Epigrafia

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Epigrafia

Se la specificità dell’iscrizione più arcaica è nella perturbante proiezione fossilizzata della parola scritta nell’ordito architettonico e plastico, allora questa specificità viene rivissuta pienamente da Luca Orfei nel Cinquecento urbanistico di Sisto V, laddove il grande segno epigrafico si libera dai vincoli troppo seducenti dell’epigrafia romana e damasiana tornando ad una sorta di stupore visionario.

Armando Petrucci (La scrittura. Ideologia e rappresentazione,1980/1986) ha messo bene a fuoco la creatività di Orfei, attivo per Sisto V tra il 1585 e il 1589 con cinquanta iscrizioni monumentali.
Dopo il libro di P ho guardato con altri occhi le magnifiche, grandi pagine epigrafiche senza bordi dell’Acqua felice e della base della Colonna di Marco Aurelio. Orfei esalta la specificità epigrafica perché nelle sue opere l’estrema dilatazione della parola scritta nel contesto architettonico riesce a conservare intatta la delicatezza della scrittura cartacea, creando uno spazio immisurabile, mentre nelle grandi iscrizioni romane la scrittura era comunque saldamente innestata nella massa edilizia.
Nella grossolana mostra dell’Acqua Felice, a San Bernardo, la grande epigrafe di Orfei (1587) è l’unico inserto di grande qualità.
Per Luca Orfei v Gli strumenti della creatività.

Sono sempre stato affascinato dalle grandi epigrafi romane, come quella dell’Arco di Settimio Severo (203 dc) che è coerente, grazie alla sua icastica densità, con i rilievi del monumento, e come quelle delle tre grandi fasce epigrafiche sovrapposte di Porta Maggiore.

Damaso (366-384) fa incidere i suoi carmi dal calligrafo, Furio Dionisio Filocalo e le sue lastre affascinanti (nello scalone di s. Agnese e in Vaticano) sono il perfezionamento neoclassico delle epigrafi romane. I sottili e raffinati segni minuti che le arricchiscono come musicali varianti melismatiche hanno la funzione di rendere esclusivo lo spazio della parola evocando esplicitamente la voce austera ma vibrante di chi le ha dettate.
Per le epigrafi di Damaso v anche Libri.

2014. Una delle visite più appassionanti, a Pavia, è quella alla raccolta epigrafica dei Musei civici del Castello. Sono davvero affascinanti le lastre tombali della regina Ragintruda (740-750 c), quella di Cunincperga, badessa e figlia di re Cuniperto, quella di Adaloaldo, probabilmente duca di Liguria, attribuita al 763, e quella cd del Senatore attribuita al VI o VII sec. per la raffinata struttura grafica tardoantica riconducibile non all’ambiente longobardo, ma ad incisori pavesi della corte di Teodorico (belle foto a colori delle epigrafi di Pavia in Paolo Delogu, I barbari in Italia, Archeo dossier).
Sull’argomento v anche: Filippo Bartolini, Pavia: vestigia di una Civitas antomedioevale, 2011, tesi di laurea, Pavia, con una interessante trattazione delle lastre del museo civico, e la voce Epigrafe di P. Orsatti in Enciclopedia dell’Arte Medievale,1994.

Nel portico di S Pietro si incontra l’impressionante lastra carolingia in marmo nero con l’epitaffio di Adriano I (795).

Nella grande porta bronzea di Montecassino (1066), aniconica e interamente epigrafica, si specchia il neoclassicismo di Costantinopoli.

A Pisa, murata all’esterno del Duomo, c’è la splendida epigrafe di fondazione (1064 c) redatta in una forma grafica di mediazione tra la scrittura classica e quella della littera.

La maestosa epigrafe federiciana (1238 c) della Sala del Carroccio in Campidoglio si estende nell’orgogliosa riscoperta neoclassica. La rigorosa linearità antigotica dell’iscrizione è coerente con l’estetica classicista di Federico II (v Aa.vv. Federico II e l’Italia, 1996, catalogo della mostra, Roma).

Nel cortile interno del Palazzetto di Venezia sono murate due delicate lastre in marmo bianco datate al 1200, con una raffinata scrittura in textus fractus, e un affascinante frammento di lapide del sec.VI-VII dalla grafia nervosa e disarticolata (AA.vv. Tracce di pietra. La collezione dei marmi di Palazzo Venezia, 2008).
Lì accanto, nell’atrio di San Marco, c’è un’affascinante raccolta di epigrafi che ho osservato a lungo lavorando in Palazzo Venezia. Ci sono frammenti delicatissimi di iscrizioni greche (IV-V sec.) provenienti dalle catacombe o dalla cripta della chiesa, la rara margella da pozzo (IX-X sec.) con la scabra iscrizione che minaccia di scomunica per l’abuso dell’acqua, e l’epigrafe raffinata di Paolo II (1466), impaginata nelle eleganti forme quattrocentesche.

Grandi raccolte epigrafiche si vedono nei Musei Vaticani e nei Musei Capitolini. Innumerevoli epigrafi sono nei cortili interni e negli spazi d’ingresso delle chiese romane.
Sono davvero magnifiche le austere epigrafi secentesche, di imitazione dei capitolini Fasti consolari augustei, che tappezzano le pareti della Sala dei fasti moderni in Canpidoglio, un’impressionante estensione plastica del segno grafico che colonizza l’intero spazio disponibile (v Daniela Velestino, La Collezione Epigrafica dei Musei Capitolini).
Nella facciata di s. Maria s. Minerva è murata una preziosa raccolta di piccolissime epigrafi che documentano, con una grafica da illustrazione libraria, le inondazioni del Tevere.

