Arte delle origini
Tutto ciò che conosciamo dell’arte è quasi solamente un frammento, se viene collocato nella vertiginosa cronologia della creatività.
L’arte, come la conosciamo da almeno trentamila anni, è il frutto di una fase di latente, irresistibile ridondanza di forme preziose e necessarie che sono state prodotte da una interminabile ricerca creativa protratta senza tregua per una durata inconcepibile di tempo, una ricerca vitale che si è sviluppata con opprimente intensità nel segno di una parossistica volontà di controllo concettuale del mondo. E si è instaurato in questo sconfinato periodo di tempo, in questa immensa estensione temporale, un registro dal rigore assoluto che oggi possiamo capire o recuperare solamente in parte.
L’eccezionale studio di S. Giedion, L’eterno presente: le origini dell’arte 1962 (it. 1965, nella bella traduzione di Furio Jesi) offre una documentazione completa sull’arte del passato più remoto, che viene indagata nei dettagli più minuti, e soprattutto mette a disposizione un diverso modo di percepire le opere d’arte stesse.
Basti pensare che l’arte realizzata per gli ambienti più profondi dei ripari paleolitici veniva osservata stendendosi per terra in un spazio ridottissimo; si trattava quindi di una esperienza estetica che poteva prevedere una fruizione individuale di enorme intensità emotiva.
Il fresco naturalismo della pittura e scultura paleolitica aveva evidentemente la funzione di sollecitare una vivida memoria dei corpi in movimento, dei fenomeni sfuggenti, per ridurne la percezione a una icona statica e diversamente controllabile, immagini latenti destoricizzate tramite la loro traduzione plastica.
La grande arte paleolitica metteva sotto scacco la disperante discontinuità del reale.
Secondo i risultati della neuroscienza ‘per costruire un’ascia a mano non basta la destrezza manuale, ma serve soprattutto la capacità di pianificare e astrarsi dall’immediato per immaginare se stessi nel futuro. E forse questo manufatto custodisce anche il segreto del linguaggio: sembra infatti che le neuroscienze indichino che le aree del cervello attive quando si costruisce un simile utensile si sovrappongono a quelle della parola, come se si fossero evolute assieme’ (2012).
Il forgiare l’amigdala ha costituito quindi un elemento fondamentale del laboratorio sensoriale che è stato impiantato attorno allo sviluppo del cervello stesso.
Se adesso ripenso alla Venere, di controversa datazione, che vidi da ragazzo al Pigorini, capisco che il suo volume è inscritto in una losanga analoga a quella dell’amigdala. Nella Venere le estremità e il volto sono assenti perché quel volume ricalca un remoto modello concettuale, il design della pietra elaborata geometricamente che per migliaia di anni ha permesso la formulazione pura del pensiero e della parola, ed è per questo che manca la connotazione naturalistica, la Venere è un frammento della realtà inscritto concettualmente in una dimensione astorica che permette una riflessione esentata dall’angoscia della precarietà, della storia.
2012.
Il libro eccezionale di Giedion rende quasi inutili i testi che interpretano l’arte paleolitica con la più grigia ortodossia accademica: 1967. P. Ucko, A. Rosenfeld, Arte paleolitica (it.1967); 1968, Walter Torbrugge, L’arte europea delle origini. Preistoria e protostoria. Holle Verlag GmbH di Baden-Baden. (it.1969).