Patrimonio artistico

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Patrimonio artistico

L’esigenza illuminista di cogliere l’interezza del patrimonio culturale con una mappatura territoriale non coincide con la necessità di individuare le guglie emergenti di una cultura e di indagare la fenomenologia del tessuto connettivo locale.
La diffidenza per il pensiero critico, che si presuppone sempre soggettivo e comunque volubile, ha portato a una deprimente strategia del patrimonio inteso come unità integra da salvaguardare e tutelare, ma non da decifrare e interpretare.

Ci sono delle opere straordinarie che vengono quasi ignorate perchè inattuali, come il Guerriero di Capestrano del VI sec. piceno ( ) che vidi con grande emozione a Roma negli anni ’60 (in PV) e poi nel piccolo e prezioso Museo archeologico di Chieti.
La simmetria e lo stupore metafisico del Guerriero, la sua arcaica simmetria, respingono gli studiosi di gusti classici e sconcertano quelli anticlassici, perché il Guerriero vive nello spazio anomalo dello scontro tra inceneritori e inumatori che la cultura critica ignora.
Ad Ancona, nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche, c’è la grande testa di Guerriero Piceno stilisticamente affine al Guerriero.

Delle opere isolate e vitali restano inosservate perché troppo esposte. Il Leone bronzeo di Venezia, una Chimera alata, è stato studiato anni fa, durante un restauro, come opera antica e rarissima, ma nessuno sembra interessarsene davvero ( v Opere da studiare).

La Lupa capitolina segue la stessa sorte. Una (brutta) mostra di qualche anno fa ha setacciato dettagliatamente l’opera con un allestimento davvero grottesco e con una presentazione solo contenutistica e il risultato paradossale è stato un ulteriore, sostanziale disinteresse per un’opera di grande interesse che adesso (2010) si ritiene giustamente opera medioevale. La Lupa interessa come problema storico, ma resta invisibile come opera d’arte, anche se la nuova esposizione nella grande sala centrale dei Musei Capitolini permette, con la sua luce diretta, di ridimensionarne la qualità.

Centro e periferia
Opere singole di grande qualità possono essere la traccia, non sempre facilmente decifrabile, di un vasto insieme disperso.

Nel Lazio ho trovato uno dei grandi solitari innestati nel territorio da culture esterne, la trecentesca Croce di Borbona, frutto esemplare del francescanesimo degli Spirituali. La Croce, che ho datato al 1320/30 e attribuito ad Andrea di Jacopo d’Ognabene, è un tassello della fascia periferica abruzzese-laziale di grandi croci angioine del primo Trecento. Negli studi del passato era mostrata come un gioiello isolato, oltretutto di ispirazione nordica, ma è inserita invece nel gruppo delle grandi croci aquilane in argento che interrompono la serie delle croci teramane in materiale povero, legate invece alla tipologia delle opere prive di accentuazioni linguistiche ma profondamente radicate nel tessuto connettivo locale.

In occasione della pubblicazione su Vincenzo Manenti (Atti del convegno, 2000-2004) il mio testo passò quasi inosservato, in un contesto ufficiale di presunta rivalutazione della figura minore di un autore che ci si preoccupava solo di salvare dall’anonimato. La mia diversa lettura della sua modesta pittura come fenomeno linguistico legato alle esigenze popolari del territorio era inconciliabile con la volontà diffusa degli Storici dell’arte professionisti di strappare il pittore dallo stato di presunta minorità per collocarlo accanto ai maestri più importanti del tempo.

Esplorare il territorio
A Napoli sono tornato a vedere più volte il delicatissimo rilevo di Donatello in s Angelo in Nilo, con la possibilità di osservarlo da vicino grazie alla disponibilità di un custode. Indispensabile per studiare il rilievo romano con Madonna in trono che è stato attribuito grottescamente a Donatello (v Attribuzioni).

