Street Art
Questo testo è la riduzione di uno studio molto più dettagliato e adeguatamente illustrato
La Street art cresce in questi primi anni del XXI secolo come naturale e macroscopica estensione della pittura ibridata dei non professionisti e il suo sviluppo frenetico coincide con il graduale ritorno, nell’ambito del professionismo ortodosso, della figuratività tradizionale che ormai prende il posto della stanca arte tardoconcettuale tenuta ancora in vita dall’accanimento terapeutico del mercato e dell’agguerrita critica corporativistica.
Il limite della SA: la sudditanza alla più banale divulgazione degli stereotipi, con forme ricalcate o ripetute all’infinito che si offrono demagogicamente come icone popolari riproducibili da chiunque.
el Seed, quartiere copto di Manshiyat Naser, Il Cairo, con una frase copta leggibile solamente dall’alto
L’unica eccezione di qualità, a questa data (3. 2016), è l’opera straordinaria realizzata a Il Cairo dal tunisino eL Seed.
La morfogenesi
Il contesto che ha reso possibile la crescente divulgazione e la grande attenzione per la SA è facilmente ricostruibile, dato che in questi anni è stato possibile viverlo giorno per giorno, ma è necessario prima riepilogare sinteticamente ciò che è possibile dire con chiarezza sulla morfogenesi di un’arte popolare novecentesca destinata a svilupparsi con la sua invadente e ambigua ipertrofia nel corso del XXI secolo.
Questo vastissimo movimento, gratificato da una fin troppo calorosa accoglienza popolare, è materiato di forme che si pongono come mediatrici tra la cultura del medio professionismo illustrativo e le innumerevoli espressioni dell’improvvisazione popolare, e la simpatia che queste forme stanno riscuotendo è legata evidentemente anche al distacco che c’è stato tra la SA attuale e le violente iscrizioni a spray che si limitano a sfregiare istericamente la città con una stupida e irrazionale aggressività tribale.
La SA in questi anni di inizio secolo sta occupando nella creatività il posto che corrisponde a una diversa partecipazione popolare alla vita sociale, accanto a fenomeni altrettanto problematici e infestanti come la fruizione incontrollata della rete, l’irrefrenabile diffondersi del populismo, l’ossessiva comunicazione telefonica, l’ossessione patologica del fotografare, la tecnica artigianale dei video da cellulare; e la crescita della SA è legata evidentemente anche al giustificato malessere collettivo per il disastroso dominio del mercato e della finanza, mostrando il fenomeno inequivocabile di una preferenza accordata a un linguaggio vernacolare che viene avvertito come una liberazione dalle troppe assurdità post concettuali imposte con prepotenza dal mercato.
Il ritorno irreversibile della figurazione. prima con Bacon e Freud e poi con Kiefer e Kentridge, protagonisti anche per quella parte del mercato che si prepara a investire nelle nuove forme, comporta la valorizzazione della massima leggibilità e quindi anche della SA, della Graphic novel, della narrativa più illustrativa, del Rap e delle serie televisive.
La SA non è certo l’arte del XXI secolo, come viene ingenuamente definita, però è sicuramente una componente vitale di un processo più esteso che sta portando rapidamente a una forma di esteticità diffusa caratterizzata dalla più larga accessibilità popolare e coerente con il processo in corso di recupero del lascito figurativo e narrativo tradizionale.
2016
L’arte popolare nel XXI secolo
Prima di tutto c’è da riflettere sul fenomeno della rapida concretizzazione di un linguaggio internazionale popolare che cresce nella landa sterminata dell’arte spontanea dei non professionisti, che la cultura egemone ha sempre considerato come sgraditi intoccabili.
In questo grande deposito dei segni, abbandonati nella decantazione dall’arte del professionismo ortodosso, si sono formati gli strati di una cultura popolare contemporanea che continua nel tempo una lunga storia che vale la pena di riassumere sinteticamente.
L’arte popolare si è sviluppata con la persistenza storica dell’arte blebea romana, che nell’alto medioevo si innesta nell’eclettismo degli stili periferici europei, irlandesi, copti, palestinesi, danubiani, fino a sedimentarsi nel territorio di una vastissima fascia intermedia che idealmente può essere visualizzata nel contrasto che c’è tra il percorso dei pellegrini, scritto in termini di arcaismo eclettico popolare, e le forme ermetiche e sofisticate, le chiese con le urne delle reliquie, che si collocano al punto di arrivo dei percorsi: un fenomeno che nel medioevo si sviluppa parallelamente a quello che vede la tenda nomade del mondo arabo arredarsi con il tappeto da preghiera (popolare) collegato alla forma intermedia colta (la maiolica raffinata del mirhab) per affacciarsi idealmente sullo spazio esoterico della k’aaba.
Queste forme popolari sono destinate nel corso del Quattrocento a mutare morfologicamente: la xilografia e la stampa meccanica permettono di accedere a forme ripetitive già pronte che non richiedono nessuna preparazione tecnica particolare, e il mondo popolare può cominciare ad avere i suoi aedi locali capaci di dedurre dalle xilografie le forme schiette degli ex voto (rimando a quanto ho scritto a suo tempo sull’arte popolare nel Quattrocento e sulla morfologia del Fumetto), e in questo modo la cultura popolare può anche continuare a mantenere in vita le declinazioni della persistenza neolitica con le teste apotropaiche, le decorazioni urbane e le figurazioni legate ai culti e ai riti agrari.
Nel mondo popolare si è creata così una linea di demarcazione, che non è una frattura, tra la persistenza neolitica, retaggio di una forma internazionale che non è mai stata arte popolare, ma arte istituzionale della cultura neolitica, e una forma di arte ibridata che deve essere considerata non del popolo, ma per il popolo, delegata ai professionisti medi e ai pittori locali che sono da sempre i mediatori e i traduttori in vernacolo delle forme urbane in arrivo alla periferia attraverso le stampe e i modelli normativi collocati nelle chiese più importanti del territorio.
In questo contesto storico, i dipinti murali dei piccoli paesi (v Paolo Ramundo, L’asino che vola, 1977) hanno la loro matrice storica nella tradizione delle gigantesche figure di santi dipinti nel Trecento e Quattrocento all’esterno delle chiese, soprattutto con l’icona di S Cristoforo.
Poi attraverso l’enorme diffusione, tra seicento e ottocento, delle stampe viene creata dall’alto una cultura popolare ibrida nella quale confluiscono i resti devitalizzati di tutto ciò che la cultura dominante non vuole più utilizzare; non sorprende quindi trovare nel Novecento una landa sconfinata di residui di tutte le forme creative sviluppate nel corso del secolo, con un falso espressionismo, un patetico impressionismo, un ridicolo simbolismo, un erotismo involontariamente comico, e addirittura l’eco patetica dell’arte concettuale, con una confusa e paradossale sovrimpressione dell’arte prodotta dal disagio psichico.
Quando in questo contesto di funzionale eclettismo popolare viene usata la fotografia, soprattutto nelle prime foto cimiteriali, questa tecnica assolve la stessa funzione che nel passato avevano le copie desunte dalle stampe dei dipinti urbani perché facilita l’impiego di forme stereotipate e rigide, già preformate, che non richiedono nessun sapere tecnico esecutivo né tanto meno lo studio del disegno e dell’anatomia.
E’ fin troppo facile scoprire nella foto qui riprodotta la matrice formale dello stencil usato nella SA.
Comprendere quindi il motivo per cui oggi interessa tanto il caso di un autore come Banksy è molto semplice: il suo utilizzo sistematico della sagoma ritagliata si associa coerentemente, come modulo ripetibile, ad un’antologia di stereotipi con la quale vengono inventariati tutti i luoghi comuni più banali che la cultura egemone propone al nuovo contesto popolare, dalla bambina che perquisisce il soldato israeliano alla formula della Relatività di Einstein, forme di facile comprensione e disponibili a essere cartoni per uno stile imitativo, materiate di contenuti di scontata demagogia e di sostanziale complicità con il potere che si finge ipocritamente di contrastare, segni fin troppo scoperti di un imbarazzante desiderio di entrare prima possibile nelle gallerie, nelle collezioni private e nei musei, come infatti sta avvenendo in questi anni per Banksy.
