Filosofia
A quindici anni (1962) ho letto un articolo su Thoreau in Selezione, ‘Thoreau, il solitario di Walden’, e nello stesso numero della rivista, subito dopo le pagine su Thoreau, c’era un articolo che confermava un comportamento che io vivevo già intensamente: ‘Non fatevi influenzare dai luoghi comuni’. Negli anni seguenti cercai in una biblioteca di quartiere Walden e I Diari: avevo trovato il mio filosofo.
Walden, ovvero vita nei boschi, 1854, a cura di P. Sanavio, 1964, il primo grande libro della mia vita; niente mi ha influenzato nelle mie scelte come questo libro, unitamente ai Diari.
Quando poi mi occupai a lungo di John Cage scoprii con piacere che anche lui era sempre stato un discepolo di Thoreau, come lo era stato anche a suo tempo un affascinante musicista di inizio Novecento, Charles Ives.
Ho provato subito una grande familiarità con pensatori come McLuhan, che hanno ignorato le ovvietà della cultura scolastica praticando fino in fondo una lettura critica lucida e coraggiosa, sfidando un limite potente, quello della presunta incomprensibilità.
Dal 1974 in poi Gli strumenti del comunicare (1964) è stato uno dei libri fondamentali per la mia educazione.
Quando ho letto per la prima volta l’Amleto ho pensato che un’opera di letteratura e di teatro può contenere dei pensieri filosofici anche più densi di quelli formulati dalla filosofia stessa, e oggi ne sono più che mai convinto. E’ da allora che penso al terreno di confine abitato dal pensiero poetante al quale ho dedicato il lungo saggio messo a dimora nel cuore di Principi.
Poi sono arrivati i libri della riflessione più radicale, ho letto prestissimo, da ragazzo, Aesthetica in nuce (1928) di Croce, che mi affascinava per la chiarezza della scrittura e per l’irripetibile freschezza del ragionamento logico.
Ho scoperto presto come il pensiero di Eraclito sia sempre attuale (Eraclito, a cura di G. Giannantoni, in I presocratici. Testimonianze e frammenti. 1981).
Una delle emozioni intellettuali più intense della mia vita è legata alla lettura de Gli eroici furori (1585) di Giordano Bruno.
La nascita della filosofia (1975), di Giorgio Colli, è un libro magnifico che mi ha offerto una splendida introduzione al pensiero filosofico.
Con Antologia plotiniana (1971) di Vincenzo Cilento ho incontrato l’intensità straordinaria e delicatissima di Plotino (Enneadi, 1992, a cura di Giuseppe Faggin).
Ne Le confessioni (397) di Agostino di Ippona c’è un luminoso laboratorio di pensiero filosofico, un congegno costruito con grande freschezza immaginativa e destinato al puro accorgersi delle cose. Agostino era debitore evidentemente dell’ipersensibile introspezione di Plotino.
La fenomenologia
Nel Diario fenomenologico di Paci (1961), che ho letto prestissimo, ci sono delle interessanti pagine su Ulisse di Joyce. Ne ‘la spiaggia’ Paci legge una ‘vera e propria analisi fenomenologica delle cinestesi ( ) Joyce conosceva Ideen I? ( ) E’ possibile ( ) leggere tutto l’Ulysses in chiave fenomenologica’.
Il Diario è una fonte di bellissime riflessioni: ‘4 maggio 1961. Ieri è morto Merleau-Ponty. Comprendere Husserl, dice Merleau-Ponty, è farlo rivivere in noi oggi ( ) In Husserl, in Merleau-Ponty, in noi, una continua correzione ‘.
Il libro che Maurice Merleau-Ponty ha dedicato nel 1964 a Cezanne, L’occhio e lo spirito (it. 1989), è il testo filosofico sull’arte più intenso ed emozionante che io abbia mai letto (2005)
Ho scoperto Merleau-Ponty con il bellissimo libro antologico di Franco Fergnani, Il corpo vissuto, 1979.
Con il suo splendido Fenomenologia della musica radicale (1974), materiato dalla freschezza della sua lettura fenomenologica, Luigi Rognoni corregge la tetra e scostante ossessione accademica di Adorno per il linguaggio involuto di imitazione hegeliana.
Filosofia e Arte
Argan, con la sua Storia dell’arte italiana (1968) ha proposto a suo tempo una critica interdisciplinare capace di coniugare filosofia e arte, un progetto che purtroppo oggi (2009), nonostante la sua straordinaria fertilità, sembra del tutto eclissato.
La sua proposta, assieme ai testi di Assunto e di Zevi, poteva costituire per la cultura italiana il più efficace accesso a un territorio di confine che per adesso sembra invece parzialmente abbandonato e comunque fonte di troppa confusione.
Ho incontrato troppo tardi le opere di Rosario Assunto per esserne influenzato, però mi ha confortato sapere che qualcuno ha creduto fino in fondo nella possibilità di ricostruire i rapporti tra arte e filosofia attraverso l’intuizione e le ipotesi critiche. Questo pensatore straordinario è assolutamente sconosciuto ai giovani studiosi di arte che ho conosciuto lavorando nei Beni Culturali (2008).