Milano, Castello Sforzesco. La Pietà Rondanini è sempre inquietante; impossibile allontanarsi dal vuoto morboso che si crea in quella sala.
Purtroppo adesso (2016) la P è stata spostata in un brutto locale senza qualità.
Bramantino, Compianto, 1515-1520. Sconcertante scrittura in versi, attonito stupore metafisico.
Il ponte quattrocentesco di Spoleto; le fontane in bronzo di Viterbo.
A Bologna sopravvivono le strutture medioevali in legno della Casa Isolani (sec. XIII, restauro nel 1877 c), che ogni volta vado a rivedere.
Trieste. Nel piccolo Museo Sartorio, un ambiente integro ancora completamente arredato con mobili ottocenteschi, ho trovato due magnifici dipinti mai nominati nelle guide, una tela perturbante di Mazzoni e un raro Ippolito Caffi con una luna nascosta dietro la massa opaca del Campanile di P.za S.Marco, un quadro dipinto con una densità straniante, una delle opere più belle di questo pittore.
Verona. Fonte battesimale ottagonale in s Giovanni in Fonte, sec. XIII: l’ho scoperto dal libro di Ragghianti (vol.2), è vicino alla grafia morbida e fluida delle miniature romaniche, il rosso del marmo esalta la pittoricità dei rilievi plastici che sembrano conservare la memoria vivida dell’altare si s Ambrogio di Volvinio (835 c).
Barletta, Pinacoteca Giuseppe De Nittis. Ho rivisto con emozione tutti i dipinti più intensi di De Nittis già scoperti con la bella mostra antologica di Roma (2005): soprattutto il piccolo, indimenticabile, paesaggio sotto il sole, che nel capitolo su Poesia e arte collego esplicitamente a Leopardi. A Barletta c’è il meglio del lavoro di De Nittis, che non è da cercare nei ritratti e nelle scene parigine, ma nei suoi inquieti e poetici paesaggi.
Nella basilica di S Miniato al Monte (FI) il delicatissimo pavimento del 1207 è trasparente come un tessuto.
Loreto, Santuario e Museo della Santa Casa. Nel Museo interessanti dipinti greci del 1400/1500. Sala con affascinanti gioielli ottocenteschi.
Lecce. Nella guida trovo una conferma (da un testo di Brandi) di quanto ho subito pensato a proposito del cd barocco leccese che è invece, evidentemente, tardomanierismo spagnolo.
Siena. Ho avuto la fortuna di vedere il pavimento del duomo nella sua interezza qualche decennio fa; oggi è visibile solo occasionalmente (come adesso, ottobre 2012). Sono magnifiche le parti progettate da Beccafumi.
Bari. Pinacoteca Provinciale. Una grande tavola di Giovanni Maria Scupula (Otranto, primo 1500) con Storie di Cristo e della Vergine, interessante esempio di snodo tra la tradizione tardo bizantina adriatica e l’arte popolare locale.

Pesaro (5.12). Museo diocesano: un sarcofago datato al sec. VIII, con forme illiriche e popolari. Ho pensato subito alla mia indagine sulla trasmissione dalle forme tardoantiche alle derivazioni popolari medioevali (lastra di B).
Cremona. La bella Carrozza Crotti, 1770-1780, Modello Berlina, dal prototipo costruito nel 1663 a Berlino da un piemontese.
A Brescia le importanti opere medioevali sono esposte nelle salette squallide del brutto museo di Santa Giulia: il dittico di Boezio, con l’aggiunta dipinta sul retro, la grande croce cd di Desiderio con il vetro dipinto romano del III-IV secolo, la cassetta eburnea paleocristiana.
Cremona, Pinacoteca: bellissima la sezione di opere di Carnovali il Piccio, il sensitivo e ipersensibile ideatore di una matericità esausta e quasi trasparente.
Pompei. Nella cd Casa del Manandro c’è il fluido ritratto di intellettuale, che una pubblicazione sulla pittura pompeiana (Domenico Rea, 1981, pag. 35) definiva ‘stilisticamente mediocre’ (!). Fa pensare al presunto Agostino della Scala Santa, che ho visto di recente, e alle miniature più pittoriche dei codici tardo antichi, che a questo modello devono aver guardato con estrema attenzione.