La morfologia
L’uso intensivo dei tatuaggi e delle pettinature di foggia amerinda, il gergo giovanile, attestano la crescita di gruppi di giovani associati in forme tribali, e le scritte urbane, i tags, sono i segni che queste tribù lasciano per segnare il terreno. La prima SA si emancipa da queste squallide scritte a spray spontanee guardando alle illustrazioni delle innumerevoli pubblicazioni cartacee underground, che si avvalgono a loro volta della grafica della satira ottocentesca retaggio delle insegne popolari da taverna e delle declinazioni popolari delle grafie plebee più antiche.
Negli anni ’60 fenomeni creativi imprevisti come il video amatoriale dell’attentato di Dallas (1963) danno inizio a una serie ininterrotta di riprese spontanee con camere già pronte all’uso, all’infestazione della video sorveglianza, alle sconfinate riprese delle web cam e poi ai video e film realizzati artigianalmente con il cellulare, forme che oggi sono l’equivalente della grafica volutamente sciatta di certa Graphic Novel che cerca esplicitamente di accostarsi al disegno spontaneo dei non professionisti (cfr. L’arte dei non professionisti).
Nello sfondo di questo scenario c’è l’illusione della partecipazione di massa attraverso nuove forme di arte popolare.
L’equivoco del graffitismo
L’erronea definizione di graffitismo è rivolta esplicitamente a nobilitare la tristi iscrizioni a spray che ovviamente non sono neanche lontanamente imparantate con il graffito, che è una cosa molto diversa e che ha una sua storia più seria delle buffonate delle bande giovanili che segnano il territorio in luoghi degradati: basti pensare al delicato graffito su muro del Palatino che irrideva il culto cristiano (nel II o III secolo) lasciando trasparire però (involontariamente ?) anche una memoria di arcaica adorazione totemica, oppure ai drammatici segni graffiti nelle prigioni antiche, forme dolorose di una sofferenza terribile e autentica. Le stupide iscrizioni a spray derivano invece dalle scritte oscene dei gabinetti pubblici, e le loro forme, gonfiate e ripetitive, sconcertano per la loro incredibile, fisiologica omologazione. Non è davvero il caso di definirle graffiti.
Il deposito iconico dell’arte dei non professionisti
La fragile creatività degli innumerevoli pittori non professionisti offre alla SA i modelli adatti per un anarchico eclettismo: dalla memoria confusa dell’espressionismo al più vieto simbolismo esoterico, con riflessi della cd arte psichedelica ulteriormente arricchita da insignificanti riferimenti ai frattali, mentre la lunga tradizione dei pittori di strada, dei madonnari, tramonta tristemente quando negli anni ’80 hanno cominciato prima a valorizzare le loro opere disegnando su cartoni da vendere e infine adottando elaborati e spettacolari effetti di trompe l’oeil con la tecnica sofisticata degli illustratori professionisti e non più dei pittori artigianali.
Chi si occupa di SA fa finta di non sapere che il fenomeno della SA ha la sua radice nell’arcipelago sconfinato del non professionismo occasionale e che è ormai una forma consolidata di arte popolare, perché a questa data (5.2016) l’imbarazzante e scomodo problema della cultura popolare contemporanea a quanto pare non è stato ancora messo a fuoco e forse neanche riconosciuto come esistente.
Queste forme della cultura subalterna sono state contaminate gradualmente da quelle della brutta grafica underground che ha saccheggiato senza pudore le forme popolari più perturbanti, come quelle messicane e come quelle delle più rigide xilografie del passato.
Sono queste le forme impure che la SA adotta per le sue decorazioni urbane, è questa la disorganica cultura di riferimento della SA dilagante in tutto il mondo fino all’irruzione di autori come Banksy, molto più accorti nello scegliere un modello più apertamente demagogico e più riconoscibile per il mercato editoriale e il collezionismo.
Le matrici esplicite della Street Art
La SA degli anni ’70 ha un modello esplicito nelle immagini stampate con calchi del ’68. Il passaggio netto dalle forme più esteriori del simbolismo all’apparente asciutto naturalismo delle forme ritagliate corrisponde all’uso che della fotografia fa da sempre la cultura popolare: adottare una rigida icona, che non è necessario saper costruire tecnicamente e trovata già pronta per essere utilizzata, con la freddezza di chi non sa niente di anatomia e di composizione. La SA, in questa sua declinazione illustrativa, che la dissocia nettamente dalle iscrizioni a spray, si sviluppa parallelamente a una tecnica professionale che non deve essere confusa con la SA, l’illustrazione su scala urbana, i murales di design ambientale realizzati da illustratori professionisti e ampiamente documentati da D. Greenberg, K. Smith, S. Teacher in Megamurales & supergraphics. Big Art, 1977, e da E. Booth-Clibborn e Daniele Baroni, in Il linguaggio della grafica, 1974-1979.
Lo sviluppo parallelo della Racconto grafico di matrice underground
Il grande volume di Roger Sabin, Comics, Comix & Graphic Novels. A history of comic art, Phaidon, 2001, sconcerta a prima vista per la priorità che l’autore conferisce alla prepotente e scabrosa grafica underground, al Comix, rispetto alle forme tradizionali del Comics tradizionale che nel libro risultano quasi sminuite, ma anche questo è un segno rivelatore e inequivocabile che la cultura del Racconto grafico (i cd Fumetti) ha preso apertamente posizione all’inizio del XXI secolo a favore di un gusto dell’improvvisazione e del segno negligente giustificandone l’infima qualità a favore dell’immediatezza popolare, un fenomeno che è impossibile ignorare e che è profondamente legato anche allo sviluppo e alla diffusione della SA.
Una mancata riflessione critica
Lara-Vinca Masini, in L’Arte del Novecento, volume VII, ‘Arte di frontiera’, i graffitisti, 1989, riporta le opinioni della sfortunata storica dell’arte Francesca Alinovi, scomparsa prematuramente, che iniziò presto a studiare il fenomeno della creatività spontanea in aree urbane.
Le opinioni di A purtroppo sono però inficiate dal fanatismo irragionevole di chi vuole vedere forme di ribellione laddove c’è solamente l’improvvisazione violenta e priva di qualità.
Il testo di LVM stabilisce una cronologia dal 1972 in poi, con le prime apparizioni di tags nella metropolitana di NY al posto delle iscrizioni oscene, fino a un articolo di Richard Goldstein del 1973, sul New York Magazine, che parla, a proposito dei tags, di espressione artistica, provocando un momentaneo interesse negli ambienti della Pop Art. Il testo documenta anche la mostra del 1979 a La Medusa di Roma, avallando le dichiarazioni demenziali che si leggono nel catalogo redatto da Claudio Bruni. Tutto questo in assenza della minima riflessione critica.
Renato Barilli, in Haring, 2000, conduce una non richiesta difesa d’ufficio della SA con passi davvero imbarazzanti: si passerebbe, con la SA, al dialogo, addirittura, con il ‘graffitismo preistorico’ (?) avverso alla ‘nociva’ tendenza dell’arte occidentale rivolta ad un ‘asfissiante mimetismo’ (?). L’autore confonde la pittura a parete magdaleniana con i tanti graffiti su roccia della stessa epoca (cfr. S. Giedion, L’eterno presente: le origini dell’arte 1962 (it. 1965, traduzione di Furio Jesi), non c’è nessun motivo di parlare di graffiti se ci si riferisce alla pittura magdaleniana.
Per quanto riguarda poi l’asfissiante nocivo mimetismo dell’arte, dubito che si riferisca alla stupefacente pittura di Bonnard, e quindi di che cosa parla B?