Ho dedicato ad Assunto la conferenza su Tommaso e l’arte figurativa che ho tenuto a Roccasecca nel 2005. Alla fine della conferenza una donna del posto, una pittrice non professionista, mi gratificò dicendomi che aveva capito, per la prima volta, che cosa fosse davvero il colore.
Le opere dedicate all’arte, al cinema, al teatro e alla letteratura da Deleuze e da Derrida sono senz’altro da studiare con attenzione perchè sono ineludibili per la comprensione della situazione attuale del pensiero (2011), penso però che Derrida abbia ripercorso i linguaggi aperti (Joyce, Heidegger, Artaud) per cercarne una radice da assimilare, e che Deleuze abbia indagato, e rivissuto freneticamente, i linguaggi dell’accentuazione viscerale (Artaud, Bacon) per impossessarsene. Forse questi due filosofi sono stati, magari anche generosamente e inconsapevolmente, i cauterizzatori accademici di ferite irrimarginabili e forse hanno svolto il compito di normalizzare dei traumi profondi che altrimenti non potevano essere assorbiti e neutralizzati dalla cultura egemone.
All’inizio ho creduto che quei due pensatori potessero essere per me dei grandi, possibili amici. Uno delicato e volutamente fragile, Derrida, l’altro avventuroso e coraggioso, Deleuze, ma adesso sospetto in loro l’autoritaria arroganza del voler essere sempre un passo avanti agli altri, e può darsi che proprio il loro discutibile rapporto con l’arte sia rivelatore dei loro limiti (cfr. Vitalità del pensiero poetante)
Vasi comunicanti. Con Vitalità del pensiero poetante ho raccolto, spero utilmente per chi studia la creatività, il frutto di anni di osservazioni empiriche; ne deriva una mappa, consapevolmente limitata, che forse può essere uno strumento utile per avviare, o continuare diversamente, l’esplorazione del difficile territorio di confine tra arte e filosofia. In questo capitolo di P cerco di documentare il contrappunto di forme creative e di pensieri filosofici che non sempre hanno stabilito un dialogo diretto tra di loro perché rappresentano spesso le diverse sfumature concettuali di uno stesso humus culturale disseminato nel tessuto connettivo dell’esteticità diffusa.
L’espressione Pensiero poetante è stata usata da Rosario Assunto e più recentemente da Antonio Prete, autore de Il pensiero poetante, saggio su Leopardi, 2006.
2010
Le occasioni sprecate della divulgazione
Il libro di Lucie-Smith, Arti visive del XX secolo (1996-2000) é un esempio di quanto nei testi divulgativi i riferimenti filosofici possano essere evasivi ed epidermici, inconfrontabili con quelli puntuali e colti che Argan ha inserito nel suo manuale di storia dell’arte del 1970.
Nel libro di LM non sono mai citati Deleuze e Liotard; Derrida è citato solo occasionalmente, e sono del tutto assenti la fenomenologia e Merleau-Ponty (2003).
Una studiosa colta e intelligente come Angela Vettese ha lasciato che gli scarni riferimenti alla filosofia in La grande Storia dell’arte (2005), da lei curata, siano condizionati da incredibili banalità: l’angoscia esistenzialista, illustrata da una foto di G. Greco, sarebbe stata caratterizzata dalla ‘moda dei maglioni e giubbotti neri’; il Postmoderno viene indicato erroneamente come pensiero dominante dagli anni ’80 in poi; laddove si parla di Decostruttivismo in architettura Derrida non viene neanche nominato.
Sono segni inequivocabili di una volontà di minimizzare l’apporto del pensiero a favore di un’arte che sarebbe ormai (una inverosimile) autonoma filosofia. A pag. 203 infatti si legge: secondo ‘il pensiero di Joseph Beuys ( ) ribaltando il pensiero di Hegel, l’arte verrebbe dopo la Filosofia e la religione come tappa più alta dell’espressione del pensiero’.
Un manuale scolastico, AA.v. Il pensiero plurale, ha tentato recentemente (2008) un inedito e serrato contrappunto tra filosofia e creatività, ma nonostante l’intera l’opera sia insolitamente arricchita da continui riferimenti all’arte e alla letteratura, l’opera purtroppo non riesce a suggerire nessun legame concreto tra arte e filosofia. Gli autori si affidano a suggestioni del tutto epidermiche, e vengono utilizzate opinioni di altri senza citare la fonte. C’è un esempio rivelatore di questa inutile ortodossia che non osa mettere in discussione gli stereotipi più logori: la Ruota di Duchamp sarebbe una ‘parodia di sé stessa’ (?).
Il paragrafo finale del testo (In che direzione va la filosofia oggi?) è veramente sconcertante. Nonostante sia stato redatto di recente, nel 2008, espone una miope contrapposizione tra una presunta filosofia concreta e impegnata e una altrettanto presunta filosofia nata dal cd nichilismo. La filosofia di Deleuze è del tutto ignorata, Derrida è associato incongruamente al Postmoderno, che sarebbe la filosofia della crisi da superare.
Un’antologia di scontati e vieti stereotipi.