La Spezia. Interessante ricognizione di un patrimonio discontinuo e quasi sconosciuto localmente.
ll Museo Civico Amedeo Lia, donazione del generoso collezionista Lia (ho letto degli articoli su di lui qualche anno fa) è un modello di razionale funzionalità per la divisione tipologica voluta dal donatore: qualità raffinata delle opere verificata dagli studiosi che Lia ha consultato, magnifica ambientazione in un convento restaurato; gli eccellenti e completi cataloghi scientifici sono liberamente disponibili in una civilissima e comoda saletta: Il museo produce varie pubblicazioni integrative, un biglietto cumulativo favorisce la conoscenza degli altri musei spezzini; un agile catalogo introduttivo ricostruisce anche la vicenda del restauro dell’edificio. Le opere. Tanti avori di ogni epoca, un interessante busto reliquiario spagnolo in argento del Cinquecento, una vasta raccolta di grandi fogli miniati, e poi singoli capolavori affascinanti: il possibile Autoritratto di Pontormo, che aspettavo di vedere dal vivo per capire se l’autografia fosse verosimile, e secondo me lo è; un bel dipinto di Cariani, un complesso Cristo in pietà che mi è stato possibile attribuire subito a prima vista; una perturbante Crocefissione del XIV sec. (attribuita a Cerchia di Simone Martini) redatta con un linguaggio lirico stremato e acuto che il visionario sfondo dorato esaspera ulteriormente; un Compianto sul Cristo morto di Tintoretto, sfatto e compendiario; una S. Caterina di Lucas Cranach, febbrile e opaca nella sua isterica contrazione materica; un Ritratto di giovane di Ghislandi (Frà Galgario), che A ha letto molto bene nella sua densità psicologica.
Nel Museo diocesano c’è un sorprendente avorio secentesco (Cristo crocefisso), modellato con una ossessiva ma raffinata visualizzazione del corpo (le costole, la barba) che mi fa pensare ad un sensibilissimo artista nordico (fiammingo?).
Il Museo etnografico è costruito con intelligenza e cura, una raccolta limpida di strumenti popolari, stampe, arredi, con un apparato esplicativo esemplare.
La splendida Biblioteca Civica Ubaldo Mazzini conserva un vastissimo patrimonio librario sedimentato dall’Ottocento: le impiegate ci hanno permesso di sfogliare liberamente libri del Cinquecento, del Seicento e del Settecento: uno di questi, un grande volume settecentesco dedicato al re d’Ungheria, toglie letteralmente il respiro per la sua sconcertante bellezza, così interamente materiato da un accentuato, puro gusto epigrafico che mostra quanto la specificità del design librario non abbia bisogno di essere corroborata dalla presenza (a volte fuorviante) dell’illustrazione

S Paolo f le mura. E’ sempre emozionante la grande porta bizantina di Staurachios da Scio del 1070.
2014. Restauro della Barcaccia di Pietro Bernini: il perturbante prima dell’avvento del Barocco (cfr. Cecilia di Maderno).

Milano. Tesoro del Duomo: Secchiello eburneo di Godofredo, 979 c, con le forme compatte della plastica ottoniana (penso al piccolo pozzo dell’Isola Tiberina). Il grande Crocefisso di Ariberto, 1040 c, in rame dorato. E la stupefacente Coperta dell’Evangeliario di Ariberto d’Intimiano, in oro e smalti, sec. XI. Nel Tesoro trovo un delicatissimo dipinto di Crespi, che non ricordavo di aver visto, con trasparenze quasi goyesche.
Nel Castello Sforzesco una mostra della Raccolta Bertarelli sul tema della Cuccagna.
Al Castello ho rivisto la stupefacente Marina di Guardi.

Il Duomo, sempre straniante e austero, uno spazio addensato con una intensità che ogni volta toglie il respiro.
Nel bacino restaurato dei Navigli è ormeggiato il grande barcone antico da poco recuperato e restaurato.