Comunque Haring non condivide assolutamente niente con la specificità della SA, il suo non è mai stato un presunto graffitismo perché rientra nella decorazione urbana, che non è SA, e il suo (modestissimo) lavoro è mutuato chiaramente dalla ceramica dipinta Nazca e dai tessuti Chimu (cfr. Vitalità del pensiero poetante).
Street Art, Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione Pop Up, 2007, di AA.vv, Milano, catalogo di una mostra milanese, documenta gli orrori e le idiozie della Street art.
Dopo la pubblicazione di questo volume, voluto dall’assessorato alla cultura di Milano, ho visto moltiplicarsi all’infinito l’aggressione vergognosa sui muri di tutte le città, a iniziare da Roma.
Nel libro, un lungo saggio di AR ricostruisce la cronologia del fenomeno, dagli anni ’60 in poi, con una sconcertante simpatia e complicità per quella che l’autore definisce scorrettamente cultura alternativa mentre sta parlando invece di bande violente e non di coraggiosi antagonisti del sistema. JP, un fanatico della Street Art, ha scritto per il libro un testo di incredibile e impudica esaltazione della sua corporazione, e il personaggio più citato in questo contesto grottesco è naturalmente il mediocre Guy Débord.
In tutto il libro non c’è una sola parola di critica d’arte e di contestualizzazione del linguaggio della SA, solo tesine scolastiche di sociologia applicata, compiti accademici di cronologia (mai interdisciplinari) e registrazione della bibliografia corporativa, con una irritante imitazione manieristica dei testi di Deleuze.
Che poi la SA sia troppo spesso un penoso museo degli orrori e che l’aggressione alla città sia comunque una forma odiosa e vigliacca di violenza, questa è una cosa che gli autori non sono in grado di capire.
Duccio Dogheria, Street Art. Storia e controstoria, tecniche e protagonisti, 2015, Giunti.
L’autore, studioso di Illustrazione, compie un meritevole lavoro di documentata ricostruzione del fenomeno, ma sono troppe le perplessità che il suo libro pone. Dispiace trovare un saggio introduttivo ‘Alla radici della Street Art’ che parte incongruamente dalla grande pittura magdaleniana, che ovviamente con la modestissima, spesso infima, creatività popolare della SA non ha niente a che fare, con l’aggravante di una inutile banalità inserita nella didascalia delle severe e drammatiche impronte più antiche: ‘uno stencil ante litteram?’: confrontare la sconvolgente pittura di venti mila anni fa con il gioco puerile del ricalco da scuola elementare equivale a suggerire che il Dio creatore della volta Sistina anticipa Nembo Kid in volo.
Una troppo lunga sezione è dedicata senza motivo agli affreschi medioevali, ai murales messicani e agli affreschi italiani di epoca fascista, tutte cose che non hanno niente a che fare con la SA, che invece è imparentata evidentemente con i murali spontanei visibili nel contesto rurale dei paesi e realizzati da pittori locali che spesso sono decoratori di arredi e di carretti da cerimonia, di insegne di negozi e di ex voto.
Alle SA l’autore associa inoltre delle forme che non sono affatto SA: la fotografia incollata, i ridicoli aggregati di oggetti per la strada, le affissioni di stampati in serie.
Peccato, un’altra occasione sprecata, perché il volume di D, magnificamente illustrato e ricco di informazioni, poteva essere una ricostruzione distaccata e serena del fenomeno.
Come sempre manca una lettura interdisciplinare, quella che mi auguro di realizzare con questo Quaderno che collega tutti i segmenti della creatività attraverso un sistema di vasi comunicanti.
Due autori
Banksy
Negli anni ’80 pittori come Haring e Basquiat, protetti e imposti da Warhol a NY, hanno suggerito l’idea che ci sia una forma di creatività di strada già storicizzata e colta, e in questa prospettiva non sorprende che l’autore più noto della SA, Banksy, si sia impossessato di una tecnica peculiare che esisteva già nel ’70, dopo gli embrioni insignificanti del ’68, per caratterizzarsi come illustratore piuttosto che come autore spontaneo e occasionale.
La scelta dell’anonimato, in Banksy, ha lo scopo evidente di non sottrarsi del tutto alla presunta spontaneità anarchica della SA, ma la sua scelta degli argomenti e la calcolata ripetizione di soluzioni grafiche ben riconoscibili non lascia dubbi sulla sua volontà di uscire dalla massa anonima di improvvisatori e di essere riconosciuto come autore. I numerosi libri che lo riguardano e le mostre che gli vengono dedicate lo stanno già costruendo come protagonista, ma si tratta di un’illusione ottica che può essere facilmente evitata.
Murale del 1976 da Megamurales & supergraphics, 1977
Banksy ha ripreso letteralmente le sue banali forme illustrative da moduli di decorazione murale già ampiamente documentati in pubblicazioni di settore come Megamurales & supergraphics. Big Art, di D. Greenberg, K. Smith e S. Teacher, del 1977.
Basta guardare le foto del bambino col cavallo (1976), realizzata con le stesse modalità tecniche e con lo stesso ipocrita spirito demagogico che ama indicare nei bambini una ideale innocenza, e l’operaio sospeso alla corda (1971), riprodotto nello stesso volume del 1977, che è stato ripreso da Banksy in una immagine vittimistica e più che mai demagogica che mostra una ragazza che cade dall’alto mentre sta facendo la spesa in un supermercato.
Lo schema grafico di B, fatto di impronte fossilizzate, ripete all’infinito la copertina realizzata da Warhol nel 1967 per un disco musicale.
L’utilizzo che Banksy fa del trompe l’oeil di memoria ludica ottocentesca dimostra chiaramente la sua intenzione di sostituire all’improvvisazione eclettica della SA una forma di sistematica illustrazione a tema.
Le disarmanti banalità del francese Xavier Prou (Blek le Rat), che B indica esplicitamente come suo riferimento diretto, hanno avuto origine, come racconta lui stesso, nel 1961, quando vide da ragazzo una proiezione su muro realizzata in Italia, con una maschera di cartone, rappresentante Mussolini (!), una cosa che si vedeva in giro a Roma fino a qualche decennio fa. E da questo squallido incontro Prou avrebbe poi maturato un presunto stile.
Secondo una sua intervista del 2016, dopo un viaggio a NY nel 1971 avrebbe iniziato a dipingere murali a Parigi usando lo stencil, la maschera normografica, della quale non è certo l’ideatore: sono stencil, evidentemente, quelli del ’68 e lo è la figura del bambino col cavallo del 1976 riprodotta su Megamurales, spia di una tradizione già sviluppata.
Le opere di B sono riprodotte in Patrick Potter, Banksy, 2012 (It. 2015).
Blu
I lavori di Blu, a differenza di quelli di Banksy, portano alle estreme conseguenze le forme della SA disegnata e dipinta senza calchi, evitando la cultura visiva popolare e cercando forse consapevolmente un modello colto capace di suggerire una straniante e più delicata iconicità.
Topor, Kubin
Si riconosce facilmente nel lavoro di Blu una matrice che deriva, senza aderenza qualitativa, da un remoto modello di grande levatura, quello delle visioni perturbanti di Kubin, filtrato attraverso le varianti dei suoi continuatori, come il giovane Klee fino al più recente e perturbante Louis Pons, (1965),
Topor
e soprattutto a Roland Topor (1938-1997), che può essere considerato la fonte diretta per queste ben più modeste, ma sincere, realizzazioni grafiche di Blu.
Questa evidente ricerca di una fonte grafica più qualificata e larvatamente poetica, che permette al disegno di aderire visivamente alla grana della parete, ha fatto giustamente considerare Blu (2016) il protagonista più rilevante della SA, al posto dello sgradevole e insincero Banksy, troppo interessato a mercificare il suo lavoro in gallerie e aste.
Blu è l’unico autore che ha dignitosamente adottato una posizione radicale sul problema dell’assorbimento della SA da parte del mercato, arrivando a cancellare le sue opere di Bologna pur di impedirne la messa in mostra (3.2016), dopo aver già annerito un suo lavoro a Berlino per impedirne l’utilizzo commerciale da parte di altri.
