Net.art
Il mondo creativo della Net.art, della computer art, e ora, da pochi anni, delle invasive tecnologie più recenti (2011), è sequestrato dallo stesso fanatismo corporativo che coinvolge la Pubblicità, la Televisione e i Fumetti, un fanatismo che impedisce di vedere distintamente i limiti culturali del contesto e quindi di darne una lettura critica accettabile.
Il fanatismo corporativo che limita una serena lettura critica della Net.art è quello stesso che ha limitato a suo tempo anche il cinema di ricerca: Alfredo Leonardi, nel suo Occhio mio dio. Il new American Cinema, 1971, non si rendeva conto della banalità sconcertante di Dog, star, man. In Metafore della visione, di Stan Brakhage, 1963, e dispiace doverlo constatare pensando alla sincerità romantica dell’autore, c’è la stessa passionale, illusoria percezione di essere sempre più avanti degli altri che si avverte ogni volta che si è in presenza della Net.art.
Una ingenua tesi di laurea su Rhizome ripete tutti i luoghi comuni sulla Net.art, che sarebbe tuttora ignorata e incompresa dai critici d’arte, la stessa sciocchezza che viene ripetuta ottusamente anche per i Fumetti, la Moda, il Cinema e la Televisione.
Con una irritante miopia, anche qui si ripete che l’arte prodotta dalla rete sarebbe l’arte del futuro (?) ignorando che intanto la tetra musica elettronica ha lasciato nuovamente il posto al pianoforte e al violino, che si pretendeva senza motivo di dimenticare, e che l’insignificante architettura disegnata col Cad sta mostrando tutti i suoi limiti e la sua banalità.
2009
La realtà nel frattempo corregge drasticamente la vuota retorica scolastica. Gli eventi di questi primi mesi del 2011 hanno rinnovato l’interesse per una comunicazione in rete autentica e necessaria con la scoperta del ruolo vitale della rete nel mondo giovanile arabo, con la vitalità dei blog nei paesi oppressi, come in Cina, con il ruolo delle riprese video dei cellulari durante la rivolta in Iran e poi durante il maremoto in Giappone.
I teorici più intelligenti intanto elaborano tesi opposte sulla positività della rete: Derrick de Kerckhove esalta la connettività, mentre Virilio mette un freno all’entusiasmo per la tecnologia.
Libri
Gli studi sulla Net.art purtroppo sono deludenti, manca del tutto una riflessione interdisciplinare che consenta di contestualizzare le opere in rete nel panorama più vasto della creatività.
Nicholas Negroponte, Essere digitali, 1995. Una percezione troppo ottimistica del contesto informatico,
Peppino Ortoleva, Mass media. Nascita e industrializzazione, 1995. Una utile panoramica del percorso tecnico dei MM.
Lorenzo Taiuti, Arte e Media. Avanguardie e comunicazioni di massa.1996. Un deprimente e altezzoso riepilogo di tutte gli stereotipi dell’arte innestata nella tecnologia senza il minimo cenno di ridimensionamento critico delle opere, che sono in grandissima percentuale illustrative, tristemente scolastiche e stupidamente demagogiche.
Telèma. Attualità e futuro della società multimediale: nel 1996 un numero era dedicato ad Arte e telematica. Segni e linguaggio, con autori vari, un convegno a favore di una lettura troppo ottimista e forse sproporzionata del fenomeno, nel segno della mitologia del continuo sorpasso del passato.
La coscienza luccicante. Dalla videoarte all’arte interattiva, Roma, 1998. Catalogo della mostra a cura di P. Sega Serra Zanetti e Maria Grazia Tolomeo, con testi di autori vari. Una mostra indubbiamente generosa e un bel libro, utilissimo per lo studio del fenomeno anche se acritico. Una sezione, Arte in web, che presentava Passages: progetto per un’immagine, di Manuela Corti.