Perugia. Palazzo dei priori: magnifica la Sala dei Notari con i lunghi sedili in legno dislocati lungo tutto il perimetro a formare un insieme plastico.
Nella monotona Galleria Nazionale dell’Umbria c’é una piacevole sorpresa: la Flagellazione, 1480, rilievo in bronzo di Francesco di Giorgio Martini, un riflesso dell’emozione che l’opera di Donatello deve aver provocato in questo autore eclettico e sensibilissimo.
Interessanti i cassoni toscani del XVI sec: uno fu pubblicato nel 1969 da Pedrini, ed é vicino a quello pubblicato in Il mobile italiano, Quaderni dell’Antiquariato, 1981.
In s Lorenzo, Duomo, la forte scultura in bronzo di Giulio III di Vincenzo Danti (1555). Impressionante la Deposizione di Barocci del 1567-1569.
Il Coro ligneo di Giuliano da Maiano e Domenico del Tasso (1491) conferma la capacità locale rivolta alla conservazione integrale del contesto originale.
Fontana maggiore,1278, di Nicola a Giovanni Pisano: la parte plastica è molto meno interessante della struttura architettonica, adeguata alla pendenza della piazza. Nella GN c’è la (brutta) scultura in bronzo attr. a Giovanni Pisano.
Il Collegio della Mercanzia, 1400, con i suoi arredi lignei, mostra la vocazione di Perugia alla forma diffusa e capillare del segno che evita l’esaltazione del capolavoro isolato, una tradizione di esteticità diffusa che giustifica la presenza cittadina del Perugino con la sua consapevole monotonia.
E anche il Collegio del Cambio (1457) con opere di Domenico del Tasso e del Perugino è dominato dalla prevalenza del segno diffuso.
Nella Cappella di S Severo c’é l’affresco di Raffaello (ancora goffo e incerto) del 1508, con l’incredibile anacronismo del vecchio Perugino che qui si ripete ancora una volta con la sua mediocre aggiunta del 1521.
Nella Biblioteca Comunale Augusta ci permettono di consultare il libro del XIII sec con le Sentenze di Pietro Lombardo (+1166), composto nel tardo 1200 con delicate annotazioni in rosso e commentato, in una pagina, da note che citano Tommaso.
Nella piccola chiesa dei ss Severo e Agata troviamo un intelligente e corretto restauro brandiano degli affreschi del 1300.
La Porta Trasimena: etrusca, ma ridisegnata ariosamente in epoca gotica.
Agostino di Duccio nell’Oratorio di s Bernardino,1461 c. Nell’Oratorio c’é un interessante sarcofago tardo antico con Cristo fanciullo tra i filosofi, con un coperchio molto più tardo con Storie di Giona.
Una sala interna ospita dipinti di fine Settecento con varie opere di Marcello Leopardi.
La Rocca Paolina conserva la Porta Marzia. I resti monumentali della Rocca (Antonio da Sangallo e altri,1543) sono sopravvissuti alla distruzione ottocentesca avvenuta dopo l’Unità. Sotto la Rocca si estende il quartiere medioevale.
Nell’interessante Casa Museo di Palazzo Sorbello c’è una colta collezione privata arricchita da una vasta biblioteca che conserva la III edizione dell’Enciclopedia illuminista stampata a Livorno.
Splendida mostra di Icone serbe, dal 1600 al 1700, nella Galleria Nazionale, interessante per studiare il passaggio dalla persistenza dello stile tardo bizantino al gusto popolare adriatico veneto cretese.

Monza. Nel Tesoro del Duomo il raffinato dittico di Stilicone e della moglie Serena (400 c), il dittico in avorio (450 circa) con poeta (Seneca?), e la valva di dittico con Scene cristologiche (Milano, 450 c). Le delicate Ampolle di Monza, già viste a Roma in una grande mostra. La Corona votiva di Teodolinda, sec VII, e quella di Agilulfo, sec VII; la Chioccia con i pulcini, sec VII (?), il Reliquiario del dente, sec VII o IX (?), descritto da Ragghianti, e la Croce di Berengario, sec IX.
Nella Cappella di Teodolinda, con affreschi degli Zavattari (sec. XV), appena restaurata, la Corona ferrea, sec VII (?).