Cronologia ragionata
La cronologia della SA, ricostruibile da cataloghi, libri e articoli di giornale, é rivelatrice di una progressiva ed esplicita volontà, anche da parte della critica, di creare un movimento creativo vero e proprio capace di prendere le distanze dalla caotica infestazione dei ridicoli tags e dalla macroscopica figurazione spontanea. Qui annoto una selezione ragionata che documenta solamente le tappe più significative. I libri e gli articoli citati sono quelli conservati nella mia biblioteca e nel mio archivio.
La sconcertante banalità di quasi tutti gli interventi impedisce di commentarli tutti.
Le origini
1974-1979. E. Booth-Clibborn e Daniele Baroni, Il linguaggio della grafica. Insostituibile introduzione al fenomeno della grafica.
1977.Paolo Ramundo, L’asino che vola. La tradizione dei murali semi popolari.
1977. D. Greenberg, K. Smith, S. Teacher, Megamurales & supergraphics. Big Art.
La tradizione tecnica dell’illustrazione ambientale vive ancora oggi, più che mai, con illustrazioni di difficile esecuzione tecnica e di forte teatralità ambientale che contraddicono la specificità della SA, che non prevede il controllo e la virtuale cancellazione della parete ridotta a superficie, ma l’interazione tra la fragilità del segno artigianale e lo spazio cittadino.
1979. Claudio Bruni Sakraischik, Adriano Buzzati Traverso, The fabulous five, calligraffiti di Frederick Brathwaite, Lee George Quinones, Galleria La Medusa, Roma, dicembre 1979.
La mostra che vidi a Roma, e questo catalogo, sono l’incunabolo davvero demenziale dell’attuale SA con affermazioni incredibilmente stupide. I brutti dipinti (spray su tela!) erano patetici e ridicoli. ‘Prima presentazione mondiale’, si leggeva sul catalogo.
1980. R. Philippe, Il linguaggio della grafica politica. Splendida ricognizione della tradizione illustrativa, indispensabile per capire anche gli sviluppi dell’attuale SA.
2.1982. Arte di frontiera, Francesca Alinovi, Flash Art n.107, febbraio-marzo 1982.
Alinovi scrive, da NY, di Haring, Ronnie Cutrone, H. Ladda, D. Baechler, Kenny Scharf, e altri, che non sono propriamente autori di street art perché sono ancora legati al gusto della diffusa transavanguardia postmoderna. Il testo di Alinovi è condizionato da una lettura esclusivamente positiva di un fenomeno che è invece il segno di una ottusa resa al manierismo più conformista, la stessa A annota infatti che gli artisti citati passano senza difficoltà dalla retorica della strada e del Bronx alle feste dei ricchi e al mercato. A sembra non sospettare l’esistenza di una cultura egemone capace di colonizzare e pilotare questi artisti, spesso di nazionalità afroamericana o portoricana, che si atteggiano puerilmente a contestatori di un potere che non intravedono se non nelle forme della polizia di quartiere.
Il portoricano Lee George Quinones è uno dei primi tra coloro che negli anni ’70 scrivono sulle metropolitane e poi adottano un linguaggio ibridato consapevolmente di Pop Art e di Transavanguarda postmoderna: il suo Donal duck è del 1988. Lo snodo tra la spontaneità irrazionale delle bande e il contesto reso disponibile a NY dall’influsso e dal sostegno di Warhol è quello che viene studiato da F. Alinovi.
Rammellzee, Sharf
6.1983. Lo slang del Duemila. Arte di frontiera II. Francesca Alinovi, Flash Art, n. 114.
Alinovi torna sull’argomento dell’arte a New York illustrando le opere di Rammellzee, di A One, Futura 2000, Sharf, Haring, con un’enfasi che oggi appare davvero sproporzionata e con interviste agli autori del tutto irrazionali. Non c’è ombra in A di riflessione critica e di ragionevole ridimensionamento del fenomeno nell’ambito della vivace transavanguardia postmoderna che proprio Flash art stava documentando in quegli anni con una grande abbondanza di documentazione visiva.
Le opere del tenebroso Rammellzee e del ludico Sharf, che A sembra apprezzare tanto, non sono altro che tarde e stanche imitazioni di Masson (per il primo) e della prima grafica underground (per il secondo).
E’ tristemente significativo di questa ostinata cecità uno stralcio dell’intervista di A a Sharf che contiene delle dichiarazioni sull’inconscio (?) involontariamente comiche e incredibilmente insensate: A: ‘Per molto tempo ho pensato che noi non avessimo quasi più un inconscio interiore, perché questo si era ormai completamente visualizzato sulle immagini dei mass-media; si era insomma come proiettato all’esterno attraverso i monitors. Tu cosa ne pensi?’Scharf: ‘E’ esattamente quello che ho pensato io quando ho rifatto i Flintstones e i Jatsons. Io li ho scelti perché venivano fuori da mio inconscio, però li avevo visti alla tv’.
Non varrebbe neanche la pena di occuparsi di queste stupidaggini da salotto se non fosse importante capire come si è arrivati oggi (2016) a considerare la Street Art una forma di progresso creativo rispetto alla pittura novecentesca invece di ridimensionarla, semplicemente, come arte popolare del XXI secolo. A purtroppo ha contribuito a far credere che il contesto spurio, materiato di tarda e stanca Pop art, di transavanguardia e di iscrizioni delle violente bande rionali, fosse un laboratorio spontaneo di forme libere e nuove. Ma non è mai stato così.
1984. Arte di frontiera. New York graffiti, Bologna, mostra. Testi di Alinovi (scomparsa tragicamente nel 1983) e altri.
1984. Lara-Vinca Masini, L’Arte del Novecento, volume VII, ‘Arte di frontiera’, i graffitisti.
1984. Haring realizza a Pisa un murale, nel tentativo ingenuo di recuperare una sua origine di autore spontaneo e far dimenticare l’ingresso incondizionato nel mercato. A protezione del muro c’è in basso una parete trasparente. E’ un’operazione che sconfina dal contesto specifico della SA nel campo dell’illustrazione professionale urbana, che è un’altra cosa.
All’inizio del XXI secolo
1997. In Underworld di Don DeLillo, lo scrittore più attento all’arte contemporanea, è molto presente la Street art: a pag. 421 i riferimenti sembrano alludere alle opere di Sharf.
2000. Renato Barilli, Haring.
2000. Roger Sabin, Comics, Comix & Graphic Novels. A history of comic art, Phaidon.
2000. Ars Elettronica. Creatività sconfinata. ‘Un pullulare di invenzioni ignorato dalla critica’ (IlSole24Ore)
2004. Libro Controculture da Abramo ai No global, Ken Goffman e Dan Joy, (Magazine di LaR)
2004. Confusione ‘very cool’. Libro ‘Sample’ di Bronwyn Cosgrave su Moda e arte (LaR)
2005. Metti il baffo alla ‘street art’. Polemica tra SA e pubblicità (IlSole24Ore)
2006.Una generazione di disintegrati in un paese che non li riconosce. Intervista con Edgar Morin sulle banlieus francesi in rivolta (LaR)
E’ il contesto di smottamento del tardo manierismo postmoderno che giustifica l’emergere prepotente della SA.
2006. Art attack, con belle illustrazioni e schede di autori (XL)
2006. Il graffio vitale dei perdenti, Triennale di Milano, mostra Beautiful Losers, la fascia intermedia tra tardo gusto postmoderno e SA (LaR)
2006. Graffiti, cioè schifezze. Francesco Alberoni, polemizzando con chi esalta demagogicamente le decorazioni del Centro sociale Leoncavallo, definisce spazzatura i ‘graffiti’ milanesi senza cercare di dare una minima interpretazione del fenomeno (su un giornale che è ormai la voce ufficiale della destra più reazionaria: Panorama).