Paul Virilio ha scritto il suo La bomba informatica nel 1999, nel momento dell’ingresso in massa in rete, evidentemente per mettere a disposizione un antidoto all’eccesso di euforia per la tecnologia.
Il libro di Marco Deseriis e Giuseppe Marano Net.Art. L’arte della connessione (anno di pubblicazione 2003, ma redatto tra il 1999 e il 2002), era disponibile gratuitamente in rete. Nel 2008, in occasione di una seconda edizione aggiornata, gli autori hanno preso le distanze dall’entusiasmo eccessivo mostrato per la Net.art (cfr. intervista su Teknemedia.net).
Gianni Romano, Artscape. Panorama dell’arte in rete, 2000. Romano è critico d’arte e docente di Mass Media e di Progettazione digitale. Il suo libro è utile e documentato, ma assolutamente privo di ridimensionamento critico del fenomeno.
Netmage. Piccola enciclopedia dell’immaginario tecnologico, Media, arte, comunicazione, a cura di Link Project (team nato a Bologna nel 1994) 2000. Inventario corporativo degli autori, privo di riflessione critica.
Silvia Bordini, Arte elettronica (Art dossier), 2000. Il museo degli orrori elettronici.
Lorenzo Taiuti, Corpi sognanti. L’arte nell’epoca delle tecnologie digitali, 2001. Un libro orrendo, un’antologia veramente incredibile di stereotipi demenziali assemblata con la grafica grottesca dei peggiori anni ’60, quelli irritanti di Marcatre. Un testo come questo, scritto da un docente di tecniche della comunicazione, fa capire come si sia sedimentata nella cultura giovanile della rete tanta mediocrità intrisa di arrogante presunzione. I libri del docente Taiuti mostrano il deprimente livello culturale di tanti nuovi creativi: frammenti epidermici da citare, mancanza di critica e di riflessione, adeguamento passivo ai dettati del mercato e della cultura egemone.
Derrick de Kerckhove, L’architettura dell’intelligenza, 2001 (collana La rivoluzione informatica in Universale di architettura). Un importante testo di riflessione che è necessario studiare bene, ma può darsi che l’intelligente dK sia troppo ottimista sul futuro della rete.
Mémoires. Cronistorie d’arte contemporanea, 1967-2007, il bel volume curato da F. Capricciosi e M. A. Schroth nel 2008, riassume l’attività espositiva di Sala 1 (con la quale ho collaborato in occasione della presentazione delle poesie di Lian). Nel 2002 la galleria ha ospitato la mostra Netizens, cittadini della rete, curata da V. Zanni.
Alessio Carolo, Arte in rete: il sito Rhizome.org, tesi di laurea, 2003. Utile ma pesante e acritico mosaico della Net.art ricostruito attraverso la vicenda di Rhizome.
Nuovi orizzonti creativi, n.19 di Storia dell’Arte, collana curata da S. Zuffi, 2006. Diego Mometti ha redatto il capitolo Net-art. Pratiche artistiche in rete, un testo purtroppo del tutto privo di annotazioni critiche, come è d’altra parte caratteristica dell’intera collana.
Marl Tribe, Reena Jana, a cura di Uta Grosenick, New Media Art, Taschen, 2006. Tribe è il fondatore di Rhizome.org (1996), Grosenick ha lavorato per Taschen alle edizioni di Art Now (dal 1999 ad oggi). Nel libro sono frequenti i riferimenti all’arte concettuale (Jana è critica d’arte), ma sono sempre riferimenti rivolti esclusivamente a dare prestigio alle opere: si nomina McLuhan a proposito della percezione dei nuovi media percepiti come continuazione di quelli che li precedono, ma non si azzardano mai riferimenti espliciti che possano ridimensionare anche minimamente le mediocri opere di Net.art. D’altra parte tutti i volumi della Taschen dedicati all’arte contemporanea seguono questa prassi dell’esposizione moderata che elude ogni severa valutazione critica.