Como. Il Tempio voltiano con strumenti scientifici originali e in parte ricostruiti: il design prima della sua formalizzazione, dove la funzione é resa visibile in trasparenza dallo strumento illuminista prima che il design di inizio Novecento ne ricopra la struttura con un esoscheletro capace di dirottare la singola funzione dell’oggetto verso una più estesa esteticità diffusa, un fenomeno che comporta il rischio della familiarità e dell’eccesiva empatia, che é poi il limite del design contemporaneo e della sua latente inautenticità.
Il Duomo, in sorprendenti forme laiche bramantesche, e il raro portale medioevale di s Fedele (sec XII) (foto).

Nei Musei civici opere di Mosé Bianchi: il bozzetto e il cartone preparatorio per il dipinto murale araldico realizzato poi per la saletta reale della stazione, visibile sul posto anche con la porta a vetri chiusa.
Il magnifico Museo della seta conserva una raccolta assolutamente straordinaria di macchine tessili antiche.
Giuseppe Terragni. Il Novocomum (1928) è saldato genialmente a un palazzo eclettico di inizio novecento; la bella Casa del fascio del 1936 si staglia nitida contro lo sfondo della collina e dietro il Duomo; l’Asilo s Elia (1937) é poco visibile e trascurato (cfr. B. Zevi, Giuseppe Terragni, 1980).

Abbazia di Montecassino. Nella chiesa la suggestiva porta bronzea del 1066 del tempo di Desiderio e forgiata a Bizanzio: aniconica e magnificamente epigrafica.

Pompei. Adesso ho una percezione più intensa dello spazio pittorico della casa romana determinato dalle grandi campiture di giallo e rosso. Rivedo le magnifiche iscrizioni parietali; scopro la casa con le stesse decorazioni di giardino della Casa di Livia; la bottega con l’affresco corsivo di divinità con i serpenti; le Terme del Foro con gli incredibili telamoni, plasmati in terracotta come se fossero stati realizzati a fine Cinquecento; la Casa di Marco Frontone, con l’affresco di Marte e Venere, con le prospettive architettoniche surriscaldate dall’accordo di giallo, rosso e nero, con l’affresco delicatissimo di Narciso e con le vedute a macchia dei porti; nella Casa del Fauno trovo una grande cassaforte.
Rivedo la casa del Menandro, con il piccolo affresco con la cattura di Cassandra; le Terme Stabiane con gli stucchi raffinati; la pittura compendiaria del Lupanare.
Nella Villa dei Misteri, accanto al brutto restauro del ciclo dei Misteri, vedo una stanza decorata con straordinaria raffinatezza: contro lo sfondo scuro sono dipinti con leggerezza dei tiranti che sostengono al centro un oggetto sospeso; affascinante spazio di riflessione concettuale confinante con la violenza sensuale dei Misteri.
Bibliografia: S. Ciro Nappo, Pompei, Archeo, 2004; D. Rea, Pompei e la sua pittura, 1981; A. De Franciscis, La pittura pompeiana, 1965, Sadea, con le foto più belle, e dello stesso autore Pompei, 1966, Sadea; AA.VV. I colori di Roma, dossier di Archeo, 1998.
E poi naturalmente i due volumi su Roma di Rizzoli magnificamente illustrati, firmati da Bandinelli.