2007. AA.vv, Street Art, Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione Pop Up. Catalogo della mostra, Milano.
2007. Nuove tendenze. Dall’arte alla strada (Magazine)
2007. Graffiti. Ecco i ‘Giotto’ del futuro (Magazine)
2007. A sostegno della Street Art, Giornale Civita.
2.2007. Art attack, Donna (LaR).
5.2007. Psico geografie (Donna)
5.2007. Il Louvre dei graffiti a New York (Panorama)
9.2007. Io che mixo gli ottanta, Stuart Semple, londinese (Donna).
9.2007. Ecco la città imbrattata dai writer. Cancellati 100 mila metri quadrati (LaR)
9.2007. I murales? Forme di espressione, ma i monumenti non si toccano; Un film sui ‘graffitari’: Scrivilo sui muri (LaR).
Pax Paloscia; David Salle
2008. Italian graffiti. Quelli che sono diventati veri artisti partendo da una bomboletta spray. Mostra ‘Scala Mercalli, il terremoto creativo della Street art italiana’, a cura di G. Marziani, Auditorium di Roma.
L’articolo pubblica un’opera illustrativa di Pax Paloscia mutuata apertamente dallo stile di David Salle (Il Venerdi).
2008. Un giornale svela la presunta identità di Banksy (Il Venerdi)
5.2008. Il trionfo dell’arte di Strada. Mostra alla Tate Modern, ‘sei grandi creativi’(Donna)
6.2008, Street Art, ‘lasciamo il segno sulla città’. SA a Roma. ‘Una tendenza che dilaga nelle metropoli ( ) fino a diventare un fenomeno riconosciuto dalla critica’ (LaR)
8.2008. In Svezia per un disegno una settimana in cella; Vandali? Noi siamo artisti, non finiremo in un recinto (LaR)
2009. Bristol promuove una consultazione popolare sulle opere di Banksy: rimossi o conservati? (La R)
2009. Banksy guastatore nel Louvre (Il Venerdi);
2009. Il graffitaro miliardario che piace ai divi (La R); Banksy.
2009. American graffiti, la reazione di NY alle scritte.
L’autore dell’articolo, C. Incerti, si lascia andare alla più irrazionale demagogia: il portoricano Taki183, il presunto primo esecutore di scritte spray, sarebbe un ‘profeta’ e ‘l’idea geniale’ che ebbe, quella di scrivere sui treni della metro, ‘si può paragonare all’O di Giotto oppure all’invenzione della prospettiva’ (L’Europeo)
4.2009. E se fosse il nuovo Warhol; intervista a Shepard Fairey (Donna)
I lavori di Fairey sono evidentemente illustrazione professionale e non SA, basta confrontarli con quelli pubblicati sistematicamente su Illustration New.
6.2009. Metroweb, la nobiltà sta nei tombini, tombini decorati da SA per Metroweb, ‘una scelta futurista’ (LaR).
6.2009. Murales di Blu come facciata di un centro sociale, in un articolo sul design che ‘aiuta a vivere meglio’ (Donna)
6.2009. Poster Boy, l’artista ignoto che tra un po’ varrà milioni; manifesti manipolati a NY, anonimo come Banksy (Donna).
7.2009. Arresti, condanne e multe, la crociata di NY contro graffiti e murales,‘declina l’arte del disegno sui muri’ (LaR)
7.2009. L’Italiano che appende finte locandine in Giappone, Stefano Centonze (Onze) (il Venerdi)
9.2009. Urban Art, spazio di via Pietralata, una accademia per ‘arti urbane’ nell’ex lanificio (LaR)
10.2009. David l’imbratta-display, David Hockney, 72 anni, dipinge con l’iPhone (IlSole24Ore).
12.2009. Disegnare su tela, muri, magliette; il libro di David Choe, Art of Obama, e il ritratto di Obama (2008) di Shepard Fairey.
L’affissione dell’immagine di O per la campagna elettorale del 2008 portò per F ad una esplicita gratificazione della sua attività illegale perché O gli scrisse una lettera (pubblica) con la quale si diceva orgoglioso di essere parte di una sua opera d’arte. Un esempio del riconoscimento pubblico di una nuova arte popolare che va dalla illustrazione alla SA (Il Venerdi)
2010. Non solo buchi lasciati dai proietti: sui muri libanesi è fiorita un’arte. Libro fotografico Beirut Street Art.
2010. I misteri dell’uomo fagiolo, Dave the Chimp e i suoi disegni di sleepers a Londra e a Berlino.
2010. La street art sloggia la pubblicità. (il Venerdi?)
2010. Graffi su carta. Un libro di Tristan Manco (Donna)
2010. Film realizzato da Banksy (il Giornale dell’Arte)
2.2010. I graffiti sui muri hanno un prezzo. Dalle città una nuova guerra ai writer. Film di Banksy a Berlino, un libro fotografico a NY, mostra a Parigi ‘Né dans la rue, (LaR).
3.2010. Nuovi writer. ‘Due gemelli brasiliani sono diventati star mondiali della street art’(Donna).
4.2010. Stencils e graffiti? Sorpassati: adesso va l’installazione illegale. Libro sui ‘monumenti antagonisti’ (Il Venerdi)
5.2010. L’artista di Obama seduce Rushdie e Mia Farrow. Shepard Fairey in una mostra retrospettiva a NY (LaR)
5.2010. Basquiat. Il ribelle dei graffiti di strada che diventò una star dell’arte. Mostra a Basilea, A. Bonito Oliva (Lar).
9.2010. Confine writer, Israele dopo Banksy, il muro divisorio in palestina (Donna)
10.2010. Street Art. Opere al Circo Massimo (LaR)
2011 Graffiti, di Jai ‘J.Son’ Edlin, con introduzione di Andrew ‘Zephur’ Wittern, editore Abrams, NY.
Bellissima antologia di 365 schede e foto di opere in ordine alfabetico; sicuramente il libro più bello e più utile sulla SA, privo di inutili idiozie e di riferimenti grotteschi.
2011. I graffiti di Mountain view. Nel Google’s Street Art Projet sono stati raccolti quattromila murals ripresi attraverso Google Street View.
2012. Patrick Potter, Banksy (It. 2015). Un testo ridicolo accanto ad una bella e completa documentazione fotografica.
2013. Foto di una custodia per IPhone con icona di Banksy (La Lettura)
2013. La street art qui è di casa. Un condominio a Parigi che ospita ottanta autori.
L’articolo riporta anche a notizia che un grande murale di V. Kuznetsov a Kiev è stato annerito (25 luglio 2013) dalle autorità perché critico con il governo: l’autore è stato invitato a realizzare un suo lavoro a Terni per la Casa delle musiche, e l’opera dell’ucraino fa pensare subito alle xilografie russe del Settecento. Un’altra pagina documenta un lavoro di Blu a Roma.
2013. Alice Pasquini viene multata per i suoi invasivi murales a Bologna. Il suo è un linguaggio che deriva esplicitamente da quello delle illustrazioni per racconti di giornali femminili analoghi alle illustrazioni di Jacono.
6.2014. Street Art in Italia: una storia (im) possibile, futuro (in) certo, Claudio Musso su Artribune (in rete).
Un articolo dilettantesco e goffo che ripete con arroganza gli stereotipi più sclerotizzati del più irritante e sterile corporativismo settoriale. Per M la SA, naturalmente, è sottovalutata, e aspetta ancora la sua storia; l’autore ignora che ci sia un problema aperto di critica d’arte che riguarda il fenomeno e che la cronologia comunque non inizia affatto dal 1984 con la mostra di Bologna, ma almeno dieci anni prima, dal 1974, con gli studi sulla grafica di Baroni e poi con le altre pubblicazioni, come Magamurales del 1977, che non riguardano espressamente la futura SA, ma ne sono il necessario presupposto storico.
