Arte del disagio psichico

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Arte del disagio psichico

 Bruna M, Ritratto (1947 c)

Pablo Ruiz Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1943

Bruna M è una ex studentessa delle Belle Arti ricoverata dal 1947 nell’ospedale psichiatrico di s. Lazzaro, a Reggio Emilia, come schizzofrenica paranoide.
Un suo dipinto (foto) mostra una grande affinità con certe opere coeve di Ruiz Picasso, come il Ritratto di Dora Maar del 1943. Perchè?

Non è possibile sapere se BM abbia visto delle riproduzioni dei dipinti di RP degli anni ’40, ma è lecito supporre che RP invece i dipinti prodotti dal disagio mentale li abbia visti facilmente a Parigi, dove osservava con attenzione ogni cosa che lo potesse stimolare, dall’arte oceanica e africana alla pittura naif, pur di sbloccare la gabbia rigida del suo triste e inerte simbolismo degli inizi.

L’incontro del dipinto di BM e di RP denuncia un confluire inevitabile e rilevatore dei segni di un bradisismo stilistico che ha coinvolto tanta pittura del Novecento. Pur non conoscendo nei dettagli il (più che verosimile) legame che può esserci stato tra RP e la pittura del disagio mentale, è possibile leggere le due opere, praticamente contemporanee, mettendole a confronto.

La materia dei due dipinti è plasmata con le stesse modalità, dense masse plastiche addensate contro un centro invisibile e dislocate su di un piano bidimensionale, assecondate dal blu e verde in aperto contrasto tra di loro. La fisionomia tradizionale è alterata, nei due dipinti, da uno smottamento che la deforma.

Ora, senza indulgere nella vergognosa attitudine a esaltare l’attività creativa di chi soffre, è fin troppo facile osservare la diversa qualità dei due dipinti: il mediocre ritratto di RP è formulato in termini accademici, la figura si staglia contro uno sfondo inerte, la modestissima alterazione della fisionomia corregge le precedenti e aspre sconnessioni degli anni ’30 che il pittore deduceva esplicitamente dalla più violenta plastica oceanica e le riporta a un grigio assetto sostanzialmente tradizionale; l’ingenuo ricorso al chiaroscuro e al descrittivismo più banale rende patetico questo noioso dipinto di RP.
Il dipinto di BM determina invece una fosca e irrequieta matericità che altera radicalmente tutti i parametri descrittivi. I volumi sconnessi in superficie non si ricompongono, ma gravitano in lacerti slogati e irrecuperabili, l’intera superficie è modellata e resa vibrante dalla violenta collisione di timbri caldi e freddi, del blu e del verde contrapposti al giallo e al rosso; il volume frana dentro se stesso guidato da un’acutissima percezione della precarietà della presenza. L’arto mancante del corpo implode tragicamente nella testa, dove è in atto una sconvolgente mutazione materica che non è possibile trovare neanche nei sopravvalutati dipinti di Bacon.

Certo, BM può anche aver visto delle riproduzioni di opere cubiste, se prima del 1947 era una studentessa di arte e pittrice, e questo può spiegare le analogie dei dettagli dei due dipinti, gli occhi, il segno nero che sfregia il volto, ma una cosa è certa: il suo straordinario dipinto è frutto di una creatività autentica, della necessità di mostrare la precarietà dell’esserci, mentre quello di RP attesta solamente il decorso del penoso e svuotato manierismo novecentesco.

Contro il dipinto di BM agisce la percezione alterata che molti hanno dell’arte non accademica, quella dei non professionisti, la suggestione della negligenza incolta e dell’improvvisazione, il disagio per tutto ciò che documenta il malessere e la solitudine, il profondo, e inconfessato fastidio che è possibile provare per il dolore degli altri.
A favore del mediocre dipinto di RP si mobilitano la ben costruita evocazione della fresca pittura vascolare e la seduttiva icasticità dell’icona imposta perentoriamente allo sguardo.
Se il dipinto di BM fosse stato firmato, quaranta anni dopo, da uno dei tanti pittori della Transavanguardia internazionale degli anni ’80 non esiterebbero, quelli che lo sanno vedere solamente come documento psichiatrico, ad accettarlo come splendida opera di pittura.

Libri
1927-1953. Eugène Minkowski, La schizzofrenia (it.1980).
1954. Francesco Egidi, Pittura e disegni metapsichici.
1952. Ernst Kris, Ricerche psicoanalitiche sull’arte (It. 1967, trad. Fachinelli, intr. di Gombrich.). Messerschmidt e altri autori psicotici. Il testo di Kris dimostra, con i limiti qualitativi delle opere, quanto sia stata ambiguamente sopravvalutata dalla cultura egemone l’arte del disagio psichico ai fini di una illecita colonizzazione.
1964. Graziella Magherini, Gianfranco Zeloni, Sul confine. Scritti e dipinti da un ospedale psichiatrico (Ospedale ps. di Firenze).
1967. Sergio Piro, Il linguaggio schizzofrenico (II ediz. 1971). Un formidabile strumento di studio, con una vasta ricognizione nel campo della filosofia.
1981. Massimo Mensi, Stefano Mecatti, Colori dal buio. L’arte come strumento di liberazione dall’istituzione psichiatrica. Catalogo della mostra, Firenze. Nonostante questo libro contenga le opere più straordinarie che io abbia mai visto nel contesto del disagio psichico, Guttuso, con la sua odiosa demagogia, scrive in un testo inserito nel libro che questi lavori ‘non sono da guardare sotto il profilo del gusto. Essi van visti per quel che sono, vanno guardati con semplicità’ come ‘ testimonianza di una situazione umana’.
Si può rispondere a G che anche i suoi lavori ‘van visti che per quello che sono ( ) con semplicità’: testimonianza del più triste mercantilismo illustrativo e quasi del tutto privi di importanza ‘sotto il profilo del gusto’.
1997. Jean-Louis Ferrier, Les primitifs du XX° siècle. Art brut et art des malades mentaux. Grande e completa antologia, magnificamente illustrata.

Vasi comunicanti: Esteticità; Territori di confine.