D’altra parte anche il manuale Philosophica, curato da autori vari, edito un anno prima (2007), è il frutto di uno sterile tentativo di far dialogare forzatamente le immagini dell’arte con il pensiero filosofico tramite una sezione di ‘filosofia per immagini’ che non fa altro che perpetuare stereotipi ormai logori: Guernica mostrerebbe ‘la forma di una carneficina’(v Armonici di memoria per una diversa interpretazione di questo dipinto), le illustrazioni di Magritte sarebbero legate allo ‘smascheramento del reale’; le puerili illustrazioni di Escher permetterebbero la coesistenza conflittuale di ‘mondi impossibili’; secondo i curatori il modesto Blow up di Antonioni mostra la ’realtà sfuggente’; il divertente e superficiale Matrix è accostato al ‘genio maligno cartesiano’ che può ingannare la percezione del mondo; l’illustrativa Persistenza della memoria di Dali rievoca ‘tempo e memoria’,
da Platone a Bergson; un modesto dipinto di Casorati (L’Attesa) sarebbe legato ingenuamente ad un angosciante ‘tempo dell’attesa’; i tagli di Fontana evocano la ‘quarta dimensione’, perché i ‘buchi e squarci ( ) suggeriscono il passaggio in un luogo altro, in un’altra dimensione, proprio come i buchi neri dell’universo’(?); l’insipido 2001 Odissea nello spazio mostra ‘la prospettiva circolare del tempo oltreumano’, tra Heidegger e Nietzsche; il piacevole e ingenuo Minority Report sarebbe legato a Merleau-Ponty e alla fenomenologia della percezione (!).
Una triste antologia di tutti gli stereotipi che hanno colonizzato e ipnotizzato a lungo la cultura critica, trasmessi purtroppo da un testo scolastico che dovrebbe educare ad una riflessione emendata dai luoghi comuni più scontati.
Croce e la Scienza
Come è noto, il filosofo viene spesso accusato esplicitamente di aver contribuito alla scarsa diffusione della cultura scientifica in Italia.
Ora, l’atteggiamento di Croce verso la Scienza in effetti è stato discutibile, ma gli studiosi ostili sembrano vittime, nonostante siano spesso intelligenti e sinceri divulgatori della cultura scientifica, dell’ipnosi irresistibile che acceca la percezione concreta delle figure troppo storicizzate.
Basta riflettere: se la cultura italiana dell’inizio del Novecento non ha saputo integrare il pensiero scientifico nel suo tessuto connettivo non è certo colpa del solo Croce, evidentemente, che ha dichiarato, inopportunamente, certo, ma coerentemente con il suo pensiero della specificità, che la scienza e la matematica non sono filosofia.
Croce in realtà ha sostenuto la specificità delle forme particolari della cultura, e il fatto che dopo di lui si sia affermata con quella forza trascinante l’ideologia fascista e non il (suo) pensiero liberale e storicistico dimostra evidentemente che il suo influsso sulla società concreta del tempo non era poi così potente, quindi come avrebbe potuto ostacolare nella sua realtà materiale il progresso di una cultura scientifica che veniva fecondata dalla stessa irresistibile necessità tecnica del tempo e che stava portando ai risultati di Fermi e poi a quelli straordinari di Olivetti ?.
Vige ancora una ingiustificabile sopravvalutazione del presunto potere dei filosofi idealisti, una ingenua percezione del significato della cultura stessa che sembra costituire un indiscutibile e irrinunciabile valore positivo e non un articolato insieme di eventi anche contraddittori diffuso e disperso ben oltre i rigidi confini della professione accademica e universitaria.
Altri studiosi però negano che Croce e Gentile abbiano ostacolato (?) la Scienza, che nel primo Novecento ha raccolto i suoi successi più importanti a cominciare dai nobel per la medicina a Golgi nel 1906, a Marconi per la Fisica nel 1909 e a Fermi per la fisica nel 1938; Gentile nel 1925 è direttore della Treccani, fondamentale per la conoscenza scientifica, e chiama il matematico F. Enriques a dirigere la sezione Matematica coordinando il lavoro di studiosi come Amaldi, Castelnuovo e Fermi; nel 1928 poi G è direttore della Normale di Pisa dove fonda la ‘domus galileiana’, importante centro di studio scientifico; nel 1923 nasce il CNR, nel 1926 l’Istituto di Statistica e l’Accademia d’Italia, nel 1927 l’Istituto delle Scienze, nel 1939 l’Istituto nazionale di alta matematica.
Il declino della Scienza italiana, come è stato notato, è avvenuto negli anni ’60, lontano dalla presunta influenza idealistica. Ed è stato osservato opportunamente che la distinzione di Croce tra Scienza e Filosofia si basava sulla scienza di impianto newtoniano e che solamente gli sviluppi recenti ‘non sono più legati al meccanicismo di Newton, con concetti che si convertono in pura filosofia’ (Corrado Ocone, 2012).
Vedi i testi in rete di Giuseppe Gembillo 1997, Alessandra Tarquini 2012, e di Corrado Ocone 2012, e di Giuseppe Galasso e Corrado Ocone su IlSole24Ore, 2012.