Dopo aver redatto un banale elenco di associazioni, che per lui sarebbe un avvio (?) per una storia della SA in Italia, M chiude l’articolo con una desolante e confusa constatazione fatta di stereotipi irreali che dimostra come la SA sia un problema critico ancora tutto da esplorare, ma anche da ridimensionare drasticamente, se lo si vuole capire davvero nella sua concretezza:
‘Siamo per molti versi di fronte a un bivio: si può continuare a pensare che è meglio giudicare la maggior parte di questi interventi come creatività giovanile, affrontando il tema in termini superficiali e pensando di rivolgersi a una nicchia, oppure possiamo creare momenti di confronto, proporre analisi approfondite e provare a smentire la versione, ormai datata, che vuole il Graffitismo come un capitolo del manuale di storia dell’arte relativo agli Anni Ottanta’
8.2014. Street art. Urban legends al Macro. Mostra Avanguardie urbane a cura di Stefano Antonelli: ‘L’arte di strada è il movimento più partecipato delle storia’. A Spoleto un museo di SA con G. Marziani (Magazine).
9.2014. Contro l’oscurantismo un museo en plein air (in Tunisia). Viene citato El Seed (Il Venerdi)
9.2014. I ragazzini che guardavano passare i treni (col loro nome sopra), Libro fotografico su NY di Henry Chalfant e Sacha Jenkins, Training Days (Il Venerdi)
10.2014. I colori della notte. Romanzo di Arturo Pérez-Reverte, Il cecchino paziente (Il Venerdi). Uno scrittore spagnolo indaga con un libro l’ambiente delle iscrizioni a spray con onestà e franchezza:’non li approvo, ma ci rivelano qualcosa della crisi della nostra società’; le uniche parole serie dette su questo argomento, nonostante il permanere dell’ambiguità:‘Il vero writer odia la parola artista’.
11.2014. Marinetti con lo spray (i writer sono l’avanguardia, parola di Pérez-Reverte).
Nella sua seconda intervista Pérez-Reverte distingue nettamente tra gli writer, che si limitano a scrivere le loro tags in una presunta atmosfera futurista, i ‘graffitari’, che sarebbero autori di murales più complessi, e la street art, che avrebbe una sua logica e una sua tecnica sempre più disponibile al mercato.
11.2014. Un dignitoso murale di Diego della Posta (Mister Thoms) a Ferentino, è molto vicino agli illustratori come Gary Baseman, eredi della transavanguardia degli anni ’80 e ai disegnatori di Frigidaire degli stessi anni.
12.2014. Murale di Zerocalcare a Rebibbia (notizie in rete).
2015. Duccio Dogheria, Street Art, Giunti.
Un testo mancato e ingombrante che poteva essere una storia critica della SA, una occasione sprecata a favore di incredibili banalità.
L’autore giustifica con imbarazzante stereotipi il ricorso alla pittura preistorica come origine (?) della modesta SA citando lo scherzo di Banksy ai danni del BM, quando nel 2005 questi collocò un falso dipinto murale nel museo, e pubblicando un suo lavoro che mostra la cancellazione di pitture preistoriche.
Secondo D gli inserti polimaterici presenti della pittura medioevale sarebbero ‘fondamentali’ per capire l’origine della SA, chissà perché.
‘Ripercorrendo la storia dell’umanità’, scrive senza ironia l’autore, si arriva ai dipinti murali messicani e italiani del Novecento. Se c’è qualche motivo ragionevole di mostrare le forme convulse dei murali messicani, già intrisi di cultura popolare, non c’è davvero nessun motivo di evocare le decorazioni murali del Fascismo.
Da pag. 41 finalmente si entra in merito alla SA: la cd controcultura del ’68, e gli interessanti murales e manifesti cileni del 1971-73; ma i murales di Fiano (1971) e di Orgosolo, la Biennale del muro dipinto del 1960 a Dozza, sono espressioni di semi arte popolare locale e l’autore non la distingue dalla futura SA. Scrivendo dell’uso delle grafie parla più degli artisti come Merz che della evidente tradizione underground.
Un’illustrazione di Grandeville, un uomo che scrive il suo nome su un muro già pieno di scarabocchi, gli sembra un anticipo delle tags, ignorando, lui che è uno studioso di illustrazione, che le scritte a spray derivano appunto per via diretta dalle ironiche iscrizioni ottocentesche della satira.
Una sezione analizza il cd writing: nel 1973 Norman Mailer pubblica sul New York Magazine un articolo, The Faith of Graffiti, con foto di autori e opere; la galleria Fashion Moda nel 1979 nel Bronx, con la prima mostra di ‘graffiti’ nel 1980. Alinovi nel 1982-1983. Un’esposizione storica ottima e molto bene illustrata, ma del tutto priva di critica d’arte, non c’è nessuna riflessione critica sul fenomeno, solamente cronaca a senso unico.
Per la nascita della SA l’autore evoca, come è di prassi, il mediocre Situazionismo di Debord.
2015. Banksy a Gaza dipinge sulle macerie (La R)
1.2015. Paura delle gang. L’omicidio senza motivo di un artista di strada terrorizza i cittadini. Morte di Antonio Ramos, ucciso a Oakland (Sette)
1.2015. Pagina pubblicitaria Hyundai con foto di un murale: ‘stai cercando l’ispirazione?’ (LaR)
2.2015. Madonne giganti, orse e solidarietà. Le periferie salvate dai colori (LaR). Fondazione Roma e privati a Roma: S Basilio, Tor Marancia, ec ‘riconversione funzionale e visionaria’ (?).
3.2015. Eretici?No, copiano Haring e Basquiat.’I nuovi street artist scelgono (quasi sempre) il mercato’.
Questo articolo di Vincenzo Trione è una rara occasione di riflessione seria sul fenomeno della SA, della quale T si riepiloga brevemente la storia. ‘Che cosa rimarrà di questa nouvelle vague?’, si chiede T: non c’è ‘sincera tensione espressiva ( ) epigoni che ripetono intuizioni altrui. Senza originalità, senza fantasia’ (La Lettura). In una finestra: I graffiti degli Zap: Physical Graffiti inciso dai Led Zeppelin.
2015. La Black Machine, realizzata a Torino dai due svizzeri C. Rebecchi e P. Togni (Nevercrew) introduce polimaterismo e tecnologia: l’affresco, con parti a rilievo, si anima usando un’applicazione. Si tratta evidentemente di un caso di illustrazione urbana professionale e non certo di SA.
3.2015. Graffiti al museo grazie all’occhio di Martha Cooper, mostra fotografica (Il Venerdi)
3.2015. Cultura e sviluppo/Big City Life.
Un intero paginone interno dedicato alla street art da ILSole24Ore. Antologia completa dei murales realizzati a Tor Marancia che sono addirittura, secondo l’inopportuna e retorica espressione del presidente della Fondazione Roma e promotore dell’iniziativa,‘la benedizione della bellezza piovuta dal cielo’.
3.2015. Writes, l’ultima invasione. I costi delle scritte offensive e razziste a Roma (LaR)
10.2004. Libro sulle iscrizioni writer, Street Mesages, del fotografo N. Ganz, già autore nel 2004 di Graffiti World.
Le espressioni di entusiasmo sono sempre più acritiche e grottesche: ‘una forma di espressione artistica e filosofica, un nuovo e più moderno tipo di poesia’, dichiara senza pudore Ganz.
4.2015. Va all’Expo l’artista che vuol cancellare tutti i graffiti, Pierpaolo Perretta e Savethewall, sostituire i murali con adesivi (Sette). ‘se fosse arte la compreremmo’.
4.2015. Il comune di Roma ha edito una guida che raccoglie tutti i lavori di SA romani.
5.2015. Foto di un murales dell’illustrazione professionista con virtuosistici riferimenti a Dalì (Il Venerdi)
6.2015. Graffiti e rivolta: ecco di valorosi indignatos tunisini. Libro fotografico di Luce Lacquaniti su Tunisi, I muri di Tunisi, segni di rivolta.
Uno dei murali è molto bello e delicato, con scritte arabe raffinate e una macchia nera come figura (Il Venerdi).