Arezzo. Piero della Francesca in S, Francesco, il ciclo della Leggenda della vera croce (1464-66): abbiamo avuto il piacere di entrare nella cappella da soli e osservare con tutta calma gli affreschi.
Nella Pieve di S Maria il reliquiario trecentesco di s Donato (1346), che ho studiato a suo tempo per la Croce di Borbona; interessanti rilievi romanici murati alla parete e rilievi quattrocenteschi sopravissuti al degrado del fonte battesimale.
Nel Duomo ci sono le grandi vetrate di Guillaume de Marcillat (1516-19), l’Arca di s Donato (1362 c), il Cenotafio di Guido Tarlati (1330).
Nel bellissimo Museo Archeologico Nazionale Mecenate; l’anfora di Casalta (bottega del pittore di Dinos, 420-410), con storia di Pelope e Ippodamia (foto), più interessante del cratere con Amazzonomachia di Euphronios (530-470); impressionante il delicatissimo ritratto su vetro del III secolo dc (foto), ma l’opera più affascinante del museo è una piccola urna funeraria etrusca con la defunta avvolta nelle coperte (vedi Autori e opere). Interessanti le rare sculture preislamiche di impianto tardo neolitico, analoghe forse a quelle che Maometto condannò e distrusse all’inizio della sua opera.
Delude molto ad Arezzo la mancanza di interesse per l’opera letteraria di Vasari, che qui sembra esistere solamente come (modestissimo) pittore e come architetto: nella biblioteca di Palazzo Pretorio non ci sono riferimenti al suo lavoro, e nella vuota Casa di Vasari si avverte la totale mancanza di pannelli illustrativi dedicati al Vasari storico dell’arte; nella Casa ci sono comunque due affascinanti piccoli tondi di Perin nel Vaga e una bella copia (o replica) della Crocefissione di Stradano di Firenze.
In S.Domenico il grande Crocefisso di Cimabue (1265). Nel Museo diocesano grandi crocefissi lignei romanici e un magnifico affresco con s Girolamo (fine Quattrocento) di Bartolomeo della Gatta con sinopia, accanto ai tanti insignificanti dipinti di Vasari.
La Casa Museo di Ivan Bruschi è un interessante documento del collezionismo locale: uno splendido busto in terracotta di Vittorio Pochini, di fine Ottocento, rievoca quello altrettanto seducente di Giovanni Bastianini (1830-1868) che a suo tempo fu creduto opera rinascimentale dal Louvre.
Una piccola scultura di regnante a cavallo con soldati alla base, di incerta fattura, fa pensare agli avori per scacchi medioevali (5.2017: adesso vedo la riproduzione di una scatola in avorio del XI sec. del Museo di Cluny molto vicina a questo oggetto di Arezzo, v Archivio Filosofia e Arte).
4.2017. S. Severa. Piccolo ma interessante Museo della navigazione ordinato con razionalità. Il castello è una massa scolpita sul mare, il borgo interno alle mura conserva le case rurali e una magnifica parte di mura etrusche.

Libri
1914. Touring Club Italiano, Guide delle Regioni d’Italia. La collana di guide del CTI costituisce tuttora un inventario attendibile del patrimonio artistico, riedito nel 2004.
1930. Attraverso l’Italia. Illustrazione delle regioni italiane. La raccolta di immagini in bn dei volumi del Touring Club Italiano editi negli anni ‘30-‘51 offre un archivio prezioso di appunti visivi del paesaggio e della situazione originaria di monumenti poi alterati dal tempo.
1974. AA.VV. L’arte sacra nel Lazio, Palazzo delle Esposizioni, catalogo della mostra: fu l’inizio dell’interesse per il patrimonio artistico del Lazio (ho trovato e acquistato pochi anni fa il raro catalogo della mostra, finora consultato solo in fotocopia). Nel ’74 era esposta anche la Croce di Borbona, di cui poi mi sarei occupato così a lungo dieci anni dopo, dal 1986 in poi.
1986. Bell’Italia e Bell’Europa. Archivio prezioso di documentazione sul territorio. La versione più recente (2013) è stata purtroppo ridotta a un triste e inutile catalogo pubblicitario. Una donazione recente (2012) mi ha permesso di avere la collezione quasi completa che avevo sempre desiderato.
1992. AA.VV. Italia. Guida artistica, Electa (II edizione 1994 in tre volumi). Un utile inventario del patrimonio artistico italiano, in mancanza di un completo, e forse impossibile, articolato studio riassuntivo
1993. I tre volumi dell’Atlante dei Beni culturali dell’Emilia Romagna, di G. Adani, J. Bentini, A. Emiliani, sono un esempio eccellente di indagine interdisciplinare del patrimonio.
2000. Le guide, Mondadori. Una gradevole visualizzazione dalla fresca grafica di tipo anglosassone.
Nel website Patrimonio.it c’è l’elenco di una notevole raccolta di tesi dedicate al patrimonio artistico. Varie tesi dedicate all’arte e all’estetica sono in TesiOnline.it., acquistabili in rete.

Vasi comunicanti. Con il capitolo Attraversare l’esteticità diffusa (1995-2013) e con questo QI cerco di offrire una rinnovata percezione della specificità delle singole tipologie e del contesto generale nel quale sono messe a dimora.

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