Video
ripresa di un furto con la videosorveglianza
La forma creativa che ha subìto con più violenza il superamento qualitativo delle forme spontanee della comunicazione non intenzionalmente estetica è il video, che già alla sua origine, nei primi anni ’60, è stato subito vanificato dal confronto con la ripresa sconvolgente dell’attentato a Kennedy, dove la creatività occasionale rispecchiava la pura necessità imposta dall’evento stesso (cfr Esteticità).
Nella foto: ripresa di una rapina con un video di sorveglianza.
Nel 1998, mentre era in corso la mostra La coscienza luccicante al Palazzo delle Esposizioni, in tutto il mondo girava il video dell’interrogatorio di Clinton, una icona impressionante, ferma e pulita, diffusa su scala urbanistica sugli edifici pubblici. La realtà, con la sua implicita energia estetica, stava vanificando la finzione e la debole esteticità viziata dal più mediocre manierismo.
Oggi (2011) le riprese video dei telefoni portatili hanno acquisito un valore di estrema immediatezza come unica forma di comunicazione delle folle di giovani che si ribellano: prima in Iran (2010) e poi in Egitto, Tunisia, Libia, e ancora più intensamente con il terremoto e maremoto in Giappone, che è stato visualizzato prima di tutto da impressionanti riprese amatoriali (2011) (cfr. Esteticità).
L’infestante videosorveglianza ha ormai raggiunto un tale livello di riscrittura del visibile da vivere una sua estetica dello sguardo incondizionato che fissa eternamente davanti a sé senza poter selezionare nessun dettaglio.
Le infinite riprese occasionali creano in questo XXI secolo una suggestiva variante estetica che prevede anche la sciatteria intenzionale della Graphic novel e della Street Art, una risposta all’insopportabile prepotenza commerciale delle forme creative della logora maniera tardo concettuale.
Si sta affermando una dimensione creativa fondata sulla forma occasionale dei non professionisti, e non si tratta solamente di una rivalsa popolare contro il dominio della cultura egemone, questa apparente sciatteria formale disintossica dagli eccessi della falsificazione che forse non serve più a chi governa il raffinato e flessibile strumento della demagogia.
2016
Quando il video è frutto di una falsificazione, come nel caso di una pseudo apparizione spiritistica ( ) si avverte immediatamente il suo ductus frigido ed epidermico, e gli elementi che avrebbero potuto avere un fascino filmico risultano invece tediosi e stupidi, come accade con le voci popolari autentiche che vengono normalizzate e rese più illustrative dalle orribili varianti della musica demagogica.
Nel 2007 era visibile nella mostra Inbetweeness. Balcani: metafore di cambiamento (S. Michele a Ripa, Roma) un delicato video, muto e in bn, di Vesna Vesic (Belgrado, 1975), Wash Me and I Will Be Whiter than Sbow (1998), vicino alla poetica della mestizia di altri autori dei Balcani come Paci, Sala e Xhafa.
Poteva essere un modello esemplare di poeticità, ma scontava un debito troppo grande con il modello che lo condizionava, La Passione di Giovanna D’Arco di Drejer (1928), dove la stessa lacrima che scorre lentissima e commovente nel video di Vesic scivola sul volto di Renée Falconetti ripresa in primo piano grazie alla nuova pellicola pancromatica del tempo che permetteva di riprendere la pelle da una distanza ravvicinata.
Un’opera lieve e raffinata vanificata dal contenutismo (il vittimismo) e dalla troppo forte dipendenza dai modelli. Ed è stata forse l’unica occasione per la Video art, di accedere ad un’impossibile autenticità.