Un progetto irrealizzato in S. Maria in Vallicella
‘Si lascia ogni cosa rustica’, si lamentavano gli oratoriani del tempo di Filippo Neri (+ 1595) nello spazio disadorno della Vallicella che il pauperismo filippino prevedeva privo di decorazioni. E come fosse l’aspetto di questo ambiente rustico lo dice un dipinto di Sacchi che mostra l’interno della Vallicella nel 1622, con i suoi spazi ancora leggeri e scarni in attesa della violenta trascrizione barocca di metà secolo.
Ma il pauperismo di Neri è meno drastico di quello imposto al nord da Carlo Borromeo che nel 1577 aveva prescritto per lo spazio religioso un’estrema povertà decorativa.
Quando arriva alla Vallicella La Visitazione, la tela di Federico Barocci dipinta per l’Oratorio nel 1586, Filippo Neri sembra trovare in quella ‘maniera sì bella sfumata, dolce, e vaga’, uno straordinario equivalente visivo del suo conciliante dialogare agostiniano .
‘Dell’immagine di quel quadro era tanto divoto per la divozione, che anch’esso in se contiene, che quasi del continuo egli stava in quella cappella a far le sue orazioni’, scrive Baglione.
Quasi del continuo: l’ipersensibile Filippo Neri è stregato da una intensissima pittura tonale, da un’insolita e tenera stratificazione di velature, dall’addensarsi seduttivo di impreviste sfocature materiche, è stregato dall’opera di un pittore dolce e stremato che il lascito correggesco ha educato intimamente ad una delicatissima, emozionante pittura tonale.
E questo interesse, questa comprensione profonda che Filippo sembra avere per la pittura di Barocci, è un caso straordinario di coincidenza tra un progetto culturale di grande portata, lo spiritualismo tollerante con il quale Neri affronta la durezza dell’ultimo decennio del Cinquecento, e quella che poteva essere una grande pittura tonale del Seicento in alternativa al teatrale naturalismo caravaggesco, all’espansa polimatericità barocca e alla plastica durata del Classicismo.
Neri con la sua vivida ipersensibilità sostiene il linguaggio di Barocci, lo giustifica, la sua è una forma di quella critica in azione che Rosario Assunto individuava nel comportamento dei pensatori capaci di condizionare le scelte estetiche dei loro contemporanei.
Ed è questa giustificazione culturale che permette agli oratoriani di commissionare al Barocci, anche dopo la morte di Neri (1595), un intero ciclo pittorico che sarà realizzato solo in parte: dovevano essere tre grandi dipinti poggiati nello spazio disadorno dell’abside e del transetto, inizio e conclusione del ciclo mariano che percorre l’intera navata passando per il suo momento più intimo, la Visitazione del 1586.
Nell’Incoronazione della Vergine (1606), unica delle tre tele realizzate, la figurazione è sfocata e progressivamente cancellata; dalla messa a fuoco del primo piano alla cavità scavata nel fondo del dipinto da infinite modulazioni tonali domina anche qui la dolente revêrie che aveva sedotto Neri di fronte alla Visitazione. Attorno a questi dipinti di Barocci si può immaginare solamente un grande spazio svuotato, con superfici capaci di captare e trasmettere l’onda inerte del liquido mosaico tonale versato, disperso, nei quattro dipinti mariani. Come un vasto silenzio esteso sul suono di una viola da gamba.
Il toscano Filippo Neri avrà rivissuto forse il casto spazio tonale della fiorentina San Lorenzo, avrà vissuto la revêrie irresistibile e fascinosa di una vasta cavità architettonica uniforme e continua capace di estendere le gradazioni tonali del suo tessuto epidermico e della sua profondità atmosferica fino alla grana più minuta dei dipinti di Barocci.
Poteva essere l’avvio di un grande progetto di spazialità pittorica antiretorica, accanto ai preziosi e isolati testi plastici redatti nei primissimi anni del Seicento come la Cecilia di Stefano Maderno (1599-1600, S.Cecilia in Trastevere) e la Marta di Francesco Mochi (1610-1613, Sant’Andrea della Valle), che sono pensati come la pittura di Barocci in termini di delicatissime, compresse modulazioni tonali, ma già nel 1608 è scavata nella Vallicella, con la cappella funeraria di Filippo, una nicchia di ossessiva stratificazione astratta, una fossilizzazione che contraddice e cancella (che inizia a cancellare) quel progetto latente di uno spazio pittorico tonale casto e fluido, in preparazione dell’inevitabile gesto deformante dell’intervento barocco.
1995 – 2001