Pantocrator
Pala d’Oro (particolare), sec. XII. Venezia, S. Marco
Pantocrator, smalto su rame, Roma, Museo di Palazzo Venezia
http://museopalazzovenezia.beniculturali.it/index.php?it/154/cristo-pantocrator
1999. Un’opera straordinaria, questo Pantocratore in smalto del Museo di Palazzo Venezia, ma non così isolata come si crede.
Da anni questa lastra affascinante sembra davvero passare inosservata, nonostante l’esposizione in due mostre recenti, eppure basta avvicinarla ad altre opere e guardarla, per riconoscerne nitidamente l’autore: è il geniale pittore bizantino che ha realizzato nel sec. XII le figure di apostoli e del pantocratore inserite nella Pala d’Oro veneziana di S. Marco assemblata dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204; un lirico talmente acuto, talmente concentrato sulla sua scrittura figurativa, da non aver neanche bisogno di essere indicato con uno pseudonimo, il suo nome e la sua biografia sono quelle icone della pala d’oro e questo irripetibile pantocratore di Palazzo Venezia.
Nonostante le insolite caratteristiche tecniche, e al di là delle coincidenze minute dei dettagli morelliani che è inutile inventariare tanto sono facilmente osservabili ad occhio nudo, il Pantocratore condivide con le icone della pala d’oro una sua esclusiva, frenetica scrittura: un segno febbrile che ne divora lo spessore del volume dall’interno trainando la figura indietro per contrarla in frattali isterici e inattivi, in minute cicatrici disseccate, dove tutto si infossa in un mosaico incattivito, in un reticolo di fratture slegate tra di loro e schiacciate contro il piano.
In contraddizione con i deprimenti stereotipi critici che vorrebbero la magnifica creatività bizantina incline a una inesistente stilizzazione antinaturalistica, la superficie delle figure di questo maestro è turbata da un’acida eccitazione epidermica di inquietante materialità.
Ed é una traccia di questo turbamento anche l’odioso e sempre ricorrente sguardo di lato, segno impudico di un malessere acuto che qui non può mai restare solo interiore; uno sguardo obliquo che esiste già negli smalti bizantini di poco precedenti e che poi forse non si vedrà mai più, così esagitato, nelle immagini del pantocratore, tanto meno in Italia, dove la divinità ci fissa sempre con prepotenza negli occhi.
Questo impasto indissolubile di epidermide istericamente tormentata e di acuta presenza plastica latentemente estesa senza limiti nello spazio (nella mancanza di spazio), così inutilmente a ridosso di un perimetro tanto ottusamente sigillato, dà origine a un moto su luogo della materia e della sua impronta che contrassegna tutta la più viva creatività bizantina.
Questa dualità ha una delle sue tante giustificazioni nelle monete bizantine, dove l’immagine sfibrata e apparentemente aniconica del monarca corrisponde nel rovescio alla figura del pantocratore ostentatamente naturalistica (con la mano benedicente in prospettiva), mentre il segno assottigliato e lirico del Pantocratore ha un remoto precedente nelle stupefacenti ampolle palestinesi del sec.VI (Duomo di Monza) dove agisce una visualizzazione altrettanto ossessiva, febbrile e incattivita.