Il mercato dell’arte

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Il mercato dell’arte

L’ossessione per il presunto potere del denaro ha creato il mito di un mercato che dominerebbe la produzione artistica imponendo con prepotenza un suo schema di valori forzati, ma il mercato, come naturale continuazione dello spirito mercantile dei governi rinascimentali, non è altro che uno dei tanti strumenti che la cultura egemone utilizza per selezionare gli artisti più disponibili a una retorica esaltazione di un contesto di valori che poi li giustifica e li protegge. E’ davvero un’imbarazzante esibizione d’ingenuità quella di chi mostra di stupirsi per i prezzi delle aste, e sono prive di dignità le ipocrite affermazioni degli artisti rivolte contro il mercato, come d’altronde lo sono quelle, altrettanto ingenue, rivolte contro una presunta tradizione che dovrebbe essere, chissà poi perché, superata.
2010

La qualità di un’opera della creatività è una cosa diversa dalla quantità di sterili varianti che quella stessa opera può generare. Quando le opere d’arte e della letteratura, della musica, nascono davvero dallo scavo nell’humus fertile della creatività non stabiliscono nessun rapporto con il loro valore economico, che viene fissato in un contesto che è sostanzialmente estraneo al loro lavoro.
Un artista può aver realizzato una sola opera autentica nell’arco di un’intera esistenza e questo non impedisce al mercato di trattare, legittimamente, l’intero corpus della sua produzione come se ogni opera fosse ugualmente necessaria.

Ci sono in campo due responsabilità diverse che é necessario distinguere.
Il valore attribuito dal mercato alle opere d’arte, qualunque esso sia, fa parte di un contesto di legittimo scambio di beni che ha una sua storia e una sua logica, un contesto che non deve interessare il critico e lo storico dell’arte.
Diversa invece è la responsabilità individuale degli studiosi d’arte e degli addetti alla divulgazione che esaltano irrazionalmente e in mala fede i prezzi raggiunti da un artista, i premi che ha ottenuto, il numero di persone che sono entrate a visitare la sua mostra, i cataloghi che ha pubblicato, perché in questo caso si impone la cultura quantitativa contro la cultura qualitativa falsificando la realtà.
Il mercato dell’arte non ha nessuna colpa nello svolgere il suo lavoro, sono lo storico dell’arte e il divulgatore che non sono legittimati a creare un valore inesistente utilizzando i risultati economici del mercato.

Fuori dalle regole del mercato
Con l’esperienza di Spazio Mostre (2003-2009) io e la storica dell’arte Paola Berardi, ideatrice e responsabile del progetto, abbiamo dimostrato concretamente che si può operare nel mondo dell’arte anche senza compromettersi con le regole del mercato.

Abbiamo avuto l’occasione preziosa di dare un forte contributo critico alla crescita di giovani artisti che abbiamo guidato nella selezione delle loro opere di qualità, intervenendo nelle loro scelte con rispetto, ma anche con decisione e lucidità.
Al nostro appello in rete risposero in cinquanta, anche dall’estero; selezionammo pochissime opere di eccellente qualità e gli artisti vennero a esporle a Roma.
C’erano dei rischi da correre che abbiamo previsto fin dall’inizio: la disattenzione dei giornali, a parte una prima e ultima comunicazione su La Repubblica, e l’indifferenza degli stessi responsabili del locale che ospitava le nostre prime mostre a Testaccio, anche se poi al casale della Cervelletta, in regime di intelligente e generoso volontariato sociale la collaborazione è stata magnifica.
All’indifferenza del mercato abbiamo risposto con l’entusiasmo e con la freschezza della qualità.
Una dignitosa e gratificante dimostrazione concreta di come si possa operare senza accettare umilianti imposizioni.