La forma grafica che noi chiamiamo scrittura gotica é in realtà quella della textura, littera testualis o textus fractus, come era chiama allora, e il termine gotico, spregiativo, fu introdotto nel Quattrocento non per indicare la littera moderna (usata nel Trecento anche da Petrarca e perfino dai primi umanisti toscani), ma le disordinate scritture altomedioevali visigotiche (cfr. Armando Petrucci, Lezioni di storia della scrittura latina, dispensa sd).
Uno studioso francese, R. Marichal, ha accostato questa complessa scrittura alla coeva tecnica filosofica della Scolastica, che praticava la scomposizione degli argomenti in parti separate (cfr. Petrucci), e a questo proposito è interessante notare che la grande, monumentale iscrizione federiciana posta in Campidoglio nel 1238 (Sala del Carroccio), con la sua nitida e lineare classicità si oppone alla scrittura gotica proprio come la cultura federiciana nel suo insieme si opponeva con il suo razionalismo allo spirito capzioso della Scolastica.
Le belle epigrafi in littera, con la loro potente estensione grafica, articolata come un affascinante canto melismatico materiato di continue varianti, mostrano la vivacità e l’energia creativa di una cultura europea che si stava radicalmente rinnovando negli studi e nelle forme artistiche. Il bolo rosso che riempiva l’incavo delle lettere per conferire un’accentuata visibilità al testo era in uso già dal tempo dell’epigrafia romana.

2016. La sede del Museo Nazionale romana alle Terne di Diocleziano, splendidamente restaurata, espone la sua enorme raccolta di epigrafi con una intelligente e colta sistemazione museale che include una eccellente esposizione delle tecniche di scrittura.

Vasi comunicanti. In Armonici di memoria ho inserito il rapporto che ho sempre notato tra le (rare) opere migliori di Kosuth e l’epigrafia. Prima ho messo a confronto un’opera di K del 1965 con una epigrafe su marmo nero del Seicento palermitano, poi ho accostato la bella iscrizione al neon di K (Queste cose visibili, 2001) collocata nella stazione della Metro di Napoli, alla lunga epigrafe in mosaico di S. Agnese (VII sec.) che Assunto ha commentato nel suo libro del 1961 sulla critica nel medioevo (pag.364): ‘una vera e propria critica, incorporata nell’opera d’arte, che illustra ( ) la metafisica della luce’.

La scrittura
La scrittura corsiva più interessante che io conosca è senz’altro quella di Tommaso d’Aquino, documentata in due codici della Biblioteca vaticana, che a quanto pare solamente due studiosi in tutto il mondo sanno leggere. Un sismografo emozionante, un disegno vibrante prossimo alla dissoluzione, un disegno puro scomposto in minuti frattali che può evocare solamente alcuni tratti dei disegni febbrili di Filippino Lippi. Neanche la calligrafia araba, frutto di una fin troppo intensa consapevolezza estetica, è paragonabile a questo incredibile sismografo che ha un implicito precedente storico nelle tavolette cerate romane.

La scrittura romana usuale, usata per le ricevute di pagamento o per le iscrizioni sepolcrali, costituisce una vera e propria registrazione sismografica del gesto nervoso e mostra l’impazienza di una cultura che è doppiamente materiata dalla salda energia italica e dalla vivida immaginazione etrusca.
Plauto (184 dc) scrive delle tavolette cerate (nel Pseudolos) che sembrano opera di una gallina: quindi la grafia della usuale è percepita come registrazione di segni istintivi, tracce frettolose di animali.
L’individualità è ben distinta dalla grafia epigrafica monumentale e pubblica dominante in quel contesto collettivo che Pietrucci ha chiamato ‘la città scritta’, i magnifici resti pompeiani delle iscrizioni murali romane in capitale rustica sono lo spartiacque tra l’impaziente sensibilità individuale e la leggibilità pubblica epigrafica.
Quando poi questa forma si adegua alla lettura di altri (come nel rescritto imperiale del III sec dc in corsivo) lo sciame sismico della fresca sensorialità individuale adotta le legature e la più icastica definizione delle lettere per farsi accettare come forma di esplicita comunicazione: si assiste alla stessa metamorfosi del sistema di segnatura musicale dei neumi nei segni sfumati dello spartito attuale. Questa scrittura istintiva evoca la memoria delle improvvisazioni melismatiche che Gregorio nel VII secolo ha dovuto frenare e regolamentare.
Tommaso evidentemente ha usato in privato la sua impressionante littera inintelligibilis per salvaguardare la propria opera.
La scrittura ha quindi la sua specificità nella registrazione intima dell’individualità, e questa specificità deve sempre fare i conti con la necessità di comunicare,

E’ affascinante notare come le forme grafiche legate alla sensibilità individuale riescano sempre a convivere con quelle della visibilità pubblica epigrafica dettata dalla città stessa. Nella Bibbia di Grandvcal dell’840, opera carolingia, la gerarchia della grafica editoriale assicura un passaggio logico di valori percettivi: si passa dal titolo epigrafico classico all’onciale della sezione intermedia per approdare infine alla minuscola carolina in basso. Ed è molto interessante ricordare che il corsivo umanistico nasce dalla funzionale scrittura commerciale e notarile.

Ho sempre amato molto cercare di leggere le tracce della personalità di chi scrive utilizzando l’utile testo di S. A. Bidoli, La psicologia della scrittura,1979.