Altdorfer e Seghers

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Altdorfer e Seghers. Grandi lirici segreti nella pittura del Cinquecento e del Seicento

Albrecht Altdorfer, Natività, 1507, Brema

Albrecht Altdorfer (1538) e Hercules Seghers (1640) sono due insegretiti prìncipi dell’esilio, due pittori che sopravvivono quasi invisibili nelle pieghe della pittura europea ai due poli estremi di un secolo.
Due grandi lirici amari sempre coinvolti in una spasmodica ricerca di intensità e sempre indifferenti allo spettacolo troppo facile del racconto coinvolgente. Sempre sul punto di implodere definitivamente nell’inquietante cavità di una irreversibile introspezione.
Il risultato del loro lavoro poetico è una pittura in versi che si ritrae dignitosa nel magma di un’intensissima, oscura visualizzazione, alla ricerca di una bellezza austera e duratura. La figura umana nell’opera di questi due pittori viene quasi cancellata e lascia una ferita incurabile nel tessuto del racconto.

Altdorfer, Notte santa, 1518-1520, Vienna

Altdorfer scrive le sue pagine più intense in poche opere di piccole dimensioni. Nel 1507 sperimenta con la Natività la forma di un’amara e dissociata disgregazione materica, nel 1511 dipinge un’altra Natività dove i pochi segni antropomorfici ancora riconoscibili sono sequestrati in un telaio informale e sordo di segmenti spezzati. Nella Notte santa (1520) chiude la luce nella morsura acida di un tessuto sfatto dove i segni sono decentrati caoticamente in un esasperato e febbrile graffito epidermico.

Altdorfer, Il Danubio presso Sarmingstein, disegno1511, Budapest

Nel disegno del 1511 con Il Danubio presso Sarmingstein una grafia isterica graffia rabbiosamente la materia, in profili sfrangiati che denunciano l’attività di un sismografo con il quale si corrode astiosamente l’integrità stessa dell’immagine.
Atldorfer è uno di quei pittori nordici che hanno rifiutato l’educazione a contatto della figurazione italiana. Qualcosa lo trascina dolorosamente verso uno spazio visivo sordo e ferito ma eccezionalmente vivido, verso un affascinante spazio poetico ridotto a segni quasi indecifrabili, con un lirismo che condivide con altri pittori straordinari, come il visionario Hans Leu (1531) del Paesaggio di montagna con lago, che introduce un’intollerabile, incattivita dissonanza con le sue melanconiche forme alluvionali.

Hans Leu (+1531), Paesaggio di montagna con lago, studio preparatorio, primo decennio del XVI sec., Basilea

A volte, in certa pittura tra Cinquecento e Seicento, si sfiora la possibilità di uno spazio svuotato e lirico, ma non si abbandona mai il perno visivo della presenza umana, che sembra essere ineludibile: nella Santa Maria Egiziaca di Tintoretto (1587) lo spazio è plasmato con forza, ma il segno figurativo e prosastico non può essere cancellato, come non poteva essere cancellato nel piano combusto e massivo del Martirio di San Lorenzo (1549) di Tiziano e neanche nei notturni più amari di Jacopo Bassano come il Trasporto di Cristo (1574).
El Greco sembra sempre sul punto di approdare ad una radicale aniconicità con i suoi dipinti del 1610-1614; Adam Elsheimer (1640), così isolato nella Roma secentesca, ha logorato a modo suo la prepotente presenza umana nella pittura, riducendo a volte le icone antropomorfiche a lacerti spinti di lato dal dilatarsi stesso dello spazio. Si avverte un’intensa nostalgia per una pittura tendenzialmente priva di presenza umana nell’opera di uno dei più sensibili pittori antibarocchi del seicento italiano, Salvator Rosa (1673): il suo Paesaggio con soldati e cacciatori del Louvre è materiato da un’acuta e dolente necessità di svuotamento lirico.
Ma a distanza di un secolo dalle incredibili tavole di Altdorfer c’è un solo pittore europeo capace di pensare davvero ad uno spazio disancorato dall’ossessione figurativa e narrativa, Hercules Seghers (1640).

Negli anni ’50 un articolo della preziosa rivista interdisciplinare SeleArte di Ragghianti, L’enigmatico Seghers (1955), metteva in luce l’esistenza di questo straordinario lirico segreto che ancora oggi continua a essere quasi sconosciuto.

Hercules Seghers, Paesaggio di montagna, incisione, Ermitage

Nell’opera di questo emozionante prìncipe dell’esilio si insinua quasi inavvertitamente qualcosa che agisce sottilmente sulla sua immaginazione, qualcosa che la ricerca storica forse non può ancora documentare con chiarezza, un influsso che proviene dall’esterno della tradizione figurativa occidentale attraverso la più estrema pittura cinese. Perché è la pittura cinese che suggerisce (che giustifica) per questo raro pittore un’inedita ricerca di straniante aniconicità.

Hercules Seghers, Paesaggio montuoso con carreggiata, 1620 c.

Il suo Paesaggio montuoso con carreggiata e il suo Paesaggio roccioso con mulino a vento, due incisioni del 1620 c. dove si sovrappongono sperimentalmente varie tecniche d’incisione, sono la cuspide estrema di una smaterializzazione senza precedenti. Siamo davanti ad una parete scabrosa dalla quale è stato strappato senza esitazione l’affresco della figurazione, e ciò che resta è una cicatrice disseccata. Qui è stato ansiosamente cancellato tutto ciò che poteva disturbare una concentrazione percettiva mai vissuta prima così acutamente, con un abbandono purissimo all’impronta materica, verso la concretizzazione irripetibile della rêverie di un mondo disabitato, ma ossessivamente vibrante.

H. Seghers, Paesaggio Montagnoso

E anche il Paesaggio montagnoso dipinto ad olio da Seghers registra nella filigrana trasparente del suo tessuto una scelta quasi irrevocabile di onirica trasfigurazione materica.

Fan K’uan, Paesaggio, inchiostro su seta, sec. XI, Boston; H. Seghers, Roccia con castello, incisione

La Roccia con castello dichiara fin troppo esplicitamente la derivazione dalla più lirica pittura cinese.
Di fronte a pagine come queste anche lo splendore delle incisioni e dei paesaggi di Rembrandt, che ammirava e collezionava Seghers, appare limitato dalla vocazione irrinunciabile al racconto, mentre i confronti scolastici che sono stati fatti con le esercitazioni più banali della contemporaneità, con le mediocri opere materiche di Dubuffet e con i frottage di Ernst, fanno sorridere per la loro disarmante ingenuità.

Fan K’uan, Paesaggio, sec. XI

Solo la conoscenza di opere maestose come quelle di Fan K’uan (sec.XI) possono giustificare la visionaria dilatazione dello spazio delle opere di Seghers. Per trovare un equivalente dello scenario secentesco inciso da Seghers si deve ripercorrere il sentiero che porta dalla magnifica pittura di Fan K’uan e di Hsia Kuei alla visione sconvolgente del Paesaggio invernale di Sesshu (sec. XV).

Hsia Kuei, Parlando sotto un pino, sec. XIII; Sesshu,Paesaggio invernale, sec. XV

Il magnifico Paesaggio roccioso con mulino a vento (1620 c.), riprodotto sulla copertina di questo libro, condensa tutta l’estrema, emozionante purezza alla quale può arrivare colui che crede fino in fondo nella realizzazione del sogno di una creatività che non ha bisogno di essere illustrazione di qualcosa per essere invece una sempre più stuporosa esperienza di qualcosa.
1993-2002