte moderna, con un primitivismo ingenuo e privo della frigida linearità Art Nouveau di M, semmai evocavano le forme plastiche dell’arte popolare funeraria delle province romane d’impronta neolitica.
Nei mesi seguenti, nella GNAM imperava l’atmosfera tetra dell’ostinazione insensata di chi continuava a considerale autentiche. Ai miei occhi la cosa più importante di quella vicenda era questa: le accurate indagini scientifiche sul fango raccolto dalle sculture erano delle vere idiozie e dimostravano la follia delle attribuzioni basate esclusivamente sui documenti d’archivio e sulle analisi scientifiche, che da allora invece si sono affermate sempre di più. Una lunga inchiesta de La Repubblica era intitolata: I falsi Modì. Ma l’arte moderna sarà poi autentica? E a distanza di anni D continuava tristemente a dichiarare ai giornali:’Ecco perchè forse sono vere’.

Ho un gratificante ricordo degli scherzi che l’autorevole e attempato capo operaio della GNAM organizzava con i suoi falsi che miravano benevolmente a ridicolizzare i funzionari e gli studiosi. Un giorno toccò a me: pochi minuti prima dell’inaugurazione di una mostra di piccoli bozzetti di Balla, in una saletta semibuia, una collega complice mi portò a vedere la mostra in anteprima. Appena entrato dissi subito che il n.1 non era assolutamente Balla, ma un ignobile scarabocchio indegno di stare in quella mostra, e proposi di iniziare a parlare solamente a partire dal n.2. Il simpatico falsario uscì da dietro una tenda e mi fece i suoi complimenti. Avevo superato la prova.

12. 2016. Pompei. In tutta l’area di P si è coinvolti nell’incredibile intrusione delle opere colossali di Mitoraj con una mostra postuma che dovrebbe essere limitata dal maggio 2016 all’aprile 2017.
Si tratta di un vero e proprio falso: ho parlato con delle persone che credevano di essere davanti a reperti romani (cercavano notizie sulla guida rossa) mentre i turisti ignari facevano la fila per farsi fotografare davanti alle opere di questo mediocre e spiacevole scultore.
L’orrore che provoca l’infestazione di Mitoraj conferma che anche la rinascita figurativa può essere destinata a fallire come possibile alternativa al tardo concettuale, le opere di M sono patetiche e insignificanti, ridicole, una figurazione inerte e insensata, e sono grottesche le parole del comunicato stampa, secondo il quale questa vergognosa buffonata dovrebbe ‘suggellare un binomio osmotico tra l’archeologia e la contemporaneità dell’arte ( ) Due realtà che finiscono col fondersi’ (?).
Nel 2014 l’autore dichiarò, con imbarazzante retorica:non ci sono teorie, non ci sono spiegazioni. Le opere si impongono a me, io sono il loro schiavo’.

I libri
1955. Walter Lusetti. Alceo Dossena scultore. Ed. De Luca. Lusetti, figlio di D, ricostruisce, non so quanto correttamente, la figura del padre accusato di essere stato un falsario.
1961. Sepp Schuller, I falsi nell’arte (trad.it. di Angelo Lipinsky).
1966. Pietro Scarpellini, La scultura italiana dell’800 (I maestri del colore, Fabbri). S commenta con intelligenza un autore come Giovanni Bastianini, di cui riproduce a colori la raffinata Lucrezia Donati (1864 c) già attribuita da Cavalcaselle a Mino da Fiesole.
1984. L. Vaccari, Piacere, Vaster alias Cellini, L’Europeo. 45 falsi al Metropolitan Museum di NY.
Sd. E. White, L’arte diabolica dei falsari.
1984. E. Mannucci, La signora di Pietra (Panorama). Livorno e i falsi Modigliani.
1984. Maurizio Calvesi, Il falso e il vero Dedo, (L’Espresso, Agosto). Recensendo una mostra livornese su Modigliani, C commenta il problema dei falsi M e conclude confidando nel recente ‘ritrovamento di alcune sculture a suo tempo gettate nel canale dall’artista ( ) un episodio ( ) ricco di interesse e di spunti ( ) che potrebbe permettere una volta appurata la loro autografia di allestire una vera rassegna dello scultore livornese’.
1984. M. Rheims, Quando il falso è meglio del vero, L’Espresso.
1985. Colloquio con F. Zeri, Ma siamo sicuri che sia un falso vero? Europeo. Nell’articolo Zeri denuncia come falsa la Madonna della Palma di Urbino attribuita a Raffaello e scuola, perchè la Cycas che si vede nel dipinto non c’era nel 1500 in Italia. Ho visto il dipinto a Urbino (2012), nella Casa di Raffaello: la didascalia lo attribuisce ambiguamente a ‘Scuola di Raffaello’, ma a parte la Cycas l’opera è maldestra e goffa, non sarebbe stata comunque un’opera raffaellesca.
1986. John Bly e AA.VV, Falso o autentico? Guida per il collezionista di antiquariato (it. 1987, con la consulenza di Massimo Griffo).
1986. C. Gatti, Quel ragazzo non mi piace, ha l’aria falsa, Europeo. Il caso del Kouros del Paul Getty Museum.
1988. G.M. Pace, Quel cremonese falso e cortese, La Repubblica.
1990. S. Malatesta, I capolavori della bugia. Sulla mostra londinese del British Museum dedicata ai falsi.
2001. M. Carminati, Tra falsari, critici e babbei. Icilio Federico Joni, il falsario conosciuto e studiato da Zeri.
2004. L. Lombardi, Senesi falsi e contesi (inserto del Giornale dell’arte). Recensione di una mostra sulle opere di I. F. Joni: Falsi d’autore, Icilio Federico Joni e la cultura del falso tra otto e Novecento. Siena.
2004. L. Azzolini, Alceo Dossena. L’arte di un grande ‘falsario. 2004. Falsi d’autore, Icilio Federico Joni e la cultura del falso tra otto e Novecento. Siena.
2004. L. Lombardi, Joni, il falsario che beffò Berenson. Il Tempo.
2009. A. Gonzales–Palacios, Il Medioevo finto di Marcy (Il Sole24Ore, inserto). Le opere di Luigi Parmiggiani-Louis Marcy. Un altro articolo su Marcy è apparso nello stesso periodo sull’inserto de Il Giornale dell’arte.