Un dipinto inedito di Fabrizio Santafede
Arpino, S. Michele, sagrestia, Battesimo di Cristo, olio su tela, restauro 2008 (già attr. a pittore fiammingo, sec. XVII)
Il dipinto conservato nella chiesa di S Michele di Arpino, attribuito finora ad anonimo, è probabilmente un’opera inedita di Fabrizio Santafede (Napoli, 1576-1624), realizzata forse negli anni attorno al 1608-1609.
Può essere una delle opere di più alta qualità di un pittore colto, intelligente e di grande sensibilità che ha sofferto però per la reclusione nell’intercapedine che separa la tradizione del tardomanierismo dall’avvento inarrestabile del forte caravaggismo napoletano.
Questo notevole dipinto sembra marcare, nel percorso del pittore, la zona di confine che separa le sue opere di più intensa creatività da quelle più tarde, redatte in uno stile che denuncia uno sdegnoso ritrarsi nella cripta di una maniera consapevolmente rinunciataria.
Fabrizio Santafede, Deposizione, 1601-1603, Napoli, Cappella del Monte di Pietà
(Bib. Anna Coliva (a cura di), La collezione d’arte del Sanpaolo Banco di Napoli, 2004)
Nella Deposizione del Monte di Pietà di Napoli sono già presenti tutti gli elementi stilistici riscontrabili anche nel Battesimo di Arpino: a questa data (1601-1603) manca solamente l’innesto vitalizzante del caravaggismo di Borgianni e di Battistello Caracciolo che invece caratterizza con forza il dipinto laziale.
Il confronto ravvicinato del dipinto di Arpino (a sn) con la Deposizione di Napoli (a ds) mostra con inequivocabile evidenza la coincidenza delle forti caratterizzazioni tipologiche e plastiche ricorrenti nell’opera del pittore napoletano.
Santa Maria di Monteverginella, F. Santafede,, Santissima Trinità con la Vergine, San Giuseppe e Santi, 1618-1619
Gli stessi elementi grammaticali ricorrono nelle opere più tardi di Santafede, come la Trinità del 1618-1619.
E’ sintomatico che un pittore affine al Santafede come Giovan Vincenzo Forli abbia dipinto proprio negli anni 1606-1607 un’opera che mostra, pur con una diversa, minore qualità, le stesse caratteristiche formali del dipinto di Arpino: Il buon Samaritano, conservato a Napoli nel Pio Monte della Misericordia accanto ai dipinti di Caravaggio, di Caracciolo e di Santafede.
A sn: F. Santafede Assunzione,(dipinto già iniziato da Girolamo Impastato (not. 1571-1607) e rimasto incompiuto alla sua morte, ),1607-1608, Napoli, Monte di Pietà.
Santafede matura il suo linguaggio educandosi sulla pittura senese visibile a Napoli, soprattutto su i dipinti napoletani dipinti da Marco Pino nel 1573 (ma nell’Assunzione del 1608 già avviata da Impastato, S sperimenta anche il linguaggio di Beccafumi): un contesto stilistico che giustifica il suggestivo chiaroscuro del dipinto di Arpino.
Il pittore cerca evidentemente nei modelli di altri gli stimoli per l’aggiornamento di una maniera che lo stava costringendo a ripetere troppo rigidamente i suoi consueti moduli plastici (in alto a ds: Madonna con i Santi Onofrio, Girolamo e un devoto, 1607, Chistie’s Roma, 2005).
Orazio Borgianni, Visione di s Francesco,1608, Sezze (foto prima del furto del 1976 e della mutilazione sofferta dalla tela, parzialmente recuperata nel 1977)
Caravaggio è presente a Napoli tra il 1606 e il 1610, e Santafede avverte la pressione di una cultura troppo diversa dalla sua.
Il possibile incontro con l’emozionante S Francesco di Borgianni del 1608 può avergli suggerito la suggestiva massa asimmetrica degli angeli ad Arpino. E la forte simpatia strutturale che il dipinto di Arpino condivide con il dipinto di Sezze Romano suggerisce una possibile datazione del dipinto attorno al 1608.
Battistello Caracciolo, Madonna e Santi, 1607, Napoli, S Maria della Stella, particolare;
Dettaglio del dipinto di Arpino
Anche i forti riferimenti alle opere di Caracciolo (con il quale Santafede collabora a Napoli) sembrano suggerire una datazione per l’opera di Arpino attorno al 1608.
Nelle opere più tarde, d’altra parte, Santafede sembra rinunciare alle intense suggestioni senesi e alla volontà di ripensare l’affascinante materia che lo aveva turbato nel dipinto di Borgianni; coltiva uno stile più moderato, rinuncia all’impatto emotivo; una metamorfosi stilistica che tradisce forse una doppia realtà: lo sgomento che il pittore può aver provato di fronte alla prepotente affermazione del caravaggismo napoletano e la consapevolezza, forse, di aver sempre operato professionalmente in una condizione di troppo forte sudditanza da modelli importanti e fin troppo suggestivi.
Anche i riferimenti all’ala più moderata del naturalismo (Gentileschi) presenti nel dipinto di Arpino confermano la necessità di Santafede di operare su modelli stilistici di altri. Il pittore può aver visto il dipinto di Gentileschi subito dopo aver realizzato la sua affascinante Deposizione del 1601-1603 materiata dagli elementi tardocinquecenteschi di matrice toscana.
A ds. Santafede, Pietà, Museo diocesano di Gaeta
Nelle opere dipinte dopo gli anni dell’incontro scioccante con la cultura caravaggesca Santafede sembra chìudersi in una sobria pittura d’impianto tonale, già sperimentata nelle sue opere giovanili di fine Cinquecento affini a quelle del Passignano, che non prevede più l’azzardo della composizione eccentrica né la suggestione emotiva del chiaroscuro senese.
Nelle opere tarde, come la Pietà di Gaeta, memore di Andrea Del Sarto, ricorrono ancora elementi presenti nel dipinto di Arpino: la larga stesura tonale, le anatomie incerte e anacronistiche, l’intreccio dei volumi.
2009