6.2015. Caravaggio a Kabul. Dipinti murali in Africa e a Kabul (La lettura)
7.2015. Da nessuno a qualcuno, opera di Axel Vold a Montreal (La lettura)
7.2015. Fumetti e street art salveranno dall’oblio la città incantanta. Civita di Bagnoregio, Festival che include la SA (Il Venerdi)
6.2015. Foto a piena pagina di un’opera di Frau Todeswunsh (psedudonimo?) a Stoccolma (La Lettura)
9.2015. Outdoor. Un expo di street art nelle ex caserme (via Guido Reni) (LaR)
9.2015. Libro fotografico su striscioni e manifesti della street art, Street Messages, di Nicholas Ganz, autore anche di Graffiti World (Il Venerdi)
9.2015. Lisbona: la rivincita dei graffitari (tutti over 65). Un gruppo di pensionati a Lisbona (Il Venerdi)
10.2015. I murales conquistano Arezzo (IlSole24Ore), Fondazione Terzo Pilastro (ILSole24Ore).
10.2015. De Niro il migrante. Film di JR su Ellis Island che nel 2014 ha decorato con murales (LaR)
11.2015. Ebbene sì, l’arte può cambiare il mondo in un posto migliore.
Le foto giganti di JR applicate sulle pareti cittadine sono legate alla cultura dell’illustrazione urbana professionsita e non alla SA (Il Venerdi)
11.2015. In occasione della Biennale di Venezia viene organizzata, come evento collaterale, la mostra di SA The bridges of graffiti con una vasta bibliografia in rete.
12.2015. Il Mediterraneo negli occhi. Alexandre Farto (Vhils) nel porto di Catania (La lettura).
L’opera di grandi dimensioni di Farto coniuga la SA artigianale con l’illustrazione ambientale ricorrendo a un ductus più largo e sfibrato, meno fotografico, e a superfici plasmate (otto silos) meno disponibili alla resa illustrativa.
12.2015. Street Art a Catania. Grande paginone molto ben documentato (IlSole24Ore).
La Fondazione Roma si prende cura della SA (vedi 2007, articolo su Civita).
1.2016. Le icone urbane di Cabras e la democrazia dei graffiti. Mostra Urban icons a Napoli, Caste dell’Ovo, fotografo Francesco Cabras, che non dipinge, ma scalfisce l’intonaco per ottenere l’immagine (La Lettura)
1.2016. Lek e Sowat la street art francese sbarca al museo. Mostra fotografica Urbus picta al Museo Carlo Bilotti.
1.2016. Sopra i muri della capitale passa una nuova galleria. Mostra al Museo Bilotti.
1.2016. Ho un giardino in tasca. Anzi sul muro. Libro illustrato da Ale Puro, autore di street art, Il giardino in tasca (La lettura)
2.2016. R ratti sono liberi, come la mia arte. Intervista grottesca con Xavier Prou (Blek le Rat), maestro riconosciuto di Banksy, che afferma a proposito della SA: ‘Sarà l’arte del ventunesimo secolo’.
2.2016. Mostra dell’indonesiano Farhan Siki a Milano, Tracce.
Secondo L. Pratesi, l’uso dei marchi e simboli costituisce (addirittura) ‘una critica interna al sistema della ‘arte contemporanea’, mentre la piacevole grafica illustrativa dell’autore si limita a coniugare innocentemente la grafia fossile dei loghi alle icone dell’arte musealizzata, senza criticare nessuno.
Jean Dubuffet, 1974
31. 3.2016. In un video de La Repubblica online si vede l’opera impressionante di eL Seed a Il Cairo.
Proprio mentre lavoro a questa sezione del Quaderno dedicata alla SA, scettico sulla possibilità che la SA possa portare a qualche opera di qualità, scopro in rete un’opera affascinante che mi dimostra, ancora una volta, come ogni forma della creatività, comunque, riesca a trovare sempre il modo di superare i propri limiti strutturali per produrre almeno un capolavoro autentico. Il franco tunisino eL Seed ha dipinto su 40 case di un quartiere degradato abitato da cristiani copti de Il Cairo, Manshiyat Naser, un frase copta leggibile dall’alto, rievocando genialmente, attraverso la memoria (inconsapevole?) di Jean Dubuffet, le grandi iscrizioni coraniche delle mosche e rinunciando ad ogni sterile forma di demagogica aggressività e di inerte figurazione illustrativa.
3.2016. La rivolta del writer.‘Cancello i graffiti la mostra non li avrà’. Blu nega i suoi lavori alla mostra bolognese in preparazione (LaR)
Blu ovviamente non è un ‘writer’, ma un autore di street art: le definizioni sono ancora confuse. Blu ha già cancellato con vernice nera un suo murale a Berlino per impedirne l’utilizzo ad una società.
3.2016. L’arte dell’anonimato, di Tomaso Montanari (La Repubblica).
Un articolo incredibile di uno storico dell’arte che esalta senza pudore i cd writer: ‘chi dipinge un muro rifiuta l’eredità del moderno e predilige una tradizione fatta di comunità e non di singoli’. Un riassunto davvero sconcertante delle banalità demagogiche che vengono ancora dette sulla SA; M cita in chiusura una canzone (!) del 1964: ‘le parole dei profeti / sono scritte sui muri della metropolitana /e negli androni dei palazzi’.
3.2016. Street Art, botte da orbi tra decoro e creatività. Libro di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, Graffiti.
Le polemiche sulla mostra di Bologna che ha portato allo strappo dalle pareti di murales (Il Venerdi)
3.2016. Kentridge sul Tevere farà il ‘murale legale’ (Il Venerdi)
4.2016. Sul paese fantasma vola alta la street art. SA nel paese molisano di Civitacampomarano (Il Venerdi)
4.2016. Outdoor festival. Seconda edizione del festival di street art a Via Guido Reni (LaR)
4.2016. Disegno, dunque sono un esploratore. Fotografia panoramica del lavoro in corso di William Kentridge per il fregio sul Tevere (La lettura)
4.2016. Luci per Kentrridge, ma l’opera murale dura solo 5 anni (LaR)
4.2016. Lungotevere Kentridge. Triumphs and laments. Con un testo di Settis (LaR)
Il grande fregio romano di Kentridge, realizzato con una tecnica mutuata dalla SA utilizzando lo sporco delle pareti e il getto di acqua (Reverse, o clean advertising: spruzzare acqua sullo stencil per lasciare lo sporco del muro come sfondo) da una parte è il punto di arrivo di un definitivo riconoscimento culturale della SA e dall’altra costituisce anche un energico appropriamento di un territorio in crescita da parte di un pittore di talento che è sempre attento alla precarietà e all’esplicito contatto con l’illustrazione.
Kentridge, con questo lavoro monumentale, ha consapevolmente saldato la SA al recupero in atto della figurazione tradizionale e anche alla diffusione massiccia della graphic novel, una tecnica che può anche sviluppare delle future forme creative di qualità se continua ad allontanarsi e a prendere le distanze dalla greve e ormai stanca tradizione del fumetto ripetitivo.
5.2016. Lungotevere Kentridge. Inaugurazione del fregio sul Tevere (IlSole24Ore).
5.2016. La bellezza sbuca a filo d’acqua e un muro grigio respira. Murales di Sean Yoro (Hula) (il Venerdi)
5.2016. Le decorazioni murali di TorMarcancia sono state spostate nella Biennale di Venezia, Padiglione Italia.
Un segno evidente dell’importanza che si vuole assolutamente conferire a questa forma (La R).
5.2016. E l’arte s’allontanò dalla strada. Mostra a Bologna: Street Art. Banksy&Co. L’arte allo stato urbano (IlSole24Ore)
5.2016. Il mezzo selfie di Berengo Gardin. Murale da una foto di Gardin (LaR)
5.2016. Mostra di Banksy a Roma: Guerra, Capitalismo & Libertà, Palazzo Cipolla, Fondazione Terzo Pilastro (ex Civita).
5.2016. La street art è aumentata, festival a Milano, Street Music Art.
L’opera di Nevercrew (gli svizzeri C. Rebecchi e P. Togni) salda la tecnologia delle applicazioni con la grande illustrazione urbana: l’illustrazione sarà ampliata da una espansione digitale. I due hanno già realizzato un’opera del genere a Torino (Black Machine).
5.2016. La pubblicità della Storia della filosofia di Eco e Fedriga (edita da LaR) utilizza la foto di un piatto murale illustrativo geometricamente stilizzato nella maniera di James Reka.
5.2016. Una pagina di Sette (Corriere) è dedicata ai Graffiti.
La scheda annota subito che i graffiti ‘più antichi’sono quelli di 37 mila anni fa (!). Le iscrizioni dipinte a Pompei sono ‘graffiti’ (?); un pezzo di muro di Berlino con ‘graffiti’ è costato 10 mila dollari (il prezzo delle opere di presunta SA è sempre interessante, per queste idiozie); le misere vicende di Banksy sono illustrate come episodi importanti: B va a dipingere il muro in Palestina (2009), nel 2009-2011 è in competizione con una altro autore di SA. E le scemenze non mancano mai: la SA farebbe aumentare il valore degli edifici ‘con vista Street Art’.
4.6.16. Bella visita al fregio di Kentridge, che mantiene la freschezza del disegno sfibrato, tipico di questo dignitoso autore, anche su grandi dimensioni.
10.2016. Blu realizza un murale a Bergamo per le case popolari.
11.2016. J.M. Tra sacro e profano cercai muri per la Madonna. Un Collettivo Fx dipinge a richiesta immagini devozionali: un ritorno ai pittori di murales popolari.
2.2017. F: Bufi, Ho guardato Banksy dipingere per me, intervista a un rigattiere di Napoli (La Lettura).
Due opere insignificanti di B a Napoli sono in rete commentate come se fossero affreschi da tutelare: una Beata Albertoni cancellata da tags, e una figura che perfino un website d’arte come Artribune continua erroneamente a definire Madonna nonostante sia evidentemente una riproduzione in controparte della S Agnese sul rogo di Ercole Ferrata (1660, S Agnese in Agone), mentre l’Albertoni è identificata da Artribune come S Teresa (?).
3.2017. Fulvio Bufi, La Street art rende liberi: un titolo retorico per un vastissimo ma modesto lavoro del generoso Blu per l’ex convento di Sant’Eframo già ospedale psichiatrico di Napoli. ‘E’ la missione dei graffiti: spezzare catene’.
31 marzo 2017. Vandalizzato il murale di Kentridge (La Repubblica). Conflitto aperto tra writer stupidamente vandalici e Street art.
4.2017. Intervista su La Repubblica online a Malina Suliman, afgana di 26 anni che dipinge coraggiosamente le sue opere sui muri di Kandahar.
Le opere di Suliman non mostrano la stessa delicata raffinatezza degli altri autori attivi nell’area islamica, come l’anonimo tunisino (v 2015) e come il colto el Seed (anche lui tunisino, v 2016), ma rivelano un’esplicita volontà creativa: il disegno scabro della donna-scheletro, un vago riferimento a Munch (sopra), l’ingenua suggestione simbolista delle donna in Burqa.
4.2017. Una ridicola recensione di M.E.F annuncia la mostra al Macro di Roma, Cross the Streets, su ’40 anni di creatività indipendente, dal writing all’arte urbana’.
Un riassunto di tutti gli stereotipi più svuotati e un esempio della demagogia più imbarazzante: sono previsti laboratori (?) con bambini immigrati; il curatore Paulo von Vacano sintetizza, senza ironia: ‘La legge non scritta del vero coatto rude ma con un’etica’. Quindi il vero coatto è rude (cioè violento e vigliacco) e dispone anche di un’etica? La cultura qui è quella delle vecchie canzoni di prigione dedicate alla vita malavitosa spacciata per amaro romanticismo.
Nella stessa pagina si annuncia la preparazione di un ‘murale dei record’ da realizzare a Montecatini: 1010 (artista polacco) ‘non ha svelato il disegno ma si ipotizza uno dei suoi portali tridimensionali che conducono verso altre dimensioni’ (?).
5.2017. V. Trione scrive sulla Lettura (CdS) in ‘L’arte è diventata (di nuovo) politica’ che ‘gli eredi di Guernica sono i writer come Banksy’.
Un’esagerazione, evidentemente, che mostra però come questo intelligente critico abbia capito che la Street Art è comunque una risposta al dominio del mercato.
5.2017. Su La lettura: murale dell’egiziano Mohamed Fahmy (Ganzeer), Tanks vs bicycle, del 2015, con scritte arabe. Imitazione della maniera di Banksy.
5.2017. Il miracolo di Francesco: far parlare di muri, demenziale difesa (FC) di murali che mostrano il papa mentre bacia Trump. Imitazione banale da Banksy (Il Venerdi)
6.2017. vedo la mostra al Macro: orrenda e soprattutto falsa, non c’è niente lì dentro che sia davvero Street art; un’operazione destinata al mercato; ha fatto bene Blu a boicottare la mostra di Bologna che voleva musealizzarlo.
6.2017. Il brasiliano Kobra dipinge in una cava di Carrara (foto su La lettura), ma è illustrazione urbana, non street art.
6.2017. Pennelli vs writer. L’uomo senza volto che ripulisce Genova. Eugenio Costa cancella le scritte dai muri (Il Venerdi)
6.2017. In Sicilia la Street art porta i Papi in piazza e le sante in autostrada (Il Venerdi). Dalle foto si capisce che si tratta dell’opera di illustratori professionisti e non di autori di Street Art.
2017. La Street Art che profana la legge del mercato, T. Montanari su Il Venerdi.
Un altro articolo incredibile dello storico dell’arte M: un’opera ridicola di Ludovico Verhenet (Ludo) a Parigi sarebbe capace di ‘modificare lo spazio della città’ (?), mentre ‘strade di tutto il mondo hanno cambiato faccia grazie al fatto che i loro muri hanno incontrato la sua arte’ (?); con Ludo ‘il confine dell’opera è infranto e il verde dell’avidità (e dei dollari) cola oltre la cornice. E invade il mondo: il nostro mondo’.
E’ il limite estremo della demagogia più imbarazzante.
1 settembre 2017. Montanari torna sull’argomento SA su Il Venerdi: ‘L’arte impegnata vive sotto Banksy;’ il murale di Bambi, che mostra May e Trump che ballano sarebbe il segno dell’arte ‘come impegno, come impegno a dire la verità’ (?). ‘Dal muro senza confini di Internet la verità e l’impegno della street art parlano a un mondo malato di menefreghismo, sprofondato nella menzogna (?). E lo fanno con una forza che non vedevamo da tanto tempo’.
Ottobre 2017. La cecità nei confronti del patetico Banksy continua ad estendersi senza resistenze: S scrive su IlSole24Ore, senza ironia, che B ‘ha luminosamente ( ) attraversato gli anni Duemila (dando alla SA) una bellezza effimera (rara)’.
Ottobre 2017. Un ampio servizio de La lettura è interamente dedicato alla SA: Stefano Bucci, La nuova bellezza (Trieste); Chiara Pagani, I cinque nipotini di Keith Haring (Pisa); Davide Francioli, Cento artisti colorano la sopraelevata (Genova); Cino Zucchi, Un’estetica che nasce dai confltti urbani; Vincenzo Trione, L’impegno è cool. Banksy disegna tweet. La SA è esaltata più che mai, acriticamente, come ‘nuova estetica d’Italia’ e come ‘classicismo della contemporaneità’ (?). In uno dei brani si esalta Banksy per aver ‘rivoluzionato il mercato’ (?) facendo pagare una sua opera 420 mila dollari, mentre in un altro lo stesso autore è ritenuto capace (addirittura) di ‘andare verso l’altrove: sui dispositivi che segnano le nostre esistenze‘(?).
Dicembre 2017. Anna Gandolfi, Al ‘museo dei graffiti’ la street art prende vita. Mappatura di 218 opere di SA a Milano.