Jodi.org
Nel dicembre del 2001 il website di Jodi.org era scosso dalla tempesta visiva che ho descritto in Jodi.org: continuità della ricerca d’avanguardia nella Net.ar.
Era ASDFG del 1998, messo in rete tre anni dopo l’inizio (1995) della sperimentazione di Joan Heemskerk e Dirk Oaesmans.
In quel momento Jodi.org mutuava le sue forme, e gli autori forse non se ne rendevano conto, dai primi film sperimentali di Man Ray e soprattutto dai film stroboscopici di Kubelka e di Conrad.
Dal 1999 quella violenta percussione ottica si è raggelata in una diversa strategia che adesso prevede lo smottamento continuo delle immagini e dei link in una slavina inarrestabile.
Nonostante il suo fascino, lo splendore di quella pura, vibrante luminosità pittorica che ho visto nel 2001 era il frutto del retaggio di forme già musealizzate dell’avanguardia precocemente invecchiata, e una volta esaurita quella fonte il manierismo più prevedibile si è ripreso il suo spazio.
Quella versione che era ancora visibile in rete nel 2001 impedisce perfino la ripresa fotografica, per ottenere delle immagini mediocri ( ) è stato necessario filmare il computer.
ASDFG era una sfida alla funzionalità informatica e alla stessa percezione, ma si trattava in realtà solamente del residuo storico del cinema stroboscopico.
Per quanto ne sappia io, in questo momento (2016) una Net.art creativa e non limitata dal più demagogico contenutismo sociologico ancora non esiste.
Forse anche la Net.art, come la computer art, aspetta il suo Cezanne, ma questo contesto creativo potrebbe anche finire insabbiato e spengersi come è accaduto alla squallida musica elettronica, alla cd poesia concreta e al tedioso design avveniristico che continua ad annunciare il suo avvento (?) dalla fine dell’Ottocento.
Niente fa credere davvero che il futuro sia affidato alla rete; anzi, la possibile guerra informatica che potrebbe scatenarsi nei prossimi decenni rischia di vanificare questo incauto investimento di ottimismo basato sul culto ingenuo di un progresso rivolto solamente alla quantità e mai alla qualità.
Quindici anni fa, nel 2001, scrissi che un antidoto all’intossicazione dovuta alla rete veniva offerto dall’irriproducibilità tecnica delle installazioni post concettuali; oggi (2016) penso invece che il ritorno artigianale della figurazione storica e la potente ripresa del romanzo costituiscano un antidoto alla rete ancora più efficace.
A parte il caso di Jodi.org, le opere più note della Net art non sono materiate di creatività che in minima parte, quindi sostanzialmente non sono opere d’arte ma documenti funzionali, atti pratici e ambigui della burocrazia autoritaria della cultura egemone: può sembrare ingiusto e paradossale affermarlo, eppure le opere di Manetas e di altri si limitano a specchiare fedelmente ciò che pretendono di avversare, e mostrano di essere profondamente radicate nella natura stessa della connettività, che è quella della sopravvivenza e dell’energica difesa dei privilegi, non di una inesistente, demagogica e impraticabile libertà d’espressione.
Per la Net.art viene sempre evocata la tradizione Dada, ma la matrice formale è invece quella del lascito Bauhaus innestato nella superficialità demagogica e vittimistica di Fluxus (v Fluxus, catalogo della mostra, Roma, 1990), mentre la matrice profonda resta comunque il Simbolismo, con la sua sfuggente e morbosa spiritualità intrisa di anarchismo aristocratico.
Nel 2001 ho citato per Jodi.org Le retour à la raison di Man Ray del 1923, per il montaggio casuale e incontrollato che riduce l’immagine a frammenti luminosi e a schegge inerti, e il cinema stroboscopico degli anni ’60 di Peter Kubelka (Arnulf Rainer, 1958-60) e di Tony Conrad (The Flicker